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Il destino delle opere d’arte sottratte durante il regime nazista: il caso di Murnau mit Kirche II di Kandinsky.

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Tra i lotti che brilleranno il primo marzo all’asta di Sotheby’s a Londra vi è senz’altro Murnau mit Kirche II, uno dei più importanti dipinti realizzati da Wassily Kandinsky, opera apripista del linguaggio rivoluzionario astratto su cui l’artista fonderà il resto della sua produzione e che si stima realizzerà una cifra di circa 45 milioni di dollari, superando l’attuale record raggiunto dal pittore russo all’asta, sempre da Sotheby’s, nel 2017.

Ciò che però desta particolare interesse nei confronti dell’opera, per chi si occupa di diritto e non solo, non è tanto il pregio e il valore del dipinto nell’evoluzione della produzione artistica di Kandinsky, quanto la storia che lo caratterizza.

Realizzata nel 1910, l’opera entrò presto a far parte della ricca collezione creata all’epoca da Johanna Margarethe e Siegbert Samuel Stern che, nella Berlino degli anni ’20, costruirono un’impressionante collezione d’arte che raccoglieva oltre 100 opere realizzate da importanti artisti antichi, moderni e contemporanei.

Com’è tristemente noto, a partire dal 1933, con la nomina di Adolf Hitler a cancelliere e durante tutto il periodo nazista in Germania, fu posta in essere una spoliazione sistematica di opere d’arte e beni appartenenti alle famiglie ebree e a tutti coloro che furono vittime delle leggi razziali. Alla base di tale operazione, oltre all’obiettivo di privare coloro che erano stati individuati come nemici dal regime di ogni diritto e bene. Vi era un ideale (ulteriore rispetto al delirio nazista) che era quello di imporre il canone estetico artistico gradito da Hitler, caratterizzato da ritratti e paesaggi classici di antichi maestri, possibilmente di origine tedesca e che nulla aveva a che spartire con l’arte che aveva preso il sopravvento nel XX secolo, considerata degenerata e decadente e che doveva assolutamente essere estirpata dai musei tedeschi per essere distrutta o venduta.

Intorno a questo progetto criminale gravitavano diverse organizzazioni, situate anche nei territori occupati, che fungevano da centro di smistamento per le opere d’arte espropriate; tra queste vi era la celebre Agenzia Mühlmann (Dienststelle Mühlmann) che operò tra il ’40 e il ’44 nei Paesi Bassi, dove Johanna Margarethe Stern, rimasta vedova, cercò rifugio nel 1938 e con cui sicuramente ebbe dei contatti, quantomeno tramite due mercanti d’arte dell’epoca, Myrtil Frank e Karl Legat, che collaboravano con l’Agenzia e le cui figure si sono rilevate fondamentali nella ricostruzione della storia dell’opera di Kandinsy che nel dicembre 1951 divenne parte della collezione del Van Abbemuseum, museo di arte moderna e contemporanea di Eindhoven.

Come e perché l’opera Murnau mit Kirche II, allora indicata più genericamente Paesaggio di Kandinsky, sia passata dalla collezione Stern a quella del Van Abbemuseum, è stato oggetto di una lunga controversia che ha visto contrapposti il Consiglio Comunale di Eindhoven, titolare del museo, e gli eredi degli Stern.

La richiesta di restituzione da parte della famiglia – come accade in molti di questi casi di opere sottratte durante il regime nazista – è stata presentata nel 2016 all’Advisory Committee on the Assessment of Restitution Applications for Items of Cultural Value and the Second World War (ossia il Comitato di Restituzione volto a pronunciarsi sulle richieste di restituzione di oggetti d’arte saccheggiati durante le spoliazioni naziste ed oggi in possesso del governo olandese, di un museo o di privati) che ha inizialmente rifiutato nel 2018 la richiesta sostenendo che non fosse stato provato che l’opera fosse uscita dalla sfera di controllo della famiglia Stern durante e a causa del regime nazista.

Tuttavia gli eredi, non dandosi per vinti, hanno formulato una nuova domanda nel 2019, chiedendo il riesame del precedente parere sulla base di nuovi elementi probatori. A quanto emerso, l’opera era stata venduta al consiglio comunale di Eindhoven nel 1951 da Karl Legat (proprio quel mercante che aveva negli anni precedenti collaborato con l’Agenzia Mühlmann) che aveva presentato l’opera come appartenente alla collezione di Arthur Kaufmann e vendutagli dalla figlia di quest’ultimo; tuttavia sulla base di quanto conosciuto sulla storia dell’opera era altamente improbabile che Kaufmann avesse mai posseduto l’opera, a maggior ragione perché il prezzo d’acquisto dichiarato da Karl Legat avrebbe indicato un acquisto successivo alla fine della guerra, mentre la famiglia Kaufmann aveva lasciato i Paesi Bassi prima dell’occupazione.

Inoltre, che l’opera fosse stata vittima dei traffici legati all’ Agenzia Mühlmann è stato avvalorato da un altro legame, quello con Myrtil Frank e la moglie Flory, che nel 1966 inviò al noto mercante d’arte americano Victor David Spark una cartolina riproducente l’opera con scritto a mano “Questo era il nostro Kandinsky“, messaggio che lascia intendere che il marito, durante la sua collaborazione con l’Agenzia Mühlmann, insieme a Karl Legat, sia stato coinvolto in transazioni che avevano ad oggetto proprio Murnau mit Kirche II.

Sulla base di questi nuovi elementi il Comitato di Restituzione ha deciso lo scorso settembre che fosse altamente plausibile sia che l’opera provenisse dalla collezione Stern sia che la famiglia ne avesse perso involontariamente il possesso a causa di circostanze direttamente collegate al regime nazista, disponendo la restituzione dell’opera agli eredi da parte del Comune di Eindhoven che, pur acquistata l’opera in buona fede, ha deciso di rinunciare al diritto di invocare quest’ultima e ha proceduto a restituire l’opera agli eredi.

Questo caso ci permette di svolgere una serie di riflessioni, su quello che è il contesto, anche normativo, in cui si inserisce la vicenda.

Posto l’impegno assunto a livello internazionale nei confronti dell’importanza del recupero degli oggetti d’arte sottratti durante il periodo nazista, suggellato dalla ratifica nel 1998 dei Principi di Washington, e suffragato dalla Convenzione UNESCO del 1970 sulla circolazione dei beni culturali e dalla Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente sottratti; assistiamo oggi ad un duplice atteggiamento da parte degli ordinamenti nazionali rispetto alle contrastanti posizioni di chi, originario proprietario, sia stato indebitamente spossessato dell’opera e chi invece ne sia entrato in possesso successivamente, ignorando l’origine del bene.

Nei sistemi di common law, quale quello britannico e statunitense, viene privilegiata la posizione dei titolari originali a cui verrà riconosciuto il diritto di recuperare il bene, secondo quanto previsto dal brocardo romano “nemo dat quod non habet”. Al contrario, nei paesi di civil law, come l’Italia, di norma si privilegia la posizione dell’acquirente del bene sottratto, favorendo il principio “possesso vale titolo” (ex artt. 1153 ss. c.c.) e la presunta buona fede del nuovo proprietario al momento dell’acquisto, lasciando quindi in capo a chi rivendica la titolarità dell’opera l’onere di dimostrare la mala fede dell’acquirente, ossia il fatto che fosse a conoscenza della provenienza illecita dell’oggetto. Come è comprensibile tale circostanza non è di semplice produzione, considerato anche il lasso di tempo e il contesto storico in cui tali opere sono state sottratte; senza dimenticare che il nostro ordinamento tutela, mediante l’usucapione, il protrarsi ininterrotto per dieci anni (o venti in caso di mala fede) di una situazione di possesso.

Il tema della restituzione dei beni sottratti durante le spoliazioni naziste è un tema delicato e molto attuale. Il caso di quest’opera di Kandinsky è uno tra i molti che popolano la cronaca e le aule dei tribunali, si pensi da ultimo all’ordine emesso il 10 febbraio da un tribunale amministrativo di Parigi che ha ordinato allo Stato francese la restituzione di quattro capolavori di Renoir, Cézanne e Gauguin agli eredi del mercante d’arte francese Ambroise Vollard, o all’azione depositata il dicembre scorso presso negli Stati Uniti (U.S. District Court for the Northern District of Illinois) contro il SOMPO Museum of Art di Tokyo nei confronti del quale gli eredi del banchiere Paul von Mendelssohn-Barthold rivendicano la proprietà dei Girasoli di Van Gogh.

L’attualità del tema è altresì dovuto al rinnovato impegno da parte degli operatori del settore, sia istituzionali che non, di recuperare e ricostruire la storia dei beni sottratti durante il regime, sono diverse infatti le iniziative volte anche solo a sensibilizzare la collettività sul tema, in tal senso è esemplificativo il progetto di legge firmato da Kathy Hochul, governatore dello Stato di New York, che prescriverebbe ai musei dello Stato l’obbligo di indicare in modo visibile se una delle opere esposte sia stata rubata o oggetto di spoliazione durante il nazismo; o ancora si pensi all’esempio del Kunstmuseum di Berna che, dopo aver ricevuto in eredità da Cornelius Gurlitt la collezione del padre, il mercante d’arte Hildebrand Gurlitt, insieme allo stato tedesco si è assunto la responsabilità di fare ricerca sulla provenienza delle opere e restituire quelle spogliate durante il nazismo ai legittimi proprietari, creando a tal fine un dipartimento museale dedicato nel 2017, raccogliendo i risultati in un database online pubblicato nel 2021 e restituendo la ricerca in una mostra dal titolo: “TAKING STOCK. GURLITT IN REVIEW” conclusasi lo scorso gennaio.

Questo tema si riflette anche sul mercato dell’arte, motivo per cui le principali case d’asta internazionali hanno strutturato dipartimenti dedicati e collaborano con realtà quali quella di The Art Loss Register che dal 1990 gestisce quello che oggi corrisponde al più grande database privato al mondo di opere d’arte, oggetti d’antiquariato e da collezione che risultano persi, rubati e saccheggiati

Siamo certi che il 2023 si presterà ad ulteriori riflessioni sul tema, certamente stimolate anche da Reflecting on Restitution, un programma globale di eventi della durata di un anno lanciato dal Restitution Department di Christie’s in occasione del venticinquesimo anniversario dalla ratifica dei Principi di Washington, durante il quale studiosi, esperti legali, ricercatori si incontreranno a Parigi, Amsterdam, Vienna, Berlino, Londra, New York e in tutti gli Stati Uniti e Tel Aviv, per condividere e discutere storie, idee e prospettive sul tema.

Sofia Kaufmann
Sofia Kaufmannhttp://it.andersen.com/
Laureata presso l’Università degli Studi di Milano in giurisprudenza, Sofia Kaufmann è praticante presso lo Studio Andersen a Milano dove si occupa di tematiche relative alla proprietà intellettuale e al diritto dell'arte. Da sempre appassionata di arte e beni culturali, è altresì membro del Gruppo Giovani del Museo Poldi Pezzoli, realtà impegnata nella valorizzazione del patrimonio della Casa Museo milanese e in numerose attività di inclusione destinate a promuovere il patrimonio culturale locale e nazionale

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