Raccogliendo la proposta fatta dal nostro líder máximo Nicola Maggi qualche articolo fa su “Collezione da Tiffany”, mi pregio — come si suol dire — di azzardare anch’io qualche suggerimento su film e libri che aiutino a passare costruttivamente e magari anche piacevolmente le lunghe giornate di quarantena che ancora ci attendono.
Direi che Nicola è stato molto esauriente nel segnalare siti di musei, gallerie e fiere che ora mettono a disposizione visite e mostre virtuali; mi stuzzica invece il suggerimento del bellissimo Basquiat di Julian Schnabel, cui subito affiancherei lo struggente Lo scafandro e la farfalla, sempre dell’artista/regista newyorkese (il cui recente Van Gogh — Sulla soglia dell’eternità mi ha invece un po’ deluso).
Se vogliamo rimanere nel campo dei film d’artista o collegati all’arte contemporanea, partirei dai tre documentari da me preferiti tra quelli che conosco: Mario Schifano tutto di Luca Ronchi, Marina Abramović: The Artist is Present di Matthew Akers e Jeff Dupre e Maurizio Cattelan: Be Right Back di Maura Axelrod.
Come film di finzione ambientati nel mondo dell’arte, invece, segnalerei due lungometraggi tutto sommato poco conosciuti: Ore contate di Dennis Hopper (tit. orig. Catchfire, ma conosciuto anche come Backtrack, 1990), con una splendida Jodie Foster protagonista — un thriller/road movie divertente e un po’ sgangherato che mostra tanta arte statunitense degli anni Ottanta — e il recentissimo Il mio capolavoro (Mi obra maestra, 2018) di Gastón Duprat, uno dei registi di punta del magnifico e ancora poco conosciuto nuovo cinema argentino.
Ma, al di là dei film sull’arte, tutto il tempo che avremo a disposizione può essere un’ottima occasione anche per (ri)scoprire i “classici” del cinema, molti dei quali sono oggi facilmente reperibili gratuitamente su portali web come YouTube. Avete mai visto ad esempio — mi rivolgo soprattutto alle generazioni più giovani — capolavori come Quarto potere di O. Welles, Les enfants du paradis di M. Carné, Il grande sonno di H. Hawks, Il posto delle fragole di I. Bergman o A qualcuno piace caldo di B. Wilder? O anche il tanto fantozzianamente diffamato La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn, che è invece per la sua epoca (1925) un film dal ritmo incredibilmente serrato (non a caso è considerato unanimemente un’opera fondamentale nella storia del cinema).
Visto che ci siamo, se devo dirla tutta, nel cinema muto la mia predilezione va però a un regista come David Wark Griffith: al di là dei suoi grandi lungometraggi, vi consiglio ad esempio uno straordinario cortometraggio del 1910, The unchanging sea, anche questo presente su YouTube (dove si trovano anche i primi veri e propri film d’artista: Le retour à la raison di Man Ray, Anémic Cinéma di Duchamp, Un chien andalou di Dalí/Buñuel…).
E per concludere questa parte cinematografica, parlando di capolavori del cinema vi raccomando ancora qualche titolo non troppo scontato: Pat Garrett & Billy the Kid di S. Peckinpah, The Rocky Horror Picture show di J. Sharman, Love streams di J. Cassavetes, Io e il vento di J. Ivens — ce n’è per tutti i gusti.
Passando ai libri e tornando all’arte contemporanea, alcuni titoli a me cari vengono dalla penna di critici in realtà alquanto distanti da me come gusti. Però Da che arte stai? di Luca Beatrice (Rizzoli, 2010) costituisce un’interessantissima e documentata rassegna sull’arte italiana degli ultimi decenni, esaminata nel suo contesto storico e culturale con occhio disinibito e indipendente («Una storia revisionista dell’arte italiana», recita il sottotitolo del libro) ma di amplissima visione. The Art Horror Picture Show di Marco Tonelli (De Luca, 2011) prende invece polemicamente di mira gran parte dell’arte d’avanguardia degli ultimi anni, con dichiarata sfrontatezza che però riesce a denunciare efficacemente il lato autoreferenziale (e collegato al mercato) di tanta arte contemporanea.
Ma perché non approfittare del famoso tempo a disposizione per rileggere, anche in questo caso, i classici? Ad esempio Gillo Dorfles, per me uno splendido esempio di equilibrio tra spontaneo interesse e sostegno all’avanguardia e alla ricerca, purché abbia sostanza e forma e non si risolva in semplici “trovate” o gratuite cacce allo scandalo. Oppure, andando à rebours, i Concetti fondamentali della storia dell’arte di Heinrich Wölfflin (1915).
Lo avevo studiato per un esame all’Università e lo ricordavo come un libro importante e anche piacevole da leggere: riletto oggi, la sorpresa è che questi Concetti, che rappresentarono la fondazione di una vera e propria critica formalistica, rivoluzionaria per l’epoca e anche da più parti contestata, risultano tuttora basilarmente validi e adattabili anche a tanta arte del Novecento (lo stesso Wölfflin già arrivava a fare cenni all’Impressionismo).
Cinque coppie di concetti antitetici — relativi all’analisi delle peculiarità stilistiche del Rinascimento rispetto al Barocco, senza gerarchie di valore — formano l’impalcatura di una teoria della critica formale: lineare/pittorico, superficie/profondità, forma chiusa/forma aperta, molteplicità articolata/unità non articolata (direi in maniera più chiara: autonomia del particolare/visione d’insieme), chiarezza assoluta/chiarezza relativa (strettamente connesse a luce e colorismo).
Si tratta di parametri di base — «categorie della visibilità» le definisce a un certo punto l’autore — che creano le fondamenta per un’obiettiva analisi formale dell’opera, scevra da sovrastrutture contenutistiche e aspetti «sentimentali» romantici.
Buone visioni, buona lettura!