Londra, 31 maggio 2001, Bankside. Dopo Morandi, Fontana e Severini, la capitale del Regno Unito torna a celebrare l’arte contemporanea italiana con una mostra destinata ad avere un’influenza fondamentale anche sul mercato internazionale che, da qualche anno, ha iniziato ad apprezzare, con sempre maggior vigore, la produzione artistica del nostro Paese grazie alle neonate Italian Sales.
Si tratta di Zero to Infinity: Arte Povera 1962–1972, prima grande retrospettiva dedicata all’Arte Povera in Inghilterra organizzata dalla Tate Modern assieme al Walker Art Center di Minneapolis e che da Londra porterà in tour nel mondo l’opera dei 14 artisti del movimento tenuto a battesimo da Germano Celant: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio.
Tutti nomi che, seppur con alterne vicende, tengono ancora oggi alta la bandiera della nostra arte nel mondo. A distanza di 18 anni dalla mostra londinese e a mezzo secolo dalla pubblicazione del libro di Celant, Arte Povera (1969), tracciamo un bilancio di quello che è oggi il mercato dell’Arte Povera, anche in vista dell’edizione 2019 della Thinking Italian di Christie’s che si terrà venerdì a Londra e che vede tra i 33 lotti in catalogo anche alcuni lavori di Boetti e Anselmo.
Il mercato dell’Arte Povera
Teorizzata nel 1967 da Germano Celant sulle pagine di Flash Art, l’Arte Povera comincia a vedere il suo declino come gruppo già alla fine del 1971, quando alle mostre collettive, lo stesso Celant inizia a preferire esposizioni personali che mettano in risalto le singole ricerche personali. Già dai primi anni Ottanta, però, e in particolare con Documenta 7 di Kassel del 1982, si torna a parlare di questo movimenti artistico italiano e nel 1985 si tengono alcune importanti mostre a Madrid – Dell’Arte Povera a 1985 (Palacio de Cristal/Palacio de Velázquez / Parque del Retiro, dal 24 gennaio al 7 aprile – e New York: The Knot. Arte Povera at P.S.1 (ottobre – dicembre 1985). Non mancano, perlatro, tappe espositive in Francia, Germania, Norvegia che ci guidano verso il nuovo millennio e quel 2001 quando, con la mostra Zero to infinity: arte povera 1962-1972, curata da Richard Flood e Frances Morris, l’Arte Povera rientra non solo nell’interesse artistico, ma anche in quello del mercato dell’arte.
In particolare, il suo mercato inizia a crescere in modo sostenuto a partire dal 2003, raggiungendo uno dei momenti più importanti nel febbraio 2014, con l’asta Eyes Wide Open: An Italian Vision, organizzata da Christie’s a Londra. In catalogo, la più grande collezione di opere di Arte Povera mai introdotta sul mercato che ha visto quindici record d’artista stabiliti in una sola sessione, tra i quali quelli di Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Pino Pascali e Luciano Fabro. (Leggi ->Eyes Wide Open: l’amore rende ricca l’arte povera)
A lanciare la volata di questa crescita, come detto, la citata mostra Zero to Infinity: Arte Povera 1962–1972 che, inaugurata alla Tate Modern di Londra – dove rimarrà dal 31 maggio al 19 agosto del 2001 – passerà poi sull’altra sponda dell’Atlantico per un tour negli Stati Uniti che ha toccato il Walker Art Center di Minneapolis (13 Ottobre 2001 – 13 Gennaio 2002); il Museum of Contemporary Art di Los Angeles (10 Marzo – 11 Agosto 2002) e l’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington, DC (17 Ottobre 2002 – 12 Gennaio 2003).
Ma il rinnovato successo dell’Arte Povera in questo primo scorcio di XXI secolo è stato sostenuto da tutta una serie significativa di mostre, sia in gallerie d’arte che in spazi istituzionali, da Arte Povera, Art From Italy 1967-2002, al Museo of Contemporary Art di Sidney nel 2002 alla mostra Arte Povera al Kunstmuseum del Liechtenstein del 2003 seguita, nel 2005, dall’omonima mostra al Municipal Museum of Art di Tokyo, fino ad arrivare alle più recenti Arte povera: una rivoluzione creativa, del 2018 all’Ermitage di San Pietroburgo, o la collettiva Arte Povera, sempre del 2018, organizzata da Magazzino Italian Art Foundationa New York, che quest’anno ha invece proposto un focus sulle opere su carta del gruppo dell’Arte Povera.
Il tutto passando da progetti ambiziosi come Arte Povera 2011, a cura di Germano Celant, che tra il 2011 e il 2012 si tiene in diverse e importanti istituzioni museali e culturali italiane: il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, la Triennale di Milano, la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, il MAMbo di Bologna, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e il MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo di Roma, il MADRE – Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli e il Teatro Margherita di Bari.
Tutti eventi che fanno tornare sul mercato, da protagonisti, in prima battuta, Alighiero Boetti e Michelangelo Pistoletto, seguiti da Jannis Kounellis e Pino Pascali. Per arrivare a coinvolgere, dal 2014 in poi, anche Mario Merz, Giuseppe Penone, Giovanni Anselmo e Luciano Fabro, che nel tempo hanno raggiunto fatturati superiori al milione di euro. Ma in questi due decenni del XXI secolo il successo dell’Arte Povera a livello mercantile ha interessato anche altri componenti del gruppo come Mariza Merz. Momento clou, il periodo tra il 2014 e il 2015, quando il fatturato complessivo delle opere assimilabili all’Arte Povera ha superato, prima, i 40 milioni, per poi avvicinarsi ai 60. Il tutto con un numero di lotti stabile rispetto agli anni passati. Ma di qualità indubbiamente crescente.
Il biennio 2014-2015 è, d’altronde, un periodo d’oro per l’arte italiana con le Italian Sales di Londra che conoscono il loro apice trainando verso l’alto, oltre ai prezzi di Fontana e Manzoni, anche quelli di artisti come Alighiero Boetti. Nel 2014 una sua Mappa del 1979 viene battuta da Sotheby’s per 1.2 milioni di sterline, 16 anni prima (1999) un’opera analoga aveva raggiungo appena i 155.400 £. Il tutto per un incremento, tra il 1999 e il 2014 del +707%.
Per essere ancora più chiari, il prezzo medio di un’opera di Boetti in asta passa, nell’arco di un solo anno, dai circa 60.000 euro del primo decennio del XXI secolo agli oltre 180.000 euro del biennio 2014-2015. Lo stesso vale per Michelangelo Pistoletto, che vede il livello medio delle sua aggiudicazioni passare da 30.000 euro a 100.000. Un successo che tocca un po’ tutti i componenti del gruppo, da Luciano Fabro a Kounellis, passando per Pino Pascali e Marisa Merz che, ignota al mondo delle aste fino a quel momento, debutta proprio nel 2014 raggiungendo subito vette altissime. Nei grafici che seguono – e che prendono in esame il periodo 2000-2019 – potete vedere alcuni dei trend più esemplificativi di questo andamento.
Trend che già dal 2016 sembra far registrare un’inversione di tendenza che va letta con attenzione per non incorrere in letture tanto affrettate quanto errate. Quando si tratta di arte, infatti, non si ha a che far con beni “omogenei” come può accadere in altri settori produttivi. La lettura del dato “numerico”, allora, non può essere di carattere unicamente economico e l’apparente raffreddamento che il mercato dell’Arte Povera fa segnare già partire dal 2016 (Grafico 1) è da imputare non tanto ad un calo di interesse per le opere di questi artisti – interesse confermato peraltro dal successo delle mostre a loro dedicati -, quanto ad una minor disponibilità di opere di pregio. In questo, alcune delle ultime edizioni delle Italian Sale sono esemplificative (Leggi -> Mercato Arte Italiana (p.1): si chiude il decenio d’oro di Fontana & Co.).
E’ il fatto che questa inversione avvenga nel 2016 non è un caso. E’ in quell’anno, infatti, che il modello delle Italian Sales sembra entrare definitivamente in crisi. La mancanza di capolavori a firma degli artisti italiani più amati dal mercato spinse i collezionisti a volgere il proprio sguardo su altri lotti. E, in primo luogo, su quelli dove erano presenti opere di artisti storici più freschi per il mercato internazionale e con ampi margini di crescita. Fu così, rimanendo nell’ambito dell’Arte Povera, che le aste di arte italiana del 2016 non andarono benissimo per un Boetti amatissimo dal collezionismo globale, ma portarono ad una rivalutazione dell’opera di Gilberto Zorio.
Boetti, che da 2000 ad oggi conta almeno 100 aggiudicazioni in asta all’anno, è un caso esemplare per la comprensione di questi fenomeni. Si tratta di un’artista con, all’attivo, migliaia di passaggi in asta e non deve meravigliare se il suo prezzo medio già nel 2016 si è dimezzato. Passate le opere più importanti, infatti, sul mercato sono iniziati ad apparire suoi lavori di minor interesse per i bidder internazionali, spesso messi in vendita da collezionisti intenzionati a cavalcare un momento positivo di mercato. Un discorso che, peraltro, vale per tutta l’arte italiana.
Parallelamente, invece, al “calare” dei nomi più amati sul mecato internazionale, iniziano a crescere nomi come quello della già citata Marisa Merz e fanno registrare picchi anomali artisti come Giovanni Anselmo che, meno noti al collezionismo internazionale o più rari nei cataloghi, attirano l’attenzione della fascia alta del mercato, evidentemente pronta ad approfondire la propria conoscenza dell’Arte Povera (o a scommetere su qualche artista nuovo) dopo aver acquisito i lavori degli esponenti principali.
Interessante allora, intrecciare il dato sui lotti venduti con l’andamento del prezzo medio per capire come si sta muovendo realmente il mercato di questi artisti. E’ da incroci di questo genere, infatti, che si può cercare di intravedere i margini di crescita dei singoli “mercati” e capire se certi expolit sono legati a “mode” del momento o ad un effettivo apprezzamento di un artista, magari per molto tempo poco noto, che si sta affacciando alla scena internazionale.
L’Arte Povera in breve
Nel 1967 in relazione ad un gruppo di artisti composto da Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, lo storico dell’arte contemporanea Germano Celant conia il termine “Arte Povera” che si ricollega alle grandi utopie delle avanguardie storiche per il suo esprimersi non rigido né impositivo, basato sulla relazione con le situazioni sociali e culturali, nonché ambientali e contestuali.
Collegandosi idealmente alle sperimentazioni di Lucio Fontana e Alberto Burri, questa ricerca adotta una strategia linguistica in cui viene abolita ogni gerarchia espressiva e materica. Da qui l’uso di processualità e di tecniche diverse, così da spaziare in tutti i territori della comunicazione visiva, senza distinguere tra i valori energetici e fisici, concettuali e concreti di un fare che può oscillare dalla scultura alla performance, dalla fotografia alla televisione.
Un muoversi aperto e non lineare, ma sferico che porta l’attenzione all’aspetto contingente quanto al lato frammentario, contraddittorio, pluralistico, vagabondo e discontinuo del reale. Aperto ad un pensiero che tende a consolidarsi in processi mobili e variabili, il linguaggio dell’Arte Povera si è caratterizzato per l’interesse ad un uso filosofico, quanto concreto, di materiali eterogenei che vanno dalla storia dell’arte alla rappresentazione simbolica, dall’estetica del terrestre alla dinamica del celeste, da un’estetica del grezzo a una preoccupazione del naturale.
Impegnata in un agire che oscilla tra discorso metafisico e totalità sensoriale, arriva ad utilizzare acqua e pietra, fuoco ed elettricità, parole e idee fino a coinvolgere animali e vegetali, che assumono un’importanza particolare per il loro appartenere al mondo del primario e dell’essenziale. Momento di rottura e di frattura con il passato, tale ricerca ha reso possibile il transito tra l’alto e il basso, tra il pieno ed il vuoto, il conscio e l’inconscio, il grezzo e il morbido, il mentale e il sensuale che tutto avvolgono.
Rispetto a un’arte che, dalla pop alla minimal art, ha proposto un linguaggio quale strumento di natura immutabile e perfetta, figurale e industriale, l’Arte Povera si è impegnata in un atteggiamento iconoclasta e de-costruttivo che tiene conto dei problemi dell’esistenza e si muove in relazione alla molteplicità delle situazioni temporali e spaziali.
Un pluralismo linguistico che ne ha caratterizzato la poetica e costituito il magma culturale entro cui hanno operato artisti profondamente diversi tra loro. Ricusando ogni definizione, con la conseguente impossibilità a inserirlo – ancora oggi – in una rigida codificazione, il movimento dell’Arte Povera ha nondimeno acquisito negli anni, per il suo innovativo e originale contributo, dovuto alle singole individualità, una definitiva importanza, paragonabile al Futurismo italiano, nell’ambito della scena dell’arte contemporanea internazionale.