Della dignità della diversità e della ricchezza dell’inclusione se ne parla spesso e mai abbastanza. Temi sociali ma anche temi che riguardano oggetti. Temi che mettono insieme persone e oggetti. Per raggiungere il nostro obbiettivo parleremo di diversità non disgiungendola dalla parola importanza. Vediamole una alla volta, insieme, e nel mondo della conservazione dei beni culturali.
Con la parola diversità la Treccani intende L’esser diverso, non uguale né simile: diversità d’aspetto, di colore; diversità di opinioni, di gusti; diversità biologica Aggiunge Anche, ciò per cui due o più cose sono diverse: notare le diversità. Oppure La condizione di chi è, o considera sé stesso, o è considerato da altri, “diverso”.
Negli anni ’80 parte dell’educazione relazionale scolastica e sociale impartita a noi bambini era basata sul concetto non di diversità ma di uguaglianza che è, da dizionario, esattamente il suo contrario.
Professore più maestro meno, chi in modo difforme, chi ostentato, chi forzatamente adeguato, chi appigliandosi a teorie social-educative che riscattavano l’emarginazione dall’istruzione di classi sociali meno abbienti pre boom economico, la tendenza era quella di essere tutti uguali a tutti, e basta.
La narrazione che ricordo era quella dell’uguali davanti alla legge, che per noi poi erano sostanzialmente la mamma, il papà, i nonni e la maestra. Uguali davanti a Dio, affermazione chiara a tutti vista la differenza sostanziale che ci separava dalla sua unica e perfetta identità.
Uguali davanti mamma e papà negli affetti, ma io negli anni ’80 ero ancora figlia unica per cui a differenza di altri, dentro casa, non avevo problemi di uguaglianza con nessuno. A posteriori ho compreso il significato di quelle impostazioni educative e letto con ammirazione gli sforzi di un’Italia che desiderava cambiare ripartendo dalle nuove generazioni. Un’azione culturale che portava in sé il riscatto e la rivincita sociale ed economica.
Comunque, al di là del senso assoluto, era così complicato, almeno per i miei occhi di bambina, non notare la quantità infinita di dettagli a mio avviso molto più interessanti che differenziavano me dai miei amici. E che differenziava loro tra di loro. Per non parlare di loro con Dio, con la maestra e con i genitori.
Una pioggia infinita di svariati dettagli ci differenziava. Io ero piccola, davvero piccola, piccola in tutto. Diego era grande, davvero grande, grande in tutto. Gli occhi di Lucia non erano come quelli Sara e i capelli di Chiara diversi da quelli Tatiana. Katia era alta. Pietro basso, ma mai come me.
Poi c’erano due Luca completamente diversi tra loro. Emanuela era la più brava a pallavolo, anche le altre non scherzavano, io nuotavo. Nuotavo e giocavo con le Barbie. Valentina invece avrebbe fatto di ogni per i pattini. Uguali?
Strideva tanto per noi il concetto di uguaglianza. E ringrazio Deanna, la nostra maestra, per averci considerati ed educati tutti in modo diverso. Nel suo impegno e nel suo enorme lavoro di ricercare metodi all’avanguardia che incontrassero le intelligenze ed i caratteri di ognuno di noi ho probabilmente capito davvero l’assoluta ricchezza dell’essere diversi e comunque uguali sempre e tutti davanti a lei.
Non ci osservava, se non quando necessario, come un unico corpo classe ma nella nostra molteplicità. Ogni nostro diverso punto di vista era l’opportunità di crescita di altri. La leva o l’incastro giusto moltiplicatore di conoscenza e sensibilità. Coglieva le diversità, le sottolineava, le mediava, traduceva, negoziava, valorizzava e si prendeva cura di ogni nostra crescita. Più che una maestra lei è stata una primavera. Per lei eravamo tutti ugualmente importanti.
Importanza, sempre per la Treccani, è il fatto d’importare a qualcuno, di stargli a cuore, di costituire per lui oggetto di grande o notevole interesse. Nell’uso comune, qualità intrinseca per cui una cosa, in sé o negli effetti che ne possono seguire, ha qualche rilievo e merita considerazione.
Dare valore alla diversità, raccontandola, scegliendola e facendola conoscere è un processo trasformativo che reca importanza, che illumina una persona ma anche un oggetto. Ognuno di noi ha a cuore per motivi affettivi, o di interesse professionale o per consuetudine cose diverse. Questo filo che ci lega agli oggetti annulla ogni valore razionale di un oggetto se non quello propriamente materiale.
Avviene la stessa cosa nel mondo dell’arte. La conservazione dei beni culturali è una delle grandi protagoniste di questo processo. Soprattutto al giorno d’oggi e nell’arte contemporanea. L’esclusività della bellezza e l’autorità di alcuni oggetti d’arte rispetto ad altri è ormai rivista.
Sono i soggetti che secondo il proprio vissuto riconoscono all’oggetto un significato, scegliendolo come un loro prolungamento di senso nella società, nella religiosità, nella civiltà o tra i propri affetti. Gli oggetti sono narrazioni. Sono molteplici storie e altrettante identità.
È l’intersoggettività, la comunità di eredità di quegli oggetti, i rapporti che si creano tra loro e gli oggetti che danno valore all’oggetto stesso. Il ruolo del conservatore è quello di intercettare l’importanza che i soggetti conferiscono all’oggetto, qualsiasi esso sia, dal valore identitario, a quello storico, rituale, religioso, della tradizione, politico, morale, etico, scientifico, affettivo, tecnico, e grazie agli strumenti della professione (conoscenze, rapporti persuasivi, negoziali e diplomatici) farlo vivere, raccontarlo, farlo conoscere e illuminarlo da luci diverse. La diversità delle opere e degli oggetti sono resi pari agli occhi di un conservatore.
Penso al museo civico di Castelbuono (Palermo) e a La Stanza delle Meraviglie, un progetto partecipativo con i cittadini di Castelbuono a cura di Maria Rosa Sossai, in collaborazione con Angelo Cucco. Un’esposizione di centinaia di oggetti prestati dai castelbuonesi e raccolti in un prezioso allestimento realizzato come le settecentesche wunderkammer.
L’esposizione fa parte del progetto, L’Asta del 1920, curato da Sossai e Cucco e con la partecipazione dei cittadini di Castelbuono, coinvolti già dal 2019 in un processo di riappropriazione della memoria collettiva e del valore della condivisione.
In mostra più di 200 oggetti prestati da singoli cittadini, associazioni, scuole, confraternite, tutti coinvolti attivamente nel progetto che rende protagonista un’intera comunità. Alla base dell’iniziativa, la celebrazione del senso di appartenenza, del riconoscimento del valore della solidarietà verso un bene comune, grazie a cui fu possibile l’acquisto del Castello con una colletta pubblica voluta dal sindaco di allora, Mariano Raimondi.
Seguendo la suggestione delle Wunderkammer (stanza delle meraviglie) che nel ‘600 e nel ‘700 custodivano collezioni di oggetti unici, eccentrici e preziosi, La Stanza delle Meraviglie intende celebrare il valore di un bene comune, attraverso l’acquisizione del Castello dei Ventimiglia con una colletta pubblica, dopo che nel 1920 il Castello era stato messo in vendita a un’asta giudiziaria.
Questo evento di straordinario valore storico e culturale con la quale i castelbuonesi decisero di consegnare parte dei loro beni (prodotti agrari e altro) al fine di raccogliere la cifra sufficiente per l’acquisto, può essere annoverato come il primo esempio di bene pubblico in Sicilia.
Gli oggetti sono tra i più vari e risalgono quasi tutti alla prima metà del ‘900: suppellettili di varia natura, come strumenti di lavoro, abiti, cappe, abitini delle confraternite, scarpe, documenti, monili, borse, gioielli, foto, insegne e altri materiali che rappresentano la storia di una comunità di cittadini che condivide da un secolo lo stesso valore identitario e di appartenenza.
In questo nuovo contesto il significato di questi oggetti va oltre il loro valore intrinseco per assumere quello simbolico di un patrimonio immateriale, costituito da una rete di relazioni, che è la sola condizione in grado di mantenere vivo il senso di collettività.
Le assemblee e le numerose occasioni d’incontro hanno rinnovato il desiderio di condivisione e la volontà di trasmetterne la memoria alle generazioni future. Per saperne di più di potete consultare la pagina che dedica al progetto il museo civico di Castelbuono.
Sul concetto di molteplicità di relazioni che si instaurano tra le persone e le opere se ve lo siete persi, c’è #molteplicità. Patrimonio culturale, quel silenzioso filo che ci lega alle realtà.
Alla capacità di mette insieme i soggetti che gravitano a diverso titolo attorno ad un’oggetto, al ricercare e restituire significati attraverso narrazioni, intercettare significati e racconti “altri”, raccordare tutti gli attori, spesso attraverso i rappresentanti che hanno; tracciare zone di mediazione ed una possibile via di buon senso che armonizzino i significati parcellizzati e destrutturati per poi cucirli e tenerli assieme in una operazione di valorizzazione abbiamo, invece, dedicato l’articolo #negoziazione: oggetti, soggetti, zona di mediazione e disponibilità al cambiamento.
Mentre sul ruolo del conservatore abbiamo già scritto nell’articolo #conservatore: mente aperta e sguardo verso il futuro (della professione).