Si conclude anche quest’anno la settimana dell’arte torinese, lasciando, forse più di altre volte, un’ottima sensazione di ritrovato e rinnovato entusiasmo.
Artissima, affidata alla curatela del nuovo direttore Luigi Fassi, non delude e si conferma come la migliore occasione in Italia per il contemporaneo. Non troppo grande, forse, rispetto ad altre esperienze europee, ma ben costruita, la fiera consente di entrare in contatto con opere, artisti, gallerie e galleristi di tutto il mondo selezionati con attenzione e cura, scambiando parole, commenti e opinioni.
Ma l’Artweek non si esaurisce certo qui. Accanto alla fiera principale si sono svolte altre numerosissime iniziative, a cominciare dalle altre fiere torinesi di novembre, che forse è errato definire “satellite” perché, pur concentrandosi su un numero di espositori più ridotto e a volte meno in prima fila nel panorama internazionale, propongono un’offerta della massima qualità.
Come The Others, più attenta al panorama indie, per usare un termine musicale; Flashback, ospitata in una nuova e sontuosa sede in collina, che lavora insieme sul territorio e sul rapporto tra antiquariato, arte moderna e attualità; e infine Paratissima, con i suoi festosi esperimenti ricchi di stimoli per lo spettatore.
Nei musei e nelle fondazioni la carrellata di inaugurazioni ha toccato poi, quest’anno, vette di assoluto interesse, felicemente evocando la memoria al periodo d’oro della Torino capitale dell’arte contemporanea, nei primi anni duemila. Tra gli eventi imperdibili si segnalano la personale di Olafur Eliasson al Castello di Rivoli; l’installazione video immersive di Arthur Jafa alle Ogr, che vanta la curatela di Hans Ulrich Obrist; il lavoro profondo e complesso di Michal Rovner alla Fondazione Merz; Lawrence Abu Habdam, Diana Policarpo, Victor Man e Backwards Ahead alla Fondazione Sandretto; le affascinati mostre fotografiche Lisetta Carmi e Gregory Crewdson alle Gallerie d’Italia, dove nei giorni della fiera è stato inoltre possibile visitare una elegante rassegna video curata da Leonardo Bigazzi. E poi ancora Atelier dell’errore e Chiara Camoni alla Gam e un più classico, ma sempre affascinante Doisneau da Camera; Simon Starling e Silvie Fleury alla Pinacoteca Agnelli, per finire con la performance di Ludovica Carbotta su un ideale Padiglione Europeo sempre alle Ogr e un’affascinante collettiva al Museo della Montagna.
E ancora non basta. Ricchi sono stati anche gli eventi nelle gallerie, a cui è stata dedicata la proverbiale notte bianca del sabato più un simpatico appuntamento breakfast al mattino, dove si sono distinte, forse, tra tutte, la personale di Fatma Bucack da Peola Simondi, la mostra con gli automi di Paul Etienne Lincoln da Guido Costa Projects, ma anche i lavori sulla musica, le stelle e le onde cerebrali di Matteo Nasini, ospitati nel nuovo spazio di Sutura, in via Paolo Sacchi.
L’atmosfera è dunque stata delle migliori, con moltissimi altri eventi e incontri a tema in tutta la città, comprese le rassegne spin off di Artissima e, tra le altre cose, un convegno sul tema di arte e diritto alla Casa d’Aste Sant’Agostino.
Segnaliamo solo due piccole pecche organizzative, proprio per trovare un difetto a tutti i costi: la mancanza di una coordinazione generale davvero efficace a livello cittadino, che avrebbe forse potuto evotare fastidiose (e ansiogene) sovrapposizioni di orari nei luoghi più disparati del capoluogo sabaudo e la presenza concomitante e indesiderata di una maratona cittadina organizzata chissà perché proprio la domenica di Artissima.
Ma i lati positivi – indotto compreso – sono molto più numerosi e importanti di questi piccoli contrattempi. La speranza è che Torino rifletta sulla sua vocazione culturale, umanistica e contemporanea, lavorando sempre più su questi aspetti, che si sono rivelati in grado di valorizzarla agli occhi del pubblico che apprezza l’arte, contemporanea e non, con tutto l’entusiasmo che questa può generare.
Viene allora in mente una riflessione. Qualche mese fa, in piena campagna elettorale, ho assistito una vola in televisione a un simpatico scambio di battute tra due personaggi politici di spicco – di cui ovviamente non faccio il nome perché non è questo il luogo. Il contraddittorio verteva sul tema di quale fosse, tra Roma Firenze e Milano, la più bella città d’Italia. Ahimè, purtroppo non stupisce che tra le candidate al fantomatico titolo mancasse proprio Torino, ex regina dell’industria automotive ormai da tempo purtroppo in crisi.
Eppure la settimana dell’arte torinese ha messo in luce una vocazione torinese al contemporaneo nell’arte estremamente vivace e di caratura internazionale, che non ha proprio nulla da invidiare alle più prestigiose realtà italiane e non.
In un contesto come quello attuale, dove dal punto di vista industriale, ma anche nella semplice vita quotidiana, tutto è messo in discussione dall’avvento di dispositivi sempre più sofisticati, che tendono a mettere in secondo piano le attività tradizionalmente svolte dalle mani dell’uomo a favore di una sempre più intensa tecnologizzazione dell’esistenza, imparare a valorizzare gli aspetti umanistici e culturali con entusiasmo ed energia è un aspetto non secondario, su cui sarebbe importante puntare nel modo più deciso e serio. Torino divetterebbe così – ma forse lo è già – un esempio da seguire certamente. Molte sono di certo, le cose da perfezionare, ma la strada sembra tracciata e, c’è da augirarselo, in crescita.