È in corso in Triennale Milano la Mostra “Pittura italiana oggi” una grande collettiva dedicata alla pittura italiana contemporanea attraverso il lavoro di 120 artisti italiani nati tra il 1960 e il 2000. La mostra si concluderà, salvo proroghe l’11 febbraio 2024.
Ho avuto il piacere di intervistare per Collezione da Tiffany il curatore Damiano Gullì.
Roberto Brunelli: Buongiorno Damiano, devo subito complimentarmi con te per l’evento milanese. Indipendentemente dai giudizi, sempre soggettivi, ti va il merito di aver allestito una mostra di cui si sta parlando tantissimo.
Damiano Gullì : Ti ringrazio per le tue parole, mi fanno molto piacere. Per Triennale è stata una vera sfida e posso tranquillamente affermare che l’obiettivo è stato raggiunto. La nostra istituzione da sempre si propone come luogo per lo scambio e il dialogo sulle discipline e le grandi tematiche del nostro tempo.
Proprio con questa volontà, anche la mostra nasce per aprire un dibattito. Vedere che tanti professionisti e tante testate tornano a parlare oggi di arte, pittura, sistemi espositivi da punti di vista diversi, anche con toni accesi e approcci divisivi, trovo sia straordinario all’interno di una scena in cui spesso si percepisce la mancanza di critica e confronto.
Per questo stiamo lavorando anche a un momento del Public Program con artisti, critici, curatori e giornalisti proprio dedicato all’approfondimento di temi e riflessioni scaturiti dalla mostra.
R.B.: Credo che sia stato molto difficile organizzare una collettiva così ampia rispettando le sensibilità e la professionalità degli artisti che non hai portato in Triennale, come sono avvenute le tue scelte, con quale criterio hai selezionato questi 120 artisti.
D.G.: Nel recente passato, ormai 3 / 4 anni fa, ho portato avanti una rubrica su “Artribune”, in cui ho raccolto un centinaio di interviste a pittori e pittrici italiani. È stata un’ottima palestra e un punto di partenza, a cui hanno fatto seguito ulteriori dialoghi, incontri, studio visit, visite a mostre e fiere, tante tante letture che hanno costituito l’humus per Pittura italiana oggi.
Volevo, sì, raccontare la pittura di oggi ma, allo stesso tempo, la pittura è via via diventata anche una chiave interpretativa della nostra contemporaneità, uno strumento di analisi e restituzione di questi ultimi tre anni densi di eventi e trasformazioni, filtrati dallo sguardo rabdomantico degli artisti.
Ho quindi individuato i 120 artisti in mostra – una numerica importante, sì, ma che volevo proprio tale perché mi sembra adeguatamente ampia per far comprendere la ricchezza della scena italiana –per la loro qualità, ovviamente, e per la loro capacità di farci guardare al nostro mondo in modo trasversale. E inevitabilmente la selezione è fatta anche di esclusioni – ma questo mi sembra anche pleonastico doverlo ribadire – sempre e comunque nel rispetto di tutte le sensibilità e professionalità.
R. B.: Anni fa ho scritto un articolo dal titolo per CDT dal titolo “Mostre collettive: quando gli artisti dicono “no”…” hai avuto questo genere di problemi nella convocazione degli artisti che volevi portare in Mostra?
D. G. In realtà devo ammettere che non ho avuto problemi nel ricevere da parte degli artisti le loro adesioni. Tutte e tutti, da subito, hanno dimostrato grande entusiasmo, e grande fiducia, rispetto alla mostra. Nessun “no”, insomma.
Credo sia stato percepito come un momento “necessario” e un’occasione preziosa per poter presentare il proprio lavoro. Mi sento di approfittare di questo spazio per rinnovare il mio più profondo ringraziamento a tutti gli artisti e artiste presenti in mostra per l’impegno e la passione riversati in questo progetto.
R.B.: Questa attenzione e concedimelo, clamore mediatico attorno alla Mostra conferma in ogni caso l’attenzione che il grande pubblico ha verso gli artisti italiani delle generazioni comprese tra il 1960 e il 2000
D.G.: Sono d’accordo. Proprio l’ottima affluenza di pubblico in mostra è un segnale evidente di quanto anche tu registri. La mostra ha vari livelli di lettura e si propone di parlare a pubblici allargati, non necessariamente agli addetti ai lavori.
La soddisfazione, quindi, è duplice nel vedere famiglie con bambini – per i quali abbiamo ideato degli specifici laboratori e visite guidate e un album, distribuito gratuitamente, quale ulteriore supporto alla visita –, studenti e appassionati popolare con entusiasmo e curiosità gli spazi espositivi.
R.B.: Quando curai nel 2017 la mostra “MIAs Mid-career Italian Artists” portai a Torino un’attenta selezione di artisti nati tra il 1960 e il 1970 sottolineando il concetto di Artista Mid-career. Convieni che in Italia nel mondo dell’arte tale definizione sia un po’ sottovalutata.
D.G.: Assolutamente. Si tratta di generazioni che, per quanto talentuose e impegnate in una ricerca costante e coerente, sicuramente non hanno spesso ricevuto la giusta attenzione da parte della critica.
I motivi sono molteplici e, tra questi, credo incida anche il fatto che la definizione “giovane artista” – come anche quella Mid-career – in Italia tocchi un range di età talmente ampio, e poco comprensibile soprattutto all’estero, che non facilita percorsi e carriere. È necessario fare sempre più sistema, avere un’attenzione da parte di critici curatori e istituzioni per promuovere le nostre eccellenze ma anche per puntare sulle giovani generazioni. E non si tratta, come sono solito ribadire, di mero campanilismo.
Triennale lavora e continua a lavorare con un respiro e un’apertura internazionali. Ritengo però che, attraverso un sistema di mostre ed eventi, si possa cercare di far fronte a un’insoddisfazione diffusa per il fatto che la scena dell’arte contemporanea italiana, non solo quella pittorica, non goda di riconoscibilità da parte del sistema internazionale.
E attuare così azioni di promozione e valorizzazione analoghe a quanto accade in Francia con i Frac (Fonds Régionaux d’Art Contemporain), in Svizzera, Austria e Germania con le Kunsthalle e le Kunsthaus o ancora negli Stati Uniti con la Biennale del Whitney Museum riservata agli artisti americani.
R.B.: Credi che, se gli artisti italiani delle ultime generazioni avessero saputo far gruppo avrebbero avuto maggiore visibilità a livello internazionale?
D.G.: Non sono sicuro che il raggruppamento sotto una univoca “etichetta” avrebbe potuto, o possa, contribuire a una maggiore visibilità a livello internazionale.
Certo, se pensiamo a esempi come l’Arte Povera o la Transavanguardia, senza dubbio questo è stato un elemento che ha dato ancora maggiore coerenza e forza a esperienze e ricerche individuali e le ha rese molto riconoscibili, seppur, al contempo, esse rappresentino due pietre di paragone rispetto alle quali per gli artisti è stato talvolta difficile affrancarsi.
R.B.: Nel 2015 lanciai una petizione per chiedere che il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia tornasse ai Giardini così da dare la meritata visibilità alla nostra Nazione e agli Artisti italiani, a oggi gravemente penalizzati dall’aver visto ormai da diversi anni il nostro Paese cedere il suo storico/naturale Padiglione ai Giardini in cambio di una posizione defilata e logisticamente poco felice all’Arsenale. La proposta ti trova d’accordo?
D.G.: Quello della collocazione del Padiglione Italia è sicuramente un tema, ma penso che, ancora più importante, sia l’applicare precisi criteri di selezione degli artisti rappresentati il nostro Paese e l’individuazione del concept che sottende alla selezione. Le recenti curatele degli ultimi anni hanno sicuramente contribuito in maniera significativa a dare una identità forte, riconoscibile, e di qualità, al Padiglione Italia.
R.B.: Per finire mi piacerebbe che ci parlassi dei tuoi progetti futuri, dei tuoi sogni e di quanto si è davvero concretizzato rispetto a quello che hai e/o avresti voluto portare come contributo a quel mondo fantastico che rimane pur sempre quello dell’arte.
D.G.: Poter lavorare in una istituzione dalla storia così lunga e prestigiosa come Triennale (quest’anno celebriamo i 100 anni!) e il costante confronto con il Presidente Stefano Boeri, la Direttrice Generale Carla Morogallo, tutto il comitato scientifico (Umberto Angelini, Nina Bassoli, Lorenza Bravetta e Marco Sammicheli) e il team dell’istituzione rappresentano un’esperienza straordinaria, stimolante e sempre arricchente.
Pittura italiana oggi rappresenta un’occasione per proseguire il percorso di promozione e valorizzazione della scena artistica italiana avviato da Triennale da alcuni anni, che ha visto coinvolti in talk e progetti espositivi artiste e artisti italiani di diverse generazioni – da Corrado Levi e Lisa Ponti a Marcello Maloberti, da Anna Franceschini a Lorenzo Vitturi, da Francesco Vezzoli a Nico Vascellari – tutti caratterizzati dalla capacità di muoversi con disinvoltura e talento tra diverse discipline; un approccio coerente con quello dei grandi protagonisti che hanno fatto la storia della nostra istituzione.
I sogni come sempre sono tanti, e lavoro per poterli realizzare. Tra i progetti futuri invece i collocano una rinnovata collaborazione con Miart in aprile 2024, la collaborazione con istituzioni italiane e straniere sempre durante l’Art Week 2024 e a novembre la personale di Davide Allieri che presenterà una nuovo corpo di lavori appositamente pensati per Triennale, in cui emergeranno diversi temi caratteristici della sua pratica: dalla sperimentazione sui materiali alla riflessione sullo spazio-tempo come habitat distopico in cui dispositivi-guscio abbandonati dialogheranno tra loro in uno scenario post-apocalittico.
Nelle prossime settimane, inoltre, un’opera di Alice Ronchi sarà installata nell’area centrale del nostro Caffè, uno spazio pensato per accogliere progetti che possano essere fruiti da un pubblico molto ampio e che magari, anche inaspettatamente, può avere l’occasione di avvicinarsi all’arte contemporanea.