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L’archivio d’artista: un possibile modello per il collezionismo

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Gli archivi d’artista sono innanzitutto luoghi, crocevia di creatività e storia. Numerosissimi ed eterogenei sono i documenti e materiali custoditi in questi spazi di memoria sistematizzata, realtà potenziali in grado di aprire nuove prospettive storico artistiche e non solo. Gli archivi d’artista non sono infatti semplici depositi, ma preziosi strumenti per il sistema dell’arte, collezionisti compresi, poiché fanno convergere ricerca storico-artistica e mercato, fornendo un sostegno cruciale nel determinare il valore di un’opera d’arte.

L’archivio può infatti restituire l’identità di un artista, sia dal punto di vista espressivo che storico. Il modo in cui esso è strutturato, la tipologia di documenti in esso conservati, rendono ogni caso, ovviamente, estremamente specifico, ma è possibile rintracciare alcune tendenze comuni

È infatti possibile trovarvi quei documenti necessari a garantire la protezione dei diritti d’immagine e di autore, ovvero riproduzioni delle opere, schede tecniche e riferimenti bibliografici. Altri sono invece decisamente più vasti, ponendosi non solo l’obiettivo della tutela dei diritti, ma anche della valorizzazione attraverso studi e pubblicazioni: ed è così che vengono conservati anche oggetti, biblioteche, scritti e studi, per poter ricostruire tutta la complessità del contesto in cui l’artista ha vissuto e lavorato (1).

Non c’è nulla di più errato, però, che pensare a questi due approcci come opposti, uno concreto e legato alle necessità di mercato, e il secondo di interesse solo per chi si occupa di ricerca. I due approcci devono fondersi, scambiarsi competenze e informazioni. Maggiore è la quantità di informazioni a cui abbiamo accesso, e più sarà così possibile comprendere, valorizzare e apprezzare la produzione di un artista e restituirne la reale complessità. Tutto, infatti, è utile per poter ricostruire il percorso di un artista, le sue influenze, i nomi di chi, a sua volta, ha influenzato. Tutto è fondamentale per ricostruire le storie, per rimettere anche in discussione quelle già affermate o fraintese. 

Va inoltre sottolineato che, secondo il Codice dei Beni Culturali (art. 64), la compravendita di opere deve avvenire con la consegna del certificato di autenticità e della documentazione disponibile in grado di attestare almeno la probabile attribuzione e la provenienza. Il valore di un’opera sul mercato, dunque, non dipende solo dai trend, ma anche dalla presenza o meno di documenti o prove che ne raccontino la storia, anche quella collezionistica. In questo senso gli archivi diventano quindi interlocutori fondamentali, sia per collezionisti privati, che per gallerie e case d’asta. Consolidare il rapporto con questi enti significa dunque avere accesso non solo a documentazioni, ma anche a competenze e conoscenze storico artistiche e scientifiche estremamente specializzate.

Non avere un archivio o, come a volte accade, avere molteplici enti che per uno stesso artista vogliono rivestire questo ruolo, diventa problematico a livello di mercato. A livello legislativo, infatti, sebbene possano sorgere controversie se le opinioni riguardano questioni sensibili o se entrano in conflitto con altri diritti, come il diritto d’autore o la reputazione, in assenza dell’artista le opinioni emesse dagli eredi o da enti da essi istituiti sono generalmente protette dal principio di libera espressione del pensiero.

A chi affidarsi dunque? E perché?

L’archivio, in questo meccanismo, riveste un ruolo cruciale. È infatti anche il mercato ad aver scelto di affidare ad esso, nella maggior parte dei casi, l’autorità, o meglio, l’autorevolezza per intervenire. Negli anni si è infatti instaurato un meccanismo virtuoso fondato sull’affidabilità di un ente rispetto a un altro, sulla sua reputazione difesa e consolidata nel tempo. 

Diventa evidente quindi come, nonostante la centralità degli archivi d’artista all’interno dei meccanismi del sistema, numerose siano ancora le zone grigie in tema di metodologia e approcci. A livello nazionale, AitArt (Associazione Italiana Archivi d’Artista) sta infatti da tempo cercando di mappare e ricostruire principi consolidati, con la prospettiva di delineare delle buone pratiche deontologiche e standardizzate, in grado di tenere insieme la complessità delle professionalità e competenze che in questi enti sono chiamate ad intervenire. 

Saper riconoscere professionalità e metodologie è quindi sicuramente prezioso anche in un’ottica collezionistica, per approcciarsi all’acquisto di un’opera d’arte con l’obiettivo di costruire da subito una collezione solida da un punto di vista documentale. Inoltre, integrare tali pratiche archivistiche nella gestione delle proprie acquisizioni non solo potrebbe conferire una maggiore autenticità e coerenza al materiale nella sua totalità, ma consentirebbe anche di cogliere appieno la complessità e la ricchezza del contesto artistico e storico di ogni opera, potendo così rendere la collezione stessa, in futuro, un interlocutore di rilievo

  1. G. Manghetti, Funzione e ruoli dell’archivio d’artista, in “L’archivio d’artista. Princìpi, regole e buone pratiche” a cura di A. Donati e F. Tibertelli de Pisis, Johan & Levi Editore, Azzate (VA) 2023; pp. 20–21. 
Marta Raffa
Marta Raffa
Marta Raffa è laureata in Storia dell’Arte Contemporanea e ha proseguito la sua formazione conseguendo un Master in Arts Management. Coltiva la sua passione per la scena contemporanea e i diversi linguaggi artistici, lavorando nel settore degli archivi d’artista, dei festival di arti performative e nell’editoria specializzata.

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