“Per l’arte rinuncio a tutto” mi ha risposto Carmelo Graci ad una domanda che trovate nell’intervista. Da oltre vent’anni Carmelo, con la sua compagna Silvia, si diverte – questo è il verbo giusto – a collezionare opere e, anche se non me lo ha detto esplicitamente, relazioni e rapporti con artisti e appassionati di arte come me.
Durante la nostra conversazione telefonica ho percepito sia l’entusiasmo che la passione che guidano tutta la famiglia Graci, anche la primogenita Sofia che gioca ad accompagnare i visitatori della casa a scoprire le opere, nonostante abbia pochissimi anni. Carmelo mi ha raccontato di come sia passato da ‘accumulare’ francobolli e altri oggetti fino alla decisione di cominciare la sua collezione di arte contemporanea venti anni fa.
“La prima opera acquistata fu un enorme quadro di Enrico Baj” mi ha risposto e ha aggiunto “probabilmente il più anarchico ed eclettico artista del Novecentoitaliano, che con il suo messaggio fortemente critico del potere avrebbe trovato divertente collocazione nel mio ufficio, data la mia professione. Da lì poi a puntare alla stella BR di Cattelan il passo fu breve…”

Carmelo nelle sue risposte ha continuato a raccontarmi ricordi divertenti, divertendosi a sua volta, e quando gli ho chiesto qual è l’ultima opera arrivata in collezione mi ha risposto “…ancora non è arrivata: è in viaggio! Un Richard Prince del 1988 esposto al Whitney Museum of American Art, al Museum of Modern Art di San Francisco e al P.S.1 fra il 1992 ed il 2007”. Carmelo è molto preciso quando parla di ogni suo acquisto, mi dà i dettagli delle molte opere che custodisce e quando gli chiedo di svelarmi il numero di artisti che ha in collezione, scorriamo insieme le cartelle che ha dedicato a ciascuno e scopriamo che sono quasi duecento. Tutta la collezione, inserita nella guida BMW di Independent Collectors, è visitabile a Mantova e per farlo è sufficiente contattarlo tramite il profilo Instagram Graci Collection.

Quando gli ho chiesto dettagli sulla provenienza degli artisti in collezione, e sulla tipologia delle opere, Carmelo ha precisato “mi diverte quando leggo o sento discutere di mercato e di paese di origine degli artisti. Tutto è molto relativo, in un mercato assolutamente globalizzato. In collezione ci sono artisti di tutto il mondo, che poi trovano giustapposizione in casa senza differenza alcuna fra storicizzati, mid career o giovanissimi. Diciamo che mi lascio tentare solo ogni tanto dai post war, essendo ormai il focus della collezione incentrato sul contemporaneo internazionale, senza distinzione alcuna relativa al medium”.
In collezione ci sono tutte le tipologie di opere e come ha confessato nella chiacchierata “probabilmente ho una predilezione per il grande formato e soprattutto per le installazioni, dove sostengo si venga a creare una sovrapposizione fra spazio estetico e spazio sociale”. Nella nostra telefonata ho scoperto che Carmelo ha una “wish list” su cui sono appuntate opere e nomi di artisti che potrebbero arrivare un giorno in questa collezione le cui opere, spesso, vengono condivise per esposizioni e mostre. Da qualche anno Carmelo Graci ospita in casa giovani artisti e mostre temporanee di cui pubblica dei cataloghi che diventano happening a tutti gli effetti.
Da ultimo in occasione della nascita di suo figlio ha esposto sull’ingresso di casa un’opera di Matteo Valerio, che ha preso forma di fiocco azzurro, e che è diventata un’installazione pubblica per chi ha visitato Mantova. Una delle mie curiosità,legate al mondo dei collezionisti, è proprio quanto e in che modo l’arte riesce ad entrare nel quotidiano di chi la possiede e, proprio per questo motivo, la prima domanda non può che essere su questo tema.

S.D.: Hai dato vita a delle mostre, eventi e residenze d’artista nella tua casa: cosa si prova ad avere gli artisti in giro per casa? Come cambia la vita famigliare con l’arte così presente nella quotidianità?
C.G.: Colleziono da poco più di vent’anni, ma solo negli ultimi quattro/cinque ho trovato la location giusta per viverci ed al tempo stesso giocare con l’arte. È un continuo individuare pretesti per organizzare eventi con lo scopo di condividere gli ultimi acquisti ovvero gruppi di opere omogenee magari da tempo già presenti in collezione (mai opere di altri).

Così l’acquisto dell’immobile, l’inaugurazione di casa e la nascita del secondo genito sono state occasioni di party con aperture di mostre. La prima mostra dal titolo Fucking Private, allestita fra casse ed in ambienti ancora totalmente vuoti, esprimeva già dal titolo quello che sarebbe stato: un ambiente dove vivere, con la volontà di condividere quanto più possibile questa passione, ma senza rincorrere la visibilità attraverso soffocanti calendari pieni di eventi, che altrimenti avrebbero trasformato un hobby in un lavoro.

Devo ammettere, però, che recentemente nella valutazione di diversi progetti, tra cui l’acquisizione di uno spazio di 5.000 metri ovvero una sinergia con enti locali, l’idea di allargare l’orizzonte, magari con una fondazione, è più volte stato esaminato, senza decisione alcuna al momento. Diverse mostre sono state il frutto di residenze di giovani artisti stranieri.
Delle varie mostre realizzo dei cataloghi, che hanno finalità documentativa e diventano oggetto di presente per qualche visitatore.
S.D.: Umberto Eco ha scritto “la principale funzione della biblioteca, almeno la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l’esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi”. Non è così anche per una collezione d’arte e cioè sorprendere? Cosa potrebbe sorprendere in particolare della vostra collezione?
C.G.: Della collezione sorprende la varietà, la complessità e/o l’importanza di certi lavori, anche se spesso è visibile una giustapposizione di opere di artisti giovanissimi ad artisti già nella storia dell’arte, perché, come mi piace dire, mi trasmettono la stessa intensità di emozioni. Gli ospiti, dopo i vari eventi, spesso si dicono felici ed esprimono riconoscenza per quella che definiscono “un’esperienza”, e lì è massimo la mia gioia, illudendomi di far scattare interesse in chi è lontano da questo mondo ed invece indurre all’approfondimento su qualche artista chi già, invece, lo conosce e magari già colleziona.

S.D. :“La poesia è poesia quando porta in sé un segreto” disse Ungaretti in un’intervista. Potremmo dire che è così per l’arte in generale e per quella contemporanea in particolare. Quale segreto contengono le opere che collezionate?
C.G.: Su ogni opera potrei raccontare una storia, su tutte – circa 3.200 – di certo l’acrobazia economica per acquisirle nella costante ricerca di un dialogo e l’obiettivo di evitare la serialità. In collezione continuano a mancare opere di post-war il cui acquisto di volta in volta è stato rimandato nella considerazione che vi sarebbe stata occasione di trovare opere simili; di contro si trovano opere uniche, che continuano a girare il mondo in prestito per mostre varie, proprio perché “non seriali”. E questa “non serialità” è quello che fa una collezione.
S.D.: Riprendo Thomas Bernhard che in ‘Antichi Maestri’ scrive “Per quanto ciò sia assurdo, quando leggo un libro ho comunque la sensazione e la convinzione che il libro sia stato scritto solamente per me, se guardo un quadro ho la sensazione e la convinzione che sia stato dipinto solamente per me…”. Come collezionisti d’arte avete mai provato la stessa cosadavanti ad un’opera? Avete commissionato per voi?
C.G.: Tutte le residenze hanno generato opere fortemente volute, quindi progetti praticamente commissionati. In senso stretto, invece, nell’acquisto di un gruppo di opere di Gao Hang, giovane e talentuoso artista di origine cinese, ma di base in Texas, abbiamo, invece, qualche anno fa abbiamo commissionato un nostro ritratto.

Più di recente in occasione della nascita del secondo genito, mi trovavo nello studio di Matteo Valerio, uno dei giovani seguiti da anni e con cui si parlava di organizzare una mostra, così il suo ragionamento sulla modalità di esporre una sua importante opera, costituita da un drappo in evoluzione ed esposto in praticamente tutte le sue mostre ed i suoi studi, si è trasformata nell’occasione di darle forma di fiocco e festeggiare la nascita di Domenico; partendo da quello, con alcune delle numerose opere in collezione, è stata costruita una mostra dal titolo “Product of intagible cultures”, attualmente in corso.

S.D.: Alan Bennett nel suo scritto ‘I quadri che mi piacciono’ confessa: “Il mio criterio di giudizio è piuttosto superficiale, e mi riesce difficile separarlo dall’idea di possesso. Così so che è un quadro mi piace solo quando ho la tentazione di portarmelo via nascosto sotto l’impermeabile”. Concordate?
C.G.: Mi piace, nell’incontrare nuovi galleristi o dealers, sottolineare che non serve rincorrermi perché quando realizzo che l’opera è quella giusta, sono io il primo a fare di tutto per non farmela scappare e a braccare il venditore. A proposito di possesso un vecchio amico, che purtroppo ora non c’è più, che aveva ceduto più di qualche sua opera, alla mia domanda su come facesse a staccarsene mi rispose: “sai, Carmelo, ad un certo punto del collezionismo, ti rendi conto che ti basta godere della vista di un’opera anche in un museo per possederla”. Ecco, mi auguro di arrivare presto a quella fase. Ad oggi le mie brevi notti sono ricche di riflessioni su come comprare un’opera piuttosto che un’altra.
S.D.: Pierre Le-Tan, parlando dei collezionisti che aveva incontrato, come a voler dare un consiglio, scrive “un collezionista avveduto compra sempre pezzi estranei alle mode”.Vi sentite di condividere questo consiglio?
C.G.: Mai comprato un’opera seguendo la moda. Per tre motivi: la collezione risulterebbe simile a molte altre, verrebbe meno buona parte del gusto della ricerca, non ne avrei le possibilità.
S.D.: Maurizio Cattelan in un’intervista ha paragonato le sue opere a degli orfani in cerca di una nuova famiglia. Vi piace pensarvi nei panni di un genitore adottivo per un’opera d’arte e forse anche per un artista?
C.G.: Noi abbiamo adottato Andrea Candela, installazione con scultura antropomorfa in cera del duo Elmgreen and Drugset e,oltre a tracciarne gli spostamenti con l’acquisto di biglietti aerei e ferroviari a lui intestati, si creano spesso divertenti gag con i nostri ospiti ed interazioni con i nostri followers e gli artisti stessi.

S.D.: Gertrude Stein diceva agli amici che per fare una collezione è sufficiente risparmiare sul proprio guardaroba. A cosa rinuncereste o avete rinunciato per un’opera d’arte?
C.G.: Concordo perfettamente. Molte persone credono che il collezionare sia da persone con notevoli risorse; io sostengo che si stia già collezionando possedendo cinque opere interessanti, anche di giovanissimi artisti. Mi diverte tanto scoprire che molti professionisti del mondo dell’arte non collezionino. Canali di acquisto tutti, limitatamente alle mie possibilità: l’aver messo insieme una collezione come la mia in poco meno di 20 anni dimostra che non servono grandi risorse, ma sicuramente molta attenzione, curiosità, informazione ed un pizzico di fortuna. Per l’arte rinuncio a tutto.

S.D.: Potremmo paragonare un collezionista ad un giardiniere che cura il suo giardino, ad un editore che sceglie i libri da pubblicare nel suo catalogo, un padre o ad una madre che adottano, un custode che mette al riparo: a cosa vi paragonereste come collezionisti?
C.G.: Sicuramente al custode. Spesso, infatti, sottolineo il fatto che i collezionisti iniziano a custodire gelosamente opere, preservandole dall’accelerato logorio dell’umidità di una cantina, che solo col tempo prenderanno valore. Forse.
S.D.: Mark Rothko ha scritto “Un quadro vive in compagnia, dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione. È quindi un gesto arrischiato e spietato mandarlo in giro per il mondo”. Le opere d’arte fanno compagnia?
C.G.: Molta. In verità ora il tempo è scandito anche dai vagiti e dai pianti dei miei piccoli bimbi, ma vivere in mezzo alle opere ti porta ad avvertirle come presenze, ad esserne sempre catturato ed ogni tanto scoprirne dettagli nuovi.
S.D.: Molti collezionisti prima di cominciare ad acquisire si sono messi a studiare. Avete un libro in particolare che consigliereste a chi vuole avvicinarsi all’arte contemporanea? Arthur
C.G.: Ho spesso di consigliato: “Lo squalo da 12 milioni di dollari” di Donald Thompson, “Il giro del mondo dell’arte in sette giorni” della cara amica Sarah Thornton, “Oltre il brillo box” di Arthur C. Danto, “Arte e Poststoria” di Demetrio Paparoni e “L’età dell’inconscio” di Kandel. E poi tutti dovrebbero godersi lo spettacolo “L’arte è una caramella” di Carlo Vanoni.
S.D.: Prendo in prestito il titolo del libro del collezionista e scrittore Giorgio Soavi “Il quadro che mi manca” e vi chiedo: qual è l’opera che vi manca: quella che è andata via per sempre o che ancora deve arrivare?
C.G.: Farei follie per avere 3 opere. Him di Cattelan, per cui mi rimane il grosso dispiacere di non aver chiuso la trattativa, per non aver avuto le risorse necessarie, quando era sul mercato, ovviamente prima del record d’asta. E poi duestraordinarie opere, una di Fishli and Weiss ed una di Marc Quinn, di cui confido di intercettare una delle edizioni in secondary market e quindi non vi dirò quali sono!
S.D.: “Rimaniamo, inguaribilmente, creature verbali che amano spiegarsi le cose, formarsi delle opinioni, dibattere. Provate a metterci davanti a un quadro e tutti noi, ciascuno a modo proprio, cominceremo a parlare. Girovagando per le sale, Proust amava raccontare delle persone della vita reale che i personaggi del quadro gli rammentavano; chissà forse un abile strategia per evitare un confronto estetico diretto. Ma rari sono i dipinti che, in virtù della loro bellezza o per capacità di persuasione, ci riducono al silenzio. E quand’anche rimanessimo senza parole, non tarderemmo a voler spiegare e comprendere lo stesso silenzio nel quale siamo piombati” ha scritto Julian Barnes. Spesso si legge che l’arte contemporanea ha bisogno di essere spiegata per essere capita ma, a leggere Barnes, questo potrebbe essere vero per tutta l’arte. Quali parole potrebbero accompagnare la vostra collezione o un’opera in particolare? Possedete opere che zittiscono?
C.G.: Nelle numerose visite che ricevo, mi piace essere io l’accompagnatore per i diversi ambienti. Il titolo per una mostra di un gruppo di opere che ho immaginato sarebbe stato “WOWWW!”, ma ciò che mi genera più stupore davanti alle opere della collezione sono i complimenti di altri collezionisti, soprattutto perché magari opere non di artisti di moda e che ho ripescato magari dopo lunga ricerca, al punto che replico ai complimenti, quasi incredulo, “davvero ti piace?”.

S.D. Alcuni collezionisti utilizzano i social network per condividere le opere d’arte che collezionano o quelle degli artisti che seguono e che magari vorrebbero possedere. Credoche condividere opere e creazioni di artisti sui social sia anche un modo per contaminare il flusso dello scrolling, un modo concreto per far entrare l’arte contemporanea nel quotidianodi altre persone. Concordate?
C.G.: Di fatto Instagram è l’unico strumento divulgativo della collezione e l’unico modo per contattarci per eventuali visite. La condivisione dei vari contenuti permette anche un contatto con gli artisti, il cui commento o la cui risposta ad una sollecitazione possono facilitare la ricerca sulla storia delle opere.