Mi piace particolarmente raccontare di questa collezione oggi. Mentre scrivo, si sentono i primi giorni invernali di una stagione finalmente fredda che quest’anno sembrava non voler arrivare. Mi piace perché mi ricorda le ore trascorse nelle vicinanze di Pistoia, quest’estate. Una giornata calda e umida, aveva appena smesso di piovere, e che per me ha significato scoprire una grande collezione italiana ideata, fatta crescere e oggi custodita da una famiglia appassionata e con una storia speciale da raccontare.
È bastato salire su una golf-car per farmi guidare da Caterina tra le stradine dell’immenso parco della Collezione Gori, pieno di installazioni di arte ambientale, per risalire alle vicende della tenuta storica acquistata dal papà Giuliano nel 1970 e per farmi raccontare di come da quel momento, quel parco abbia cominciato ad essere frequentato da artisti che – mangiando le specialità toscane – cominciarono a produrre e a creare opere site specific, con materiali del posto che non si sarebbero mai più spostate da quei prati.
Da Roberto Morris a Loris Cecchini, da Beverly Pepper a Sandro Veronesi. Una lista lunga di artisti, che conta oggi ben 80 opere. Una passione collezionistica quella che caratterizza Giuliano Gori e che dura da quasi un secolo e che ha quindi caratterizzato l’intera sua vita.
Non gli è bastato collezionarle. Voleva (aggiungo, giustamente) far conoscere il suo grande progetto. Dal 1982, da più di quarant’anni il parco è visitabile gratuitamente. E dal 1999, da quindi più di vent’anni le opere che possono essere movimentate e tutto il materiale documentario utile a descriverle fanno parte di una mostra itinerante – la possiamo chiamare così – che ha viaggiato dal Giappone, alla Spagna fino alla Francia.
Forse proprio per questa capacità di guardare un po’ oltre i normali confini del visivo, fin da subito Giuliano si accorse che non bastava raccogliere opere e metterle insieme. Bisognava prendersene cura, manutenerle con un occhio specialistico. E non riuscendo a soddisfare questa esigenza in autonomia, dal 2013 decise di aprire la collezione a istituti specializzati di alta formazione che potessero approfondire con lui il tema. Così l’Opificio delle Pietre Dure e il Politecnico di Torino sono diventati main partner e supporter all’attività conservativa e manutentiva di tutte le opere presenti nel parco.
Ma la collezione non è solo un insieme di opere – per quanto innovative e strabilianti. Ogni due anni, all’interno del parco un artista affianca un poeta e provano a dialogare, a produrre quella che Caterina definisce poesia ambientale.
Che dire di altro? Ascoltare Caterina raccontare del parco fa venire una gran voglia di aspettare l’estate per vivere quegli spazi verdi, per scoprirli. E sperare che nessuna catastrofe ambientale possa mai anche solo danneggiare questa collezione capolavoro.