Tra tutte le opere che Josef Albers ha realizzato, quelle che più lo rappresentano e che più lo hanno reso riconoscibile negli anni sono probabilmente gli Omaggio al quadrato. Una serie che conta oltre un centinaio di variazioni che condividono una medesima rigida struttura formale: tre o quattro quadrati concentrici in un rapporto proporzionale fisso – in genere lo spazio che li separa in basso si raddoppia sui lati e si triplica in alto – e comprende la forma del dipinto stesso come parte della composizione. Questi quadrati sono caratterizzati esclusivamente da differenti campiture di colore, stese in modo perfettamente uniforme attraverso l’uso di una spatola.
Il risultato è apparentemente molto semplice, una composizione di un’unica ed elementare forma ripetuta con variazioni di tre o quattro colori piatti. Ma cosa rende questa serie il lavoro più emblematico e celebre del pittore tedesco? Com’è riuscito Albers a trasformare qualcosa di elementare, e oserei dire banale, in qualcosa di iconico?
Albers inizia a dipingere la serie degli Omaggi al quadrato nel 1950 circa all’età di sessantadue anni, dopo una lunga carriera passata tra Weimar, Dessau e per il North Carolina. Un ciclo di dipinti che è dunque realizzato in un periodo di grande maturità e che sintetizza in sé tutte le molteplici esperienze che Albers fece fino a quel momento. Ciò che caratterizzò in modo fondamentale il suo fare artistico, e che influenzò molto gli Omaggi al quadrato, furono sicuramente i numerosi anni di insegnamento iniziati nel 1923 al Bauhaus, continuati per sedici anni nell’innovativo Black Mountain College e conclusi come capo dipartimento della sezione di Design all’Università di Yale.
In questi anni fu capace di sviluppare una ricca e variegata metodologia didattica che vedeva l’educazione artistica come un allenamento del pensiero, pratico e teorico, utile non soltanto alla formazione dell’artista ma accessibile ad un ventaglio di popolazione molto più ampia, come in effetti lo furono i suoi studenti. Insegnare arte per Albers non significava plasmare un artista genio ma fornire strumenti che fossero utili a tutti per prendere conoscenza della realtà che ci circonda e del nostro modo di esperirla.
Un esempio significativo fu senza alcun dubbio il suo corso sul colore, che divenne celebre nel 1963 con il saggio Interaction of color. In queste lezioni, attraverso l’uso di soli cartoncini colorati, Albers faceva fare esperienza ai propri studenti della complessità della percezione cromatica. In particolare riusciva a mettere in evidenza, non tanto le qualità e le caratteristiche isolate di ciascun colore, ma la loro capacità di cambiare e mutare in relazione al contesto. Ad esempio si riusciva, tramite i suoi esercizi mirati, a far sì che un singolo colore fosse percepito in modo differente se visto in due ambienti distinti.
Così facendo si rendeva la percezione di un elemento cromatico ambivalente, e, trasformando qualcosa di singolo in qualcosa di duplice, si compieva un primo passaggio dalla banalità alla ricchezza. Le sue lezioni avevano dunque questi obiettivi, far fare all’allievo esperienza del complesso modo che abbiamo di vedere il mondo e, in relazione a questo, a insegnargli a saper gestire gli elementi pittorici, perché imparasse ad utilizzarli in modo semplice ma efficace. Albers persegue questi principi in parallelo e a un differente livello anche nella sua produzione artistica, creandone una summa finale negli Omaggi al quadrato. Infatti, nonostante l’apparente semplicità, gli Omaggi riescono, tramite un calibrato sfruttamento della percezione cromatica, ad arricchire qualcosa che appare come elementare, ma che ha in sé un’enorme potenzialità.
La capacità di modificare la natura di un singolo colore piatto, attraverso il solo accostamento è portato in questa serie al massimo livello, e in essa si ritrovano tutti gli effetti di trasparenza o trasformazione affrontati nei suoi corsi. Lasciando invariata la struttura e ripetendola in un numero indeterminato, sono i contatti tra i colori che, cambiano continuamente, riescono a creare una percezione multipla dello spazio pittorico, che ha in sé tre o quattro possibilità di lettura diverse per ciascun dipinto, coesistenti l’una con l’altra e in cui nessuna di esse prevarica sulle altre.
Attraverso quello che potrebbe apparire come un semplice gioco meccanico legato alla percezione si trova l’idea sempre presente nel suo pensiero e nel suo insegnamento: rendere qualcosa di banale qualcosa di interessante. Albers ha una visione alchemica dell’arte, in grado di trasformare il povero in ricco, il piombo in oro, un colore in due colori, un foglio di carta in una scultura; un solo quadrato, semplice e banale, in qualcosa di molto più stimolante. Il processo alchemico di Albers tuttavia è privo di tutta la carica mistica e ascetica e concepito invece, pragmaticamente, come il valore più alto del lavoro dell’uomo, sia esso artistico o meno.
Questa metamorfosi si rende possibile nell’opera di Albers grazie al fine uso dell’ambivalenza semantica e percettiva che egli fa degli elementi pittorici, lasciando aperte più vie, egualmente valide e complementari, nella lettura del dipinto. L’apertura, che egli doma e valorizza nelle sue opere è sintomatica di una certa visione del mondo, che lo vede come mutevole, molteplice, ricco; una weltanschauung che riesce a prendere la forma conclusiva proprio negli Omaggi al quadrato.
Questa concezione della vita, dell’universo e dei loro rapporti anti-deterministici e plurivalenti – in cui la libertà, l’apertura e il caso sono concetti fondamentali – è in verità condivisa da un’intera generazione di pittori, di musicisti, di filosofi e di intellettuali sia europei sia americani. Ciò che distingue Albers, e probabilmente ciò dipende dalla sua vena europea, è l’affrontare questa libertà attraverso una rigorosa disciplina, che si ritrova sia nel suo fare artistico sia nel suo insegnamento; per lui tuttavia questo non significa opporvisi, negarla o demonizzarla, bensì saperla gestire e sfruttarla coscientemente senza lasciarvisi trasportare inconsapevolmente. In questo modo Albers riesce a tenere assieme, in pochi quadrati e in pochi colori, la disciplina e la libertà, la precisione e l’ambivalenza, l’ordine e l’avventura.