Secondo giorno di preview qui a Venezia ed è il momento di affrontare i padiglioni nazionali. Viva Arte Viva termina al Giardino delle Vergini, nell’area dell’Arsenale ed è da qui che inizio questa nuova gioranta di visita. Le cose da vedere, d’altronde, sono tantissime ed è bene dare un ordine ai percorsi. I Padiglioni dell’Arsenale sono 24, ma la tentazione è troppo forte: dopo la mostra centrale non si può che iniziare la visita partendo da quello italiano.
Tre gli artisti selezionati dalla curatrice Cecilia Alemanni – Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey – per Il mondo magico, titolo scelto per il Padiglione Italia e tratto dal libro dell’antropologo napoletano Ernesto de Martino che, nella sua carriera di studioso, ha indagato il “magico” nei suoi vari rituali, interpretati come dispositivi attraverso i quali l’individuo tenta di padroneggiare una situazione storica incerta e di riaffermare la propria presenza nel mondo.
Come nei riti descritti da de Martino, nelle opere dei tre artisti chiamati a rappresentare l’Italia vengono messe in scena delle situazioni di crisi che vengono risolte attraverso processi di trasfigurazione estetica ed estatica. Si cominicia con Roberto Cuoghi che per la Biennale ha realizzato l’imponente progetto Imitazione di Cristo che, partendo dall’omonimo testo medievale, indaga le proprietà trasformative dei materiali e la fluidità di qualsiasi definizione di identità.
Entrati nel Padigione Italia ci si trova, così, in una vera e propria fabbrica di oggetti devozionali: delle statue di Cristo realizzate in loco dalla fase di colata del materiale organico, con cui sono composte, a quella di consolidamento. Un processo concepito per non portare sempre allo stesso risultato e in cui i manufatti creati sono destinati a mutare nel tempo, tra decomposizione e composizione, morte e rigenerazione. Amara riflessione sul nostro presente.
La seduta è in vece il titolo del video di Adelita Husni-Bey che partendo da quelli che sono i temi cari all’artista (razza, genere, classe), porta a Venezia un’opera molto intensa, in cui un gruppo di ragazzi riflettono sul proprio legame spirituale, coloniale e tecnologico con la terra e con il mondo. Il confronto tra questi giovani si mescola al rito del gioco dei tarocchi, le cui carte sono state realizzate dalla stessa Husni-Bey. L’uso dei tarocchi diventa così una metodologia, allo stesso tempo, magica e pedagogica che sposta la discussione da aspetti materiali a quelli più spirituali, in un costante andirivieni che solleva interrogativi complessi, legati alle nozioni di estrazione sociale, minaccia, tecnologia, sfruttamento, valore e vulnerabilità.
Il percorso all’interno del Padiglione Italia si chiude con Giorgio Andreotta Calò. L’artista veneziano in laguna presenta un particolarissimo intervento ambientale (Senza titolo – La fine del mondo) che, usciti dalla sala di Husni-Bey, ci costringe ad attraversare una foresta di tubi innocenti, appena percettibili nell’oscurità del luogo. Un primo effetto di straniamento con la mente ancora presa dalle riflesioni profonde sollevate da La seduta. Qua e là si scorgono i profili di piccole sculture, delle conciglie, fino ad arrivare ad un’ampia scalinata che ricorda quelle che portano al sagrato delle chiese. Si emerge così da una sorta di mondo sommerso e, voltandoci, ci troviamo di fronte un’immagine vertiginosa, impensabile dal piano sottostante, come se ci trovassimo all’interno di una gigantesca chiglia di nave che, nella sua perfezione cristallina, ci lascia in bilico tra realtà e sogno, tra vita e morte. Mondi paralleli, opposti, ma a loro modo complementari.
Usciti dal Padiglione Italia si ha la sensazione che quello del nostro Paese possa essere tra i migliori dell’intera kermesse. Sensazione che, sinceramente, viene confermata dopo aver visto le altre partecipazioni nazionali, distribuite tra Arsenale e Giardini. La scelta di focalizzare l’attenzione solo su tre artisti è stata premiante e, finalmente, anche l’Italia si presenta al passo con gli altri. Anzi…. con un passo in più.