Più seguo il mondo dell’arte contemporanea italiana e più sono convinto che le opere migliori nascano da quegli artisti che non indietreggiano davanti alla sfida lanciata dal nostro immenso patrimonio culturale, cogliendone gli stimoli e le suggestioni e proiettando il tutto nel XXI secolo. Invece di cedere passivamente alle tendenze internazionali nella speranza di un rapido successo. Un’ulteriore conferma di questa mia convinzione, mi è arrivata dall’incontro, quasi casuale, con l’opera di Sally Viganò, giovanissima artista bergamasca (n. 1988) vincitrice dell’ultima edizione del premio Primal Energy di Orbetello a cura di Alessandra Barberini con l’opera Distillato, lavoro in cui passato e presente, tradizione e innovazione, agiscono insieme in modo coerente attraverso una stratificazione di rimandi filosofici e storico artistici aggiornati secondo una modalità installativa di grande impatto, caratterizzata da un forte rigore e equilibrio formale.
Nicola Maggi: Per Primal Energy hai presentato un’opera che sembra una summa della tua ricerca artistica e delle tue sperimentazioni tecniche. Ce ne parli?
Sally Viganò: «Distillato è il punto di sintesi di un percorso iniziato con la frequenza del biennio calcografico all’Accademia di Brera. Mi sono interessata ai temi morfologici e anatomici leggendo soprattutto i testi di Goethe e Nietzsche e ho trovato nel cranio la figura di una essenzialità del corpo e il simbolo di una razionalità nel quale cercare sicurezza. Il lavoro ha però trovato maggiore definizione durante il periodo di residenza a Murano, trascorso lavorando nella fornace di un maestro vetraio. Distillato in un certo senso mette in mostra la scoperta del vetro come il materiale capace di ridare alla ricerca calcografica una consistenza essenziale e concentrata. Per questo mi piace pensarlo come un lavoro sintetico non soltanto nel concetto che volevo esprimere ma anche per il suo processo di realizzazione. In un certo senso chiude un percorso aprendolo però a nuove opportunità».
N.M.: Nel tuo lavoro il corpo umano, inteso anche in senso quasi anatomico, ha un ruolo fondamentale. Come nasce questo interesse?
S.V.: «L’interesse per il corpo nasce dalla curiosità di indagare il rapporto fra ciò che rimane in superficie e si mostra attraverso le sue forme e ciò che, invece, pur essendo strutturale, rimane nascosto. Alcuni testi filosofici, ma soprattutto le immagini di anatomia comparata, mi aiutano nella ricerca e mi permettono di guardare sempre più in profondità, dentro il corpo. C’è un continuo rapporto tra il dentro e il fuori, tra la superficie e la profondità, che cerco di “sviscerare”, alla ricerca di una base, di un punto fermo a cui attribuire la causa del movimento caotico di ciò che sta in superficie. Mi affascina l’idea del corpo come un organismo che segue delle leggi di trasformazione e il cui scopo costante rimane la tendenza verso l’equilibrio, con la consapevolezza di non riuscire a raggiungerlo».
N.M.: Un viaggio tra anatomia comparata e istologia che ha però al centro il concetto di identità….
S.V.: «L’analisi dell’anatomia ossea e delle immagini istologiche al microscopio implica una perdita dell’identità intesa come descrizione individuale di ognuno. La struttura ossea è pressoché uguale fra individui della stessa specie e le connessioni spinali e neuronali hanno più o meno la stessa forma e le stesse funzioni di corpo in corpo. A livello osseo e istologico lo sguardo sul corpo diventa scientifico, dunque non è più necessario parlare per soggetti – Io, Tu – o per aggettivi possessivi – mio, tuo – perché ciò che emerge sono le strutture costanti che si condividono e che permettono di descrivere il Corpo come tale. La mia ricerca si focalizza sulla scoperta degli elementi minimi e strutturali che sembrano essere delle garanzie e delle spiegazioni al caos superficiale fatto di continue trasformazioni. Vado alla ricerca di una sorta di razionalità che spero sia sepolta tra gli strati dei corpi e che sia così solida da far scoprire un’altra identità, diversa da ciò che si mostra».
N.M.: …e un altro elemento importante, mi sembra di intuire, è anche il tuo essere donna e artista…
S.V.: «Sicuramente è un binomio fondamentale e nonostante il corpo femminile non sia al centro della mia ricerca, è inevitabilmente il metro con cui prendo le misure. Non è una condizione che controllo ma credo sia implicita e riflessa nei mie lavori».
N.M.: Una delle cose che mi affascina di più nel tuo lavoro è la capacità che hai di trasportare tecniche tradizionale nel contesto contemporaneo. Dalla calcografia alla fabbricazione del vetro. Ci dici qualcosa sul tuo modo di lavorare e sulla tua formazione?
S.V.: «Mi piace mettere mano direttamente ai miei progetti e vederli mentre prendono forma ed è per questo che ho scelto l’incisione e la calcografia per la mia formazione in Accademia. Il mestiere di stampatore è molto fisico e ha una componente “artigianale” e tradizionale imprescindibile dal percorso estetico o dal segno dell’artista. Se l’acido non è buono la matrice non viene incisa; se l’inchiostro non è steso nel modo corretto la stampa su carta è scarica. E’ un lavoro per il quale bisogna conoscere i fondamentali per poter ottenere dei buoni risultati, utili alla successiva sperimentazione. E lo stesso succede con il vetro: non è un materiale duttile ed esistono delle vere e proprie regole per poterlo scaldare e raffreddare in forno, per poterlo tagliare e modellare a freddo. L’esperienza a Murano è stata un vero e proprio battesimo del fuoco, ma soprattutto Vetroricerca e i suoi insegnanti mi hanno spiegato il vetro, facendomi scoprire e provare molte tecniche diverse, insegnandomi a conoscere e rispettare il materiale per poterlo modellare e ottenerne così il meglio. Lavorare a stretto contatto con i materiali e conoscerne le caratteristiche mi permette di ampliare la sperimentazione, ma soprattutto di pensare in maniera concreta, facendo in modo che l’idea e la forma si sviluppino di pari passo».
N.M.: Tra i tuoi lavori c’è anche un libro d’artista che hai realizzato insieme a Laura Pugno. Come è nata questa collaborazione?
S.V.: «Il libro d’artista “Di bianco in bianco” è nato partecipando al progetto “da<verso_coincidenze”, un bando interno all’Accademia e dedicato alla realizzazione di plaquettes calcografiche a libera interpretazione di opere poetiche. La poesia di Laura Pugno mi ha subito colpito. Racconta di memorie e di impronte e di gesti che si ripetono, in un’atmosfera bianca. Ho pensato che fosse vicino alla mia ricerca. Mi sono concentrata sulle sovrapposizioni e le evanescenze, realizzando alcune piccole stampe a goffrage, senza utilizzare l’inchiostro ma soltanto imprimendo le forme della lastra sulla carta, alternate a forme monocromatiche piene e stampe digitali su carta da lucido. L’idea era quella di “fare e disfare” le forme di pagina in pagina, rimanendo nel bianco».
N.M.: Progetti futuri?
S.V.: «Prossimamente avrò occasione di esporre una nuova installazione alla VIII Biennale di Soncino, che si terrà in agosto e nel frattempo continuo a lavorare approfondendo la ricerca iniziata con Distillato. L’obiettivo principale rimane, infatti, quello di continuare a crescere artisticamente e di rendere sempre più concreto e conosciuto il mio lavoro».