Dopo l’ondata di aste internazionali di quest’ultima settimana torniamo a guardare in casa nostra e, più precisamente, nelle gallerie d’arte italiane che in questi giorni hanno inaugurato una serie di mostre molto interessanti. Come nostro solito nel abbiamo selezionate alcune, dieci per la precisione, che vi segnaliamo come da vedere perché mettono in luce artisti o aspetti dell’arte che ci sono sembrati particolari. Apre questa selezione una mostra mi colpisce al cuore, perché riguarda uno dei miei grandi amori artistici dei tempi dell’Università: GINA PANE DALLE COLLEZIONI ITALIANE. Opere dal 1968 al 1988 che aprirà i battenti il prossimo 30 novembre negli spazi dell’ottima Osart Gallery di Milano
Per chi non la conosce, Gina Pane ha segnato l’arte degli anni Settanta con una serie di “azioni” dalla forte carica simbolica. Le emozioni e le reazioni di rifiuto suscitate dalle ferite che si infliggeva con una lama di rasoio, in cui il corpo era offerto come specchio allo spettatore “anestetizzato”, e il sangue come dono vitale, hanno contribuito a identificare l’artista con la sola esperienza di Body Art, ma la sua esperienza artistica va oltre. La bella retrospettiva curata da Valerio Dehò per Osart Galelry, si propone, così, di raccontare la poetica dell’artista italo-francese attraverso una selezione di opere, prodotte tra il 1968 e il 1988, provenienti da importanti collezioni italiane.
L’esposizione si compone di “constatazioni”, ovvero sequenze fotografiche che documentano alcune tra le Azioni più celebri di Gina Pane, e di “Partizioni”, ovvero installazioni a parete che spesso recano anche parzialmente tracce di opere precedenti delle stesse Azioni. Queste furono presentate a Milano per la prima volta al PAC nel 1985 con la mostra “Partizioni Opere multimedia” a cura di Lea Vergine.
Pochi artisti hanno investito con altrettanta forza e con altrettanto rigore la dimensione corporale in tutti i suoi significati: corpo sociale, corpo biologico, corpo cosmico. Che il corpo si esprima come messa in scena o come assenza – per essere meglio evocato – il linguaggio plastico elaborato da Gina Pane è senza precedenti. La carica emotiva e spirituale che attraversa la sua opera non si limita a essere ricondotta a un’epoca o a una corrente, ma in un registro universale che la rende senza tempo.
Sempre a Milano, è stata inaugurata ieri da Kaufmann Repetto Ognuno vede ciò che sa, una mostra di lavori di Bruno Munari, curata da Alberto Salvadori. La mostra è stata realizzata in collaborazione con Andrew Kreps Gallery, New York, che ha organizzato la prima retrospettiva su Bruno Munari negli Stati Uniti nel maggio 2018.
Una mostra, quella alla Kaufmann Repetto, che partendo da quel concetto di “opera aperta”, fondamentale per la comprensione di Munari, ci introduce a quei suoi atti di libertà cosciente che svincolano l’opera e il fruitore ognuno da sé stesso, attivando una serie di relazioni inesauribili senza che ci sia una prescritta modalità e organizzazione interna di fruizione. Il tutto attraverso un approccio al mezzo che è al contempo sperimentale, tecnologico e artigianale, l’artista rende il pubblico fruitore e al contempo inventore, partecipe della sua arte.
Ha aperto i battenti giovedì 15 novembre negli spazi della Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea di Milano, il nuovo progetto espositivo ideato e curato da Antonio D’Amico, storico e critico d’arte, che pone l’attenzione sulle molteplici possibilità di guardare la realtà, innescando atteggiamenti che dall’oggettivo sfociano verso visioni interpretative:Chissà che fine ha fatto il cagnolino di mia nonna Keith Edmier | Joana Vasconcelos | Chiharu Shiota.
Si tratta di un processo intrigante e creativo di grande suggestione che viene indagato dai tre artisti coinvolti, Keith Edmier, Joana Vasconcelos e Chiharu Shiota, per i quali la realtà è “una finestra dalla quale si affacciano per guardare ciò che li circonda e per catturare immagini da soggettare a pensieri della mente, che traducono in forme dove la fonte d’ispirazione rimane saldamente riconoscibile”. Emergono così opere che se per certi versi mostrano una mimesi della realtà, per altri la rivestono di uno strato intimo e soggettivo, consegnando allo spettatore una visione specchiante, una sorta di torsione personale del reale.
A Saronno, in occasione del suo 30° anno di attività, il Chiostro arte contemporanea, presenta Filippo de Pisis Gli eventi del minuto curata da Elena Pontiggia e che mette insieme un nutrito numero di opere dell’artista ferrarese che segnò, nel 1988, proprio l’esordio della gallerie nel panorama espositivo italiano. Di origini aristocratiche, letterato, pittore e viveur, De Pisis ha rappresentato un unicum nella storia dell’arte, una vicenda affascinante e commovente, come lo sono alcune opere in mostra, dalla natura morta con foglie di fico, sospese e fragili sul piano, alla Natura morta con mandorle (1934) fino al Ragazzo sulla spiaggia, noto come ‘Omaggio a Matisse ’celebre ritratto di un giovane che l’artista riprende con tenerezza e sensibilità.
Ampio il gruppo di quadri del primo periodo parigino tra il 1925 e il 1939, caratterizzati da una pittura più ricca, dai colori sontuosi, come in Natura morta con paravento e bottiglia del 1928 o Cortigiana veneta del 1939, insieme al trionfale Grande vaso di fiori, alla Trebbiatura a Gères (1934) e all’Interno di studio parigino, acquarello delizioso proveniente dalla collezione dello scrittore Sergio Solmi, amico di de Pisis e autore di testi per importanti appuntamenti della carriera del pittore. De Pisis dipinge per lui anche un cascinale nel periodo di Villa fiorita e a questa fase della carriera fanno riferimento Paesaggio Agreste del 1950 e altri dipinti di natura stenografica, caratteristica tipica anche nella Chiesa dei Gesuiti a Venezia e in alcune nature morte del periodo.
Spostandoci a Bologna, qui la P420 presenta Mani che imbrogliano è la seconda mostra personale di Alessandra Spranzi in galleria. La nuova mostra presenta lavori recenti e altri che risalgono fino al 1995, in una specie di punteggiatura del pensiero, o della visione, che è sempre nel presente, ma che si sviluppa in un ampio arco temporale. Alessandra Spranzi lavora con l’immagine fotografica in modi e forme diverse: fotografando, fotografando, raccogliendo, tagliando, indicando, cancellando. Interviene quando le immagini e le cose si allontanano dal loro uso e diventano, per così dire, inconsapevoli di sé, delle proprie possibilità e della propria bellezza.
Per Mani che imbrogliano l’artista ha preparato un grande spettacolo di magia fatto di poco, molto poco. Immagini da manuali, di oggetti trovati o raccolti per strada insieme ad altri che animano da sempre le quinte della nostra casa, gesti che mostrano, che provano a spiegare qualcosa. Come Harry Houdini, che proponeva, per 50 centesimi, di insegnare “Come leggere al buio biglietti piegati”. Carte piegate al buio con dentro, forse, un’immagine.
La Galleria Il Ponte di Firenze, da 23 novembre prossimo presenta 1942-1997 trentacinque opere di Carol Rama a cura di Bruno Corà e Ilaria Bernardi. Un’ampia mostra dedicata a Carol Rama il cui lavoro anticonformista e autonomo da qualsivoglia insegnamento accademico emerge nel contesto artistico-culturale della Torino degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, per poi attraversare l’intero secolo, fino ai primi anni del nuovo millennio, con la medesima passione e vitalità dei suoi inizi.
Con una selezione di circa 38 opere realizzate dal 1942 al 1997, la mostra ripercorre l’incessante sperimentazione di tecniche, materiali e soggetti iconografici di Carol Rama attraverso i momenti salienti del suo percorso artistico e di vita. Dai primi disegni e acqueforti su carta degli anni Quaranta, legati al surrealismo, a Dubuffet e all’art brut, fino gli importanti esemplari realizzati nel corso degli anni Ottanta e Novanta che risultano emblematici di un volontario e sentito ritorno alla figurazione.
A Roma, la T293 presenta The Blast, la prima doppia personale di Henry Chapman (Brooklyn NY, USA, 1987) e Fabian Herkenhoener (Troisdorf, Germania, 1984) presentata negli spazi della galleria; una mostra nata da un dialogo tra i due artisti e composta di nuovi dipinti e testi scritti dagli stessi per l’occasione. Una bi-personale che riflette sulla commistione tra linguaggio e pittura e sulle qualità emotive che risuonano dal confronto. Nonostante la distanza culturale e geografica, Chapman e Herkenhoener condividono un coinvolgimento concettuale per il linguaggio.
Chapman si fa interprete del suo lavoro, muovendosi tra pittura e linguaggio verso la ricerca di un’idea di chiarezza, mentre Herkenhoener tratta il linguaggio come sovrapposizione, costruendo livelli di significato ed enigmatiche narrazioni visive. Due punti di vista che convergono nel desiderio che i propri lavori siano allo stesso tempo emotivi ed intellettuali. Il titolo della mostra, The Blast (letteralmente ‘raffica violenta di vento, esplosione’) si riferisce al nome di una pubblicazione anarchica dei primi del Novecento; è anche un’espressione dell’immediatezza e della linearità che entrambi gli artisti cercano nel loro lavoro.
Rimanendo nella capitale, la galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea ha inaugurato giovedì la seconda mostra personale in galleria di Enrico Tealdi (Cuneo, 1976). L’artista ha concepito in questa occasione un progetto modulato appositamente per lo spazio espositivo, in cui alle carte leggere e intime che contraddistinguono la sua ricerca si affiancano opere di grande formato e installazioni ambientali. Una serie di lavori inediti, dedicati al paesaggio che si fa visione, ricordo e atmosfera sognante.
Il titolo della mostra Concerto per carillon, introduce la volontà alla base del progetto: un gioco di risonanze e cambi di scala, in cui al raccoglimento dei piccoli paesaggi fa da contrappunto una grande tela sospesa nello spazio — quasi una quinta di ispirazione teatrale — un fondale che amplifica la portata della visione dell’artista e spinge lo spettatore a entrare in un nuovo rapporto fisico con l’opera. La poetica di Tealdi si rende così magniloquente, non perdendo, nel passaggio di formato e proporzioni, nulla della sua concentrazione espressiva e potenza evocativa.
Ancora a Roma, da giovedì 29 novembre Matèria ospita una nuova doppia personale: Grass is greener, un progetto espositivo internazionale che riunisce due artisti che lavorano con due pratiche differenti: Giulia Marchi con la fotografia e Magnus Frederik Clausen con la pittura. Grass is greener nasce dall’interesse della curatrice Paola Paleari di esplorare come una relazione di lunga durata, quale quella tra fotografia e pittura, possa manifestarsi in termini operativi attraverso le prassi di un fotografo e un pittore, invitati a collaborare e ricercare una linea comune proprio in occasione della preparazione della mostra.
Da questo dialogo, che vede i due artisti lavorare insieme per la prima volta, è emersa la centralità del binomio “presentazione vs. rappresentazione”; come i due poli della sfera d’azione entro la quale l’artista visivo si muove nella sua traduzione della realtà. A partire da queste riflessioni, Giulia Marchi e Magnus Frederik Clausen hanno lavorato a una serie di nuove opere che vedono l’immagine come uno spazio dove le modalità di presentazione e rappresentazione spesso convivono e si sovrappongono. Le differenze e le specificità – spesso di natura formale – su cui si fonda una larga parte del confronto tra fotografia e pittura vengono aggirate in favore di una comunanza di tipo strutturale basata sulla natura mediale di entrambe le forme artistiche.
Infine, chiudiamo questa nostra selezione con una mostra inaugurata il 28 ottobre scorso alla Galleria Lia Rumma di Napoli: la nuova mostra personale di Anselm Kiefer dal titolo Fugit Amor, che segna il ritorno dell’artista in città. L’amore fugge e gioca con il tempo e la storia, sembra volerci dire Anselm Kiefer. La nota scultura di August Rodin, Fugit Amor, una figura maschile stretta ad una femminile che sembrano essere trascinati da una corrente invisibile, realizzata dall’artista francese alla fine dell’Ottocento in numerosi esemplari a partire da quello destinato all’opera incompiuta della Porta dell’Inferno, viene scelta da Kiefer come una sorta di spirito guida all’interno del suo nuovo progetto espositivo pensato per gli spazi della galleria Lia Rumma e ci accompagna attraverso temi e motivi del suo lavoro, seguendo un percorso cronologico discontinuo fatto da un passato e presente tra loro volutamente confusi.