Fin dagli anni Ottanta, potete incontrare Maby Navone sulla spiaggia di Sestri Levante che, dopo ogni mareggiata, si veste da collezionista andando alla ricerca e accumulando gli oggetti che il mare ha sbattuto sulla sabbia. Residui della modernità che l’artista ligure separa dalla loro condizione d’uso per trasformarli in “testi” da interpretare, in elementi per raccontare simbolicamente la realtà e i suoi drammi. Un “collezionismo” particolare, quello da cui nascono le opere di Maby Navone, in cui gli oggetti non sono più funzione del sociale ma testimonianza dei modi di vita, creando nuove relazioni di senso in cui sembra riecheggiare l’imperativo dell’etica della responsabilità di Hans Jonas: «Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana».
Nicola Maggi: Mare, spiaggia, paesaggio costiero. Nel suo lavoro la loro presenza è molto forte, tanto da spingere quasi ai margini l’elemento umano…
Maby Navone: «Il mio rapporto con il mare è, come per tutti i liguri, credo, un rapporto viscerale, totale: è la cosa più importante che c’è per noi. Lo sento un po’ come lo sentiva Montale: per lui il mare era la divinità; era Dio stesso. Diceva che dal mare hanno preso origine tutte le cose, ha preso origine la vita e, quindi, il mare è stato creatore come è stato creatore Dio».
N.M.: La vera protagonista della sua opera è la plastica. Come è iniziata questa sua “raccolta” di oggetti?
M.N.: «Ho cominciato a raccoglierla perché sapevo, a quei tempi, negli anni Ottanta, che non era riciclabile e che sarebbe restata lì. Le persone non facevano caso alla bottiglia di plastica che era in mare e ce ne erano tantissime. Sulla spiaggia di Sestri sono arrivate vere e proprie bordate di spazzatura. C’erano addirittura delle dune e sembrava di essere in un deserto, non di sabbia ma di spazzatura».
N.M.: Un collezionismo che si è evoluto nel tempo…
M.N.: «All’inizio raccoglievo praticamente di tutto, anche cose grosse. Contenitori di tutti i tipi: grandi, piccoli, schiacciati, vecchi e perfino delle taniche. Avevo una raccolta di taniche che poi ho dovuto conferire perché qui non ci stavano. Schiacciate, storte, piccole, grosse, di tutti i tipi. Una volta raccoglievo tantissimo. Adesso molto meno, scelgo le cose più colorate e soprattutto cose vecchie. Evito, invece, perché vedo che poi non mi ispirano, cose con gli angoli acuti, cose molto squadrate. Quelle non mi servono. Invece mi piacciono molto i pezzi vecchi anche se non hanno più memoria, se non si capisce più neanche che cosa erano. Basta che abbiano delle forme un po’ tondeggianti».
N.M.: Dagli oggetti alle opere. Ci racconta il suo processo creativo?
M.N.: «Quando io raccolgo le cose, dopo averle lavate, le divido per colore, per grandezza. Poi le suddivido anche per tipo perché capita che ci siano oggetti che si ripetono e, allora, tutti quelli uguali li metto da una parte in un recipiente più piccolo. E così faccio per tutti i colori se c’è un oggetto che si ripete, e qualche volta mi serve proprio l’oggetto ripetuto per metterlo da qualche parte. E’ una selezione continua: prima per colore, poi per dimensione, per tipologia di oggetto».
N.M.: Nella sua ricerca ci sono degli oggetti a cui si sente più legata, che la toccano maggiormente?
M.N.: «Le cose che mi emozionano di più sono, ad esempio, i sandalini dei bambini che sono stati perduti. Mi danno un’emozione grande perché penso al bambino e al suo piedino che è rimasto nudo senza il sandalo e che magari si è preso la sgridata dalla mamma perché lo ha perso. E così quelli li cerco tutti e li ho messi da parte. Un’altra cosa che mi emoziona, quando la trovo, sono le bambole mezze rotte o i pezzi di bambola. Perché sulla spiaggia si trovano la testa, il braccio, la gambina, oppure il tronco. Sono bambole massacrate, a volte anche mezze bruciate perché vengono dalle discariche perché questa è la provenienza di tante delle cose che trovo sulla sabbia di levante».
N.M.: Tutti questi oggetti che lei, potremmo dire, salva dal “nulla” nei suoi lavori si rovesciano letteralmente nei valori del presente, divenendo portatori di messaggi decisamente attuali…
M.N.: «Vorrei che portassero due tipi di messaggi. Il primo messaggio è quello di rispettare l’ambiente, perché è di tutti e nessuno deve avere il diritto di insozzarlo, neppure con un pezzettino di carta. Figuriamoci poi con degli oggetti voluminosi, sporchi. Il secondo messaggio è quello di guardarsi bene dal consumare troppe cose. Perché il fatto che noi siamo abituati a consumare e ad adoperare una miriade di oggetti, perché non ne abbiamo mai abbastanza, comporta, come conseguenza inevitabile, che tutti questi possano essere lasciati cadere, persi, senza che questo ci turbi in alcun modo. Se le persone si abituassero ad avere molte meno cose, probabilmente, se le terrebbero da conto e non le smarrirebbero. E questo è un messaggio forte che io voglio mandare».
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