Fenomeno in costante sviluppo e che oggi nel mondo conta migliaia di aziende coinvolte, quella delle corporate collection è una realtà che, ormai da tempo, ha preso piede anche nel nostro Paese. Il settore italiano delle collezioni d’impresa appare però in ritardo di circa 10 anni rispetto allo scenario globale e per il futuro sono numerose le sfide da vincere. Se è indubbio, infatti, che l’arte in azienda può generare significativi vantaggi competitivi sia in termini di reputazione che di performance, perché questo avvenga è necessario sviluppare maggiormente la capacità gestionali e di networking tra le varie realtà imprenditoriali cosiddette artsy e tra queste e il resto del mondo dell’arte. E’ questa una delle indicazioni più importanti che emergono dall’ultima indagine sulle Corporate Collection in Italia condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in collaborazione con Axa Art e Banca Intesa San Paolo.
L’identikit del collezionismo corporate italiano
Dalle aziende piccole, con meno di 50 dipendenti, alle grandi imprese con più di 1000. Il collezionismo corporate italiano non sembra conoscere limiti dimensionali né di settore. Se dall’indagine emerge una piccola prevalenza di collezioni appartenenti al settore bancario ed assicurativo (19%) e a quello della manifattura, della moda e del design (16%), quello delle collezioni aziendali è, infatti, un fenomeno trasversale a tutto il mondo dell’imprenditoria del nostro Paese. Anche se nel 40% dei casi si tratta di raccolte che fanno capo ad una Fondazione di origine bancaria.
Quasi tutte nate dalla passione dell’imprenditore si tratta di collezioni che hanno un valore medio di 5 milioni di euro e che, molto spesso, contano meno di 50 pezzi (20%), ma non di rado superano i 3000 (16%). Principalmente focalizzate sull’arte contemporanea (53%) le collezioni corporate italiane mostrano una grande attenzione per l’arte del nostro Paese (nel 53% dei casi sono composte solo da artisti italiani) anche se è sempre più marcata la tendenza a diventare collezioni internazionali (41% artisti italiani e stranieri). Questo l’identikit del collezionismo corporate italiano tracciato dall’indagine condotta dall’Università Cattolica, Axa Art e Intesa Sanpaolo che, però, mette in evidenza come questa realtà in Italia sia ancora ad un stadio iniziale di sviluppo e stenti ad entrare in una fase più matura che effettivamente garantisca alle aziende tutti quei vantaggi competitivi che possono derivare da una corporate collection. (Leggi -> Quando a collezionare sono le aziende)
Le Corporate Collection nel Mondo…
Visto in una prospettiva globale, il fenomeno delle corporate collection si è evoluto moltissimo negli ultimi anni. E se un tempo tutto partiva dalla passione artistica del titolare, oggi ci troviamo di fronte ad una realtà molto più strutturata. Un processo evolutivo iniziato negli anni Sessanta e Settanta negli Stati Uniti – un po’ più tardi in Europa – e che ha visto l’arte diventare uno dei focus strategici della comunicazione aziendale. In particolare dall’inizio degli anni Duemila le collezioni aziendali sono diventate sempre più selettive e gestite in modo professionale, coinvolgendo esperti e curatori, definendo budget e monitorando il loro valore. Ma soprattutto queste collezioni sono oggi uno strumento per comunicare, sia ai dipendenti che ai clienti, la propria cultura etica. Tanto che se tra il 1990 e il 2000 la gestione di una corporate collection era legata al settore comunicazione oggi è molto spesso collegata a quello delle risorse umane.
…e il ritardo dell’Italia
Se questa è l’evoluzione che si può registrare a livello mondiale, nel campo delle corporate collection, l’Italia, seppur in cammino, appare in netto ritardo rispetto alle principali esperienze internazionali. Dallo studio fatto dalla Cattolica emerge infatti come, su 160 aziende italiane in possesso di collezioni corporate, il 57% non ha personale dedicato alla sua gestione che, nel 52% dei casi, questa è affidata part-time a chi si occupa di comunicazione o ai dipendenti del settore marketing (43%). Dati, questi, che rivelano come in Italia si sia ancora propensi – a differenza di quanto accade nel mondo – a considerare in primo luogo l’arte come un investimento in immagine, un’opportunità per migliorare la legittimità dell’organizzazione nel settore di riferimento da sfruttare in termini di comunicazione istituzionale e di brand. Un modo di interpretare la collezione aziendale che colloca il nostro Paese ancora allo stadio iniziale dell’evoluzione del collezionismo corporate.
Questo approccio al collezionismo d’impresa è confermato anche dalle prassi gestionali più diffuse tra le aziende artsy italiane: nella maggioranza dei casi, infatti, nei loro bilanci non esiste una voce destinata all’incremento delle raccolte né un sistema di valutazione dei risultati prodotti dalla collezione in termini di clima aziendale, performance e reputazione. Un panorama, quello appena descritto, che mostra in modo evidente come le corporate collection non partecipino ancora in modo concreto alla vita dell’azienda. E questo a causa di una sensibilità verso la pianificazione e la misurazione ancora tutta da sviluppare e che porta a trascurare il valore artistico ed economico delle collezioni, con la conseguenza di non cogliere pienamente le sfide scientifiche e manageriali che queste pongono alle imprese.
Da questo punto di vista i dati che emergono dall’indagine sono impietosi: il 38% delle aziende non fa mai la stima del valore della propria collezione e il 24% lo fa solo ogni 6-10 anni. In altre parole oltre il 60% delle imprese italiane che collezionano arte non ha una misura di grandezza del valore della propria raccolta o ce l’ha assolutamente non aggiornata. Oltre a questo solo 41% delle corporate collection italiane è coperta da Polizza Fine Art.
A questa situazione, che mostra una grande difficoltà nel procedere nella direzione di un modello organizzativo strutturato e dotato di prassi manageriali, si affianca poi un’immagine di questo particolare ambito del collezionismo italiano particolarmente frammentata. Le aziende italiane che collezionano, infatti, raramente sono in contatto tra di loro e poche sono anche le relazioni tra ciascuna di loro e le varie figure professionali legate al mondo dell’arte.
Questo comporta in primo luogo una scarsa circolazione delle informazioni e dei consigli utili per la gestione di una collezione corporate. Di fatto, scrivono i curatori dell’indagine, quando “si guarda a chi svolge il ruolo di broker, cioè di istituzioni capaci di connettere mondi e reti diverse, gli attori più citati sono le Sovrintendenze e le Università, mentre il “mercato”, ossia gli attori privati, le altre aziende o le altre collezioni sono citate molto raramente”. E questo, ovviamente, rende più complesso lo sviluppo di un sistema evoluto del collezionismo corporate in Italia.
Le Corporate Collection e l’importanza della condivisione
Per capire quanto sia importante una gestione strutturata e manageriale di una collezione corporate e la condivisione del know how per far sì che queste portino all’azienda gli effetti sperati, basta dare un rapido sguardo a quello che emerge dall’analisi delle best practice prese in considerazione dall’indagine. Best Practice che corrispondono al 30% del campione analizzato e caratterizzate da una serie di elementi comuni: presenza di un team dedicato alla collezione spesso affiancato da un comitato scientifico; raccolte integrate nella vita aziendale e legate alla direzione generale, ma soprattutto gestite con prassi di budget e misurazione. Ebbene, tutti questi elementi, oltre a determinare collezioni che crescono sia in termini numerici che di valore, fanno sì che le corporate collection di queste aziende abbiano un alto impatto si sulla reputazione aziendale che sul clima organizzativo, oltre che sulla loro performance.
Le Corporate Collection in Italia: in ritardo ma vivaci
Se resta ancora tanto da fare perché il fenomeno del collezionismo corporate arrivi ad una sua fase matura anche in Italia, le basi perché questo avvenga ci sono. E queste emergono dal ritratto che l’indagine dell’Università Cattolina, Axa Art e Banca Intesa Sanpaolo traccia delle nostre collezioni in termini di “vivacità”. Per quanto disconnesse tra di loro e gestite in modo un po’ approssimativo, le aziende artsy italiane sembrano molto attive nel mondo dell’arte. Il 28% delle nostre aziende, infatti, tiene almeno un archivio della propria collezione e un altro 22% possiede anche un catalogo delle opere possedute. Catalogo che, nel 34% dei casi viene anche pubblicato online o in formato cartaceo.
Oltre a ciò il 56% delle aziende italiane apre la propria collezione al pubblico e dichiara una tendenza abbastanza positiva al prestito delle proprie opere si per mostre in Italia che all’estero. Due dati estremamente importanti che denotano un’apertura delle collezioni corporate italiane ad uscire dai confini aziendali. Fattore positivo, ma da cui emerge, grazie ad una lettura incrociata dei vari dati, un collezionismo corporate italiano più a suo agio nel mondo dell’arte che non in quello dell’impresa. Ed è proprio su questo che adesso è necessario iniziare a lavorare.