Il convegno di studi dal titolo “Il nuovo assetto della tutela penale del patrimonio culturale: la responsabilità individuale e dell’ente”, tenutosi di recente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, ha rappresentato un importante momento di confronto e approfondimento per esaminare le dinamiche legislative e giuridiche riguardanti la tutela penale del nostro prezioso patrimonio culturale, con particolare attenzione alla responsabilità individuale e dell’ente.
Organizzato dalla UNESCO Chair on Business Integrity and Crime Prevention in Art and Antiquities Market istituita presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, in collaborazione con la Fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale (CNPDS) e l’Alta Scuola Federico Stella sulla Giustizia Penale (ASGP) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il convegno ha riunito esperti provenienti da varie istituzioni per approfondire questo tema cruciale.
Al centro delle riflessioni è stata la riforma legislativa rappresentata dalla Legge 9 marzo 2022, n. 22 recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale” (di seguito, anche solo la “Riforma”), entrata in vigore il 23 marzo 2022, che ha segnato una svolta significativa nella tutela dei beni culturali in Italia. Questa legge ha infatti apportato significative modifiche al codice penale e alla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, in conformità agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali adottata a Nicosia il 19 maggio 2017 (ratificata dall’Italia con Legge 21 gennaio 2022, n. 6), che si propone di prevenire e contrastare la distruzione, il danneggiamento e la tratta dei beni culturali, rafforzando l’effettività e la capacità di risposta del sistema di giustizia penale rispetto ai reati legati ai beni culturali e promuovendo, altresì, la cooperazione internazionale sul tema.
Il nostro Paese, custode di una straordinaria ricchezza artistica ed archeologica, continua ad essere un baluardo della cultura nel panorama internazionale, con leadership indiscussa nella lista UNESCO per il maggior numero di siti dichiarati patrimonio dell’umanità. Dietro a questo prestigio si celano tuttavia sfide considerevoli: dai furti al saccheggio, alla commercializzazione illecita e all’esportazione di beni culturali, fino ai ripetuti atti di danneggiamento e vandalismo che minacciano il nostro patrimonio. In risposta a questa serie di minacce, la legislazione italiana ha progressivamente introdotto misure specifiche per proteggere questa straordinaria eredità, un tesoro inestimabile che ci appartiene e va preservato per le generazioni future. Questo impegno riflette una crescente presa di coscienza dell’importanza di salvaguardare la nostra eredità culturale e di garantire ai cittadini il diritto alla fruizione dei beni culturali.
Il quadro normativo italiano si allinea agli obblighi internazionali sanciti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, sottolineando l’impegno dell’Italia nel prevenire e contrastare la distruzione e lo sfruttamento illecito dei beni culturali, promuovendo al contempo la cooperazione internazionale su questo tema di cruciale importanza.
La protezione del patrimonio culturale richiede tuttavia un impegno costante e una strategia di prevenzione ad ampio raggio. È necessario affrontare le sfide criminali, non solo adottando sanzioni per i reati commessi, ma anche con azioni preventive mirate, come l’educazione, la sensibilizzazione e la cooperazione tra le istituzioni pubbliche e private.
Punti principali delle relazioni
Durante il convegno, presieduto dal prof. Gabrio Forti, Direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale dell’Università Cattolica, sono stati esaminati i punti chiave della Riforma. Illustri relatori provenienti da diverse istituzioni e settori hanno offerto un’analisi approfondita sullo stato attuale della tutela penale del patrimonio culturale, mettendo in luce le sfide e le opportunità nell’applicazione delle normative vigenti.
Le disposizioni penali in materia di tutela dei beni culturali erano principalmente contenute nel d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei Beni Culturali), ma la Riforma si è proposta di ridefinire l’assetto normativo il chiaro obiettivo di gradualmente inasprire il trattamento sanzionatorio e ampliare e rafforzare la tutela penale a favore del patrimonio culturale e paesaggistico.
Le modifiche normative hanno interessato anche la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, prevista dal d.lgs. n. 231/2001, estendendo il novero dei reati presupposto con l’introduzione dei reati contro il patrimonio culturale. Con la Riforma hanno fatto ingresso due nuovi illeciti amministrativi dipendenti da reato: i delitti contro il patrimonio culturale (art. 25 septiesdecies) e riciclaggio di beni culturali e devastazione saccheggio dei beni culturali e paesaggistici (art. 25 duodevicies). Questa inclusione ha implicazioni significative per gli enti coinvolti nella gestione e circolazione dei beni culturali, come musei, case d’asta e archivi d’artista, oltre che per gli enti che, pur non operando principalmente nel settore artistico, possiedono beni culturali o cose di interesse culturale o svolgono la loro attività in immobili sottoposti al vincolo della Soprintendenza o in contesti rilevanti dal punto di vista ambientale o paesaggistico.
La relazione introduttiva del prof. Stefano Manacorda, ordinario di diritto penale, ha offerto un quadro chiaro delle principali questioni giuridiche, evidenziando le sfide e le opportunità nell’applicazione delle normative vigenti. Seguita dagli interventi della prof.ssa Paola Severino (Emerito di diritto penale, Presidente della LUISS School of Law) e del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Giovanni Melillo, che hanno presentato un’analisi dettagliata del primo bilancio applicativo della legge n. 22 del 2022, evidenziandone punti di forza e criticità. Particolarmente rilevante è stata la relazione di quest’ultimo riguardante il mercato criminale dell’arte, che ha evidenziato come le nuove disposizioni abbiano impatti significativi su questo settore, spesso è stato oggetto di traffici illeciti e riciclaggio di beni culturali.
Durante il convegno, il comandante dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, gen. Francesco Gargaro, ha offerto un punto di vista fondamentale sul ruolo delle Forze dell’Ordine nella protezione del patrimonio culturale, che con il loro impegno quotidiano, sono protagoniste di innumerevoli iniziative e progetti di collaborazione internazionale, contribuendo attivamente alla salvaguardia dei beni culturali.
Il generale ha evidenziato come negli ultimi due anni, dopo l’entrata in vigore della Riforma, sono stati registrati risultati positivi che testimoniano l’efficacia delle introdotte. Grazie alle nuove disposizioni sono stati recuperati migliaia di beni culturali; nel solo 2023, oltre 1.000 opere sono rientrate in Italia. Tra questi preziosi reperti rimpatriati vi sono la testa in marmo dell’imperatore Settimo Severo (reperto da 500mila dollari) trafugata dall’Italia nel novembre del 1985, localizzata in asta da Christie’s a New York e sequestrata dal Reparto Operativo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, e la lettera con cui Cristoforo Colombo annunciava la scoperta dell’America, trafugata prima del 1988 dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, e che è stata confiscata dalla Procura di Filadelfia e restituita allo Stato italiano. Successi che evidenziano non solo l’efficacia delle misure adottate, ma anche l’importanza cruciale di una collaborazione internazionale costante nella lotta contro il traffico illecito dei beni culturali.
Tavola rotonda: Prevenzione e repressione della circolazione illecita di beni culturali.
Nel corso della tavola rotonda dedicata alla prevenzione e repressione della circolazione illecita di beni culturali è emerso con chiarezza che la protezione del patrimonio culturale richiede non solo interventi repressivi, ma anche una strategia ampia ed articolata di prevenzione.
Gli interventi degli esperti legali Guido Carlo Alleva, Giuseppe Catalano, Alessandra Donati, Luca Lupària Donati e Arianna Visconti hanno evidenziato il ruolo cruciale dell’avvocatura e del settore privato nella tutela del patrimonio culturale ed illustrato le best practices e le sfide legali connesse, sottolineando l’importanza della cooperazione tra istituzioni pubbliche e private.
Di seguito alcune brevi considerazioni sul tema.
Aspetti caratterizzanti (e non esaustivi) dell’intervento riformatore
La Riforma ha cercato di riassegnare organicità al sistema, introducendo nel codice penale i reati di cui agli artt. da 518 bis a 518 undevicies (previsti al nuovo Titolo VIII bis “delitti contro il patrimonio culturale”); in precedenza, le norme incriminatrici di condotte penalmente rilevanti in danno di beni culturali erano ripartite e divise tra il Codice penale e il Codice dei beni culturali.
L’intervento riformatore, ha introdotto nuove figure autonome di illecito, ha – altre volte – inasprito le pene edittali astrattamente previste e ha previsto attenuanti e aggravanti speciali, relative unicamente a questi reati, oltre che una causa di non punibilità per il reato di contraffazione di opere d’arte, in caso di espressa indicazione della non autenticità dell’opera e ad ipotesi allargate di confisca, anche per equivalente. Questi interventi sono giustificati da un lavoro di innalzamento gerarchico del bene culturale e della sua tutela rispetto ai beni di proprietà privata, in ciò creando un distacco dalle precedenti previsioni normative.
Tuttavia, il maggior punto di domanda resta – secondo i più – che cosa debba effettivamente intendersi per “bene culturale”.
Il Codice dei beni culturali del 2004 distingueva tra beni per cui sussiste una presunzione di culturalità ex legis e beni privi di tale presunzione in quanto detenuti da soggetti privati. Questi ultimi, per essere considerati beni culturali richiedono un riconoscimento in tal senso da parte del Pubblico Ministero, in quanto devono essere portatori di un effettivo interesse culturale.
Tale distinzione porta alla scissione tra concezione formalistica (o reale) di bene culturale e concezione sostanziale (per dichiarazione). In altre parole, il bene culturale inteso come tale non ha significato univoco, perché gli viene attribuito un significato flessibile: qualunque bene, a seguito di una dichiarazione di culturalità può rientrare sotto tale categoria. È per questo motivo che la definizione – e l’oggetto che accomuna tutti i reati a sfondo culturale di cui al Titolo VIII bis del codice penale – di bene culturale è tutt’oggi lacunosa.
Tuttavia, tale flessibilità – che viene intesa da molti come una lacuna normativa e definitoria – è di fatto intenzionale. Se la descrizione di bene culturale fosse eccessivamente analitica, rischierebbe di escludere tutta una serie di beni immobili o mobili non annoverati a priori, sebbene rientranti in egual modo entro quei “canoni” culturali e interpretativi.
Si evidenzia anche come non tutto il Titolo VIII bis del codice penale abbia ad oggetto i beni culturali: infatti, alcune di queste fattispecie (artt. da 518 undecies a 518 quaterdecies) fanno riferimento ad un genus più ampio, ricomprendendo tutti quei beni che rivestano un particolare interesse culturale. Anche in ragione di ciò, qualcuno ritiene che bisognerebbe adoperare una definizione più formalistica di bene culturale.
Tuttavia, prima che gli effetti positivi della Riforma possano emergere è necessario evidenziare come sarebbe necessaria una specializzazione della magistratura, intesa sia come ufficio del Pubblico Ministero sia come organo giudicante: al momento, il rischio è quello di delegare l’esito processuale alle valutazioni di consulenti tecnici o periti e lasciando sullo sfondo la valutazione del giudice.
Inoltre, al di là della Riforma “scritta”, sarebbe necessario affrontare il tema della riforma intesa in senso più ampio: le indagini avrebbero bisogno di una maggiore centralizzazione, in ragione della tipologia di “agente” che normalmente soggettivizza questo genere di reati. Infatti, “spesso i criminali in questo campo sono travestiti da gentiluomini” (cit. Giovanni Melillo, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo) e le logiche criminali abbracciano prospettive globali, non evitabili con meri interventi localizzati, ma con azioni flessibili e ad ampio spettro.
Parallelamente – e come accennato – la Riforma ha anche introdotto nel codice penale delle aggravanti speciali applicabili ai reati contro il patrimonio culturale in caso questi abbiano determinato un danno di rilevante gravità, o siano stati commessi nell’ambito di un’attività professionale, commerciale, bancaria o finanziaria, da un pubblico ufficiale o altri soggetti titolati, ovvero ancora nell’ambito di un’associazione di stampo mafioso. In particolare, in caso di reato commesso nell’ambito di un’attività professionale o commerciale, il soggetto sarà condannato anche alla pena accessoria dell’interdizione da quell’attività commerciale o professionale.
Ancora, è stata prevista – oltre a quella sopra accennata – un’ulteriore clausola di non punibilità per tutte quelle attività apparentemente illecite in tale ambito e svolte, in realtà, sotto copertura dalle autorità di indagine, sia ove autorizzate che ove illecite.
Il minimo comune denominatore delle nuove previsioni criminose è il necessario presupposto che il soggetto agente debba agire con dolo specifico, non essendo tali reati perseguibili per mera colpa. In altre parole, un reato di questo tipo può essere commesso – e perseguito – solo se effettivamente voluto e ricercato dal suo autore: deve sussistere, cioè, una sua reale intenzione di realizzare il risultato che la norma incriminatrice vuole prevenire e, successivamente, punire. Tale volontà e intenzionalità deve essere verificata tramite una rigorosa prova, in quanto non può in alcun modo essere presunta.
Inoltre, la condotta effettivamente posta in essere dal soggetto deve anche essere idonea a realizzare quella conseguenza giuridica, dev’essere in grado di creare quella situazione di pericolo o di danno rispetto al bene culturale tutelato.
Infine, va appurato se il bene sia effettivamente autentico o contraffatto poiché, in tal caso, non troverebbero applicazione le norme incriminatrici sopra menzionate; nondimeno, potrebbero essere applicabili reati comuni e non specifici (es.: il furto anziché il furto di beni culturali).
Merita una riflessione la previsione della confisca disposta dal giudice in ogni caso dei beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali oggetto di reato, salvo appartengano a persona estranea al reato.
Con la previsione in oggetto, si coglie la centralità del bene culturale come bene da tutelare penalmente, che diviene espressamente meritorio di confisca.
In particolare, sembra che la norma consenta di evitare la circolazione di beni culturali al centro di processi penali conclusisi non solo con la condanna o con la richiesta di patteggiamento dell’imputato, ma anche in quei casi in cui il reato è estinto (anche prima della sentenza di primo grado): si tratta, tra gli altri, dei casi di declaratoria di prescrizione, di morte dell’imputato prima della condanna, di sospensione condizionale della pena o, meno rilevanti in pratica, di remissione di querela – ma praticamente tutti i reati contro il patrimonio culturale sono procedibili d’ufficio –), oppure, in ogni altro caso in cui i beni sopra menzionati hanno costituito oggetto del reato.
Da ultimo, merita senz’altro un cenno l’impatto della riforma sulla responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/01, altro ambito di interesse e in cui emerge in tutta la sua problematicità la definizione di bene culturale.
Come noto, l’illecito amministrativo dipendente da reato che può essere contestato ad un ente ha natura complessa, costituita dall’esistenza di un reato presupposto, dall’esistenza di un interesse o vantaggio per l’ente stesso e la commissione del reato presupposto da parte di un soggetto apicale o organico all’ente.
La riforma ha introdotto – in due articoli del menzionato d.lgs. 231/01 – tutti i reati previsti dal codice penale al titolo ‘reati contro il patrimonio culturale’, salvo i reati di impiego di beni culturali provenienti da delitto e di autoriciclaggio di reati culturali, con scelta di cui non si coglie la motivazione logico – giuridica: questi due reati, in forma comune e non limitata al patrimonio culturale, infatti, sono già compresi nell’elenco dei reati presupposto.
Preso atto di ciò, le società o gli enti dovranno aggiornare il loro modello organizzativo di gestione e controllo, partendo dal catalogo e censimento di tutti i beni culturali, per poi adeguare – ove necessario – le procedure e i protocolli a tutela di questi ultimi, sensibilizzando i ruoli e le funzioni aziendali gestori di aree sensibili.
È evidente che, dunque, se questa attività di aggiornamento del Modello organizzativo chiama in causa quegli enti che hanno il bene culturale come oggetto centrale della propria attività (musei, case d’asta, archivi storici, ecc.) a ben vedere anche altri enti potrebbero dover aggiornare il Modello per prevenire la commissione di reati contro il patrimonio culturale nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso: si pensi – per esempio – a tutte le società che hanno nel proprio patrimonio beni culturali (banche e assicurazioni in primis), o che hanno sede in un immobile che rientra nella tutela.
Orbene, anche dal punto di vista dell’impatto sulle società, allora, la Riforma dà la cifra dell’importanza del bene culturale o paesaggistico quale oggetto di tutela, che chiama anche le società ad un’opera di censimento che, probabilmente, potrebbe anche avere il vantaggio di riorganizzare il patrimonio culturale italiano in mani private.
Certo è che, per poter avere un primo bilancio di efficacia della riforma, occorrerà sicuramente attendere del tempo: basti pensare che il nuovo reato di riciclaggio (di beni culturali), di cui all’art. 518 sexies c.p., non ha ancora trovato applicazione.
Analisi e riflessioni
Il convegno ha messo in evidenza l’urgente necessità di rafforzare gli strumenti giuridici e le politiche pubbliche per contrastare il dilagante fenomeno della circolazione illecita di beni culturali. È emersa la fondamentale importanza della cooperazione tra diverse istituzioni, nazionali e internazionali, nel promuovere una tutela efficace e duratura del nostro patrimonio culturale.
Tuttavia, resta ancora molto da fare per affrontare le sfide attuali e future in questo ambito, soprattutto considerando l’evoluzione delle tecnologie e dei mercati globali. È fondamentale un impegno congiunto e coordinato da parte di tutte le parti interessate per preservare la nostra ricchezza culturale per le generazioni future.