Cari amici dell’arte, oggi vi porto tutti alla tavola di Giancarlo Zilio!
In molti lo conosciamo nelle sue vesti ufficiali, grazie ai suoi passaggi nel contemporaneo e all’ultima tappa con l’apertura di RossovermiglioArte, ma quanti sanno che lui è innanzitutto un collezionista?
Mi sono fatta raccontare bene come tutto è nato e cresciuto.
Alice Traforti: Caro Giancarlo, come addetti ai lavori ci conosciamo da un decennio ormai e scopro solo ora, proprio grazie a questa rubrica, che sei un collezionista precoce! Raccontaci tutto dall’inizio.
Giancarlo Zilio: «Tutto ha preso avvio quando mia sorella, maggiore di 11 anni, ha iniziato a lavorare in una galleria d’arte. Io ero davvero piccolo, avrò avuto circa 10 anni, ma la seguivo sempre: andavo con lei alle fiere, la aiutavo a imballare i quadri, a caricare la macchina e tutte queste piccole cose del dietro le quinte dell’arte.
Quando avevo circa 16 anni, l’altra mia sorella si sposò e mio padre decise di donare a tutti i figli una quantità uguale di denaro. Perciò, messo insieme alle mance accumulate, mi ritrovai da parte un gruzzoletto che investii senza pensarci troppo in due quadri, un Morandis e un Licata, che oggi non ho più.
Invece, il primo quadro acquistato con i “miei” soldi, guadagnati con i primi lavori stagionali a 18 anni, è stato un piccolo Perilli preso da Santo Ficara. Mi ricordo ancora quanto l’ho pagato perché non sapevo nemmeno scrivere un assegno all’epoca e Santo in persona mi ha aiutato a compilarlo!»
A.T.: Come si è sviluppata la tua collezione?
G.Z.: «Sono stato un collezionista del tempo libero fino a 27 anni. Il mondo dell’arte mi appassionava e lo vivevo semplicemente di riflesso, aiutando mia sorella quando potevo, mentre proseguivo il mio percorso di studi in Marketing e Comunicazione. Poi è arrivata, inaspettata, una proposta di lavoro nell’arte e io mi ci sono buttato per circa 7 anni. Consegnavo le opere ed entravo nelle case dei collezionisti che avevo già una mia idea sull’arte. Osservavo i pezzi appesi ai muri, ascoltando le storie che mi venivano raccontate sulla provenienza, sul valore economico e su quello affettivo.
Così ho iniziato a collezionare quello che poteva essere contemporaneo. Sempre per lavoro, ho conosciuto diverse gallerie che trattavano il contemporaneo, in particolare Giancarlo Pedrazzini di Fabbrica Eos, con 5-6 artisti giovani che io avevo anche conosciuto personalmente durante una visita.
Da lì ho iniziato a comprarli: David Reimondo, Giuseppe Mastromatteo, Ruggero Rosfer, Andrea Francolino… si può dire che ho cominciato davvero con loro. Li possiedo ancora tutti. L’ultimo pezzo che ho preso è di Matteo Negri, che faceva parte di quel gruppo, e con lui credo di aver chiuso il cerchio.
Nella mia collezione personale ho una ventina di artisti contemporanei. Ci sono anche una foto di Matteo Basilè, Ulrich Egger, Vincenzo Marsiglia e Angela Glajcar. Aggiungo Alberto Garutti e un grande Glattfelder, un po’ meno attuali ma con ricerche contemporanee di altri tempi».
A.T.: Ricordi un momento particolare della tua storia di collezionista, magari legato a un forte dubbio o a un acquisto per te importante?
G.Z.: «Jason Martin è stato il mio acquisto più ambito. Tantissimi anni fa, forse 15, vidi a Bologna un suo pezzo enorme con queste stesure di colore fantastiche… per me inaccessibile.
Anni dopo, quando lo consideravo ormai inarrivabile vista la crescita delle sue quotazioni, l’ho incontrato in casa di un mio conoscente, proprio nel momento in cui sentiva il bisogno di girare qualcosa per rinnovare la sua collezione. E così ora ho il mio bel Jason Martin bianco, e credo che non me ne separerò mai.
Non ho pentimenti invece sulla vendita delle mie opere. Quando parti con l’ottica di fare una collezione, o diventi un accumulatore seriale, quasi un feticista, o hai la consapevolezza che devi costruirla, cambiarla, aggiungere, togliere, procedere per piccoli obiettivi. Inoltre, quando inizi da giovane, cambiano i gusti, le tendenze e soprattutto le prospettive. Scopri continuamente artisti che non conoscevi ed è tutto un procedere a tasselli, fino a raggiungere la collezione perfetta – anche se credo che non esista».
A.T.: Nel tuo caso, l’arte è stata da subito una passione vissuta in famiglia, soprattutto condivisa con tua sorella. Come si è declinato questo rapporto nel tempo? Immagino che confronti, scontri, errori e soddisfazioni nell’arte abbiano influito in qualche modo nell’asset famigliare.
G.Z.: «Ho imparato da mia sorella e abbiamo una formazione molto vicina, diversificata forse da un occhio più aperto per quello che è proprio il contemporaneo. In famiglia c’è stato un maggiore affiatamento da una parte, con l’avvicinamento di mio padre al collezionismo, e un allontanamento dall’altra con quelli che stanno all’esterno di questo mondo. Noi non si finisce mai di parlare di arte e, probabilmente, chi ci ascolta da fuori ci prende per malati di lavoro e si annoia anche a sentir le stesse cose!
Disaccordi e discussioni tutti i giorni, a pranzo dai miei, io e Michela: sulla collezione, sulle mostre in galleria… In famiglia il limite tra lavoro e collezionismo si assottiglia tantissimo e ci si lascia sempre coinvolgere. Mio padre resta più silenzioso e imparziale, e interviene per consigli sugli acquisti».
A.T.: A un certo punto hai aperto una galleria, proprio insieme a tua sorella: RossovermiglioArte a Padova. Mi chiedo soprattutto come riesci a separare le due cose, a cambiarti d’abito: ora sei un privato collezionista e il momento dopo diventi un gallerista preparato.
G.Z.: «Non è possibile tener separate le due cose per me, ma anche per mia sorella: anche lei ha dei quadri che non staccherebbe mai dalle pareti di casa. Da un certo punto di vista è una cosa che aiuta, che ti carica quando per esempio decidi di fare una mostra di un artista che apprezzi già o che hai già in collezione personale. Così sono nate alcune delle nostre mostre, da un primo acquisto in collezione che si è poi mutato in un incontro con l’artista per sviluppare un approfondimento in galleria.
Il limite è molto labile. Personalmente credo che prevalga di più la parte del collezionista. Come potrei consigliare a un cliente qualcosa che non appenderei in casa mia? L’aspetto del gallerista prevale forse più nella ricerca e nella visione lungimirante degli sbocchi futuri di mercato – anche se confesso di possedere qualche artista ora privo di prospettive, ma che ha una sua collocazione, pagato a volte più del suo valore di mercato, pur di averlo nella mia collezione.
Anche in caso di vendita mi sono accorto di essere meno malleabile e più affezionato in quanto collezionista, e questa poca propensione a lasciar andare può penalizzare nel lavoro di gallerista. In questo ci aiuta molto il fatto di essere in due, io e mia sorella, a tutelarci a vicenda e a fungere da reciproco campanello di allerta con il famoso detto: compra, vendi, guadagna e pentiti. Se fossi da solo sarebbe tutto molto più complicato».
A.T.: Bene, proseguendo sulla scia degli addetti ai lavori: secondo te, che cosa fa sì che una collezione sia una buona collezione?
G.Z.: «Idealmente, consiglio sempre ai miei collezionisti di comprare ciò che piace a prescindere da quello che possa essere il valore commerciale o la prospettiva di crescita, elementi che devono entrare dopo. Meglio un artista che abbia un certo spessore storico, che sia nei libri di storia dell’arte, che abbia un certo curriculum… Ma devo essere sincero: nulla passa davanti a un “a me piace questo”. Allora so che la persona che ha comprato quel quadro ne sarà appagata ogni giorno.
Poi il collezionista si affina, inizia a ricercare e a elaborare una propria visione, modificando l’idea stessa della propria collezione. Quindi, la seconda cosa è la coerenza nei confronti della chiave di lettura. Nel momento in cui subentrano l’interesse economico e un’ipotesi di investimento, allora il sistema si affida a fattori diversi, a volte determinati anche da un mix di circostanze fortunate e intuito».
A.T.: Da collezionista, invece, come collezionare oggi nel mare senza fine dell’offerta artistica e dei mediatori di ogni tipo?
G.Z.: «Da collezionista, ti direi che la prima cosa è quella di ricreare un rapporto di fiducia con 5 o 6 galleristi, con uno scambio di informazioni, di cultura e di gusto che porti a una crescita reciproca. Ritornare al confronto, evitando di affidarsi solo al calcolo o ai passaggi in asta senza badare alla qualità.
In questo rapporto, è importante anche privilegiare coloro che investono nella crescita degli artisti con cui collaborano. Aggiungo di andare a vedere le mostre, leggere molto, studiare quella che è stata la storia dell’arte e rapportarla alla contemporaneità.
Per quanto riguarda l’impatto del web, non credo possibile un passaggio alla Amazon per questo settore in quanto i prodotti non sono realizzati in serie. Inoltre su uno schermo si ha un contatto visivo privo della percezione reale dell’opera e dell’esperienza vissuta di contorno.
Le piattaforme online rappresentano sicuramente utili vetrine, sono un mezzo di comunicazione che va a fornire preventivamente un certo tipo di informazioni all’interessato, ma sono molto scettico per la compravendita: non credo sia il futuro».
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Questa storia di collezionismo è iniziata per induzione con una passione giovanile ed è proseguita, quasi per caso, con entusiasmo e consapevolezza nella professione.
Insieme a Giancarlo Zilio abbiamo capito che investire in arte è un fattore soggettivo: si può investire nella crescita economica o nella crescita della persona, oppure in entrambe, dipende dal tipo di ricchezza che cerchiamo.