L’arte contemporanea, specialmente quella più radicale, ha bisogno di tempo per essere apprezzata. In particolare quando le opere nascono in stretta relazione con il luogo che le contiene. Non a caso D-A-M-A (Torino, 2-6 novembre), il progetto indipendente ideato dal gallerista torinese Giorgio Galotti e curata da Domenico De Chirico, è come un buon Moscato piemontese: da meditazione. Niente stand preallestiti, corridoi affollati e rumorosi. Inserita nella cornice barocca di Palazzo Saluzzo Paesana, uno dei più fastosi palazzi nobiliari torinesi, D-A-M-A è quanto di più lontano si possa immaginare da una fiera d’arte canonica, veloce e caotica. Ha più il sapore della mostra, dove si ha il tempo di entrare in sintonia con le opere, di analizzarne i significati più reconditi, magari in un confronto a bassa voce con il gallerista. Dopo il caos allegro del Lingotto entrare nelle stanze di D-A-M-A ci proietta in una dimensione veramente diversa, dove il neon da macelleria è assolutamente bandito per lasciare spazio al calore degli ambienti e, verrebbe da aggiungere, delle relazioni umane, oggi un po’ troppo mediate da freddi dispositivi tecnologici.
Anche per questo, il numero delle gallerie presenti è volutamente ristretto – 10 quelle chiamate per questa prima edizione – e così il numero degli artisti coinvolti: 14. Le opere sono tutte molto cutting edge, talvolta un po’ dure da digerire, a tratti anche discutibili, in particolare perché l’elemento realmente innovativo non sempre è chiarissimo – come ormai accade spesso con il contemporaneo -, ma l’effetto complessivo è esteticamente ottimo, anche perché gli organizzatori sono riusciti a trovare un equilibrio fantastico tra il contenitore e i lavori proposti, senza che questi fossero schiacciati dall’opulenza barocca del primo. E già da qui si capisce il senso dei quella etichetta, curated fair, usata per definire D-A-M-A.
Ma vediamo cosa c’è a Palazzo Saluzzo Paesana. Il primo gruppo di lavori che incontriamo nel vestibolo d’ingresso è quello di Stephanie Hier, giovanissima artista canadese presentata dalla galleria Neochrome di Torino e la cui ricerca artistica esplora gli effetti della riduzione dell’immaginazione visuale nello scorrere nella storia.
Superato il vestibolo, si apre davanti ai nostri occhi la prima sala dove la Neumeister Bar-AM di Berlino ha portato alcuni degli ultimi lavori della giovanissima artista milanese Priscilla Tea. Una serie di grandi paesaggi dipinti con un tratto quasi computerizzato che ci invita a riflettere sulla nostra abitudine a vedere le immagini su uno schermo e sugli effetti che questo costume contemporaneo comporta in termini di percezione dello spazio e della profondità.
Il percorso di D-A-M-A porta, poi, in un piccolo corridoio dove la messicana Yaupatec ha allestito tre video di Calixto Ramirez tra i quali uno che si ispira al Barone Rampante del nostro Italo Calvino e che è un invito a liberarsi da quella stereotipizzazione di cui siamo un po’ tutti vittime nella vita di ogni giorno. Sullo sfondo una piccola scultura bianca del cinese Yu Honglei, portato a Torino dalla Antenna Space di Shanghai. Un lavoro che trae ispirazione dalla cultura visuale cinese e dalle immagini vernacolari che si trovano nel web. Partendo da queste fonti, Yu crea le sue piccole sculture di cui colpisce l’elemento plastico e la polisemia che scaturisce dall’incontro tra la resa formale e il titolo, in un gioco che libera l’immaginazione. In particolare, il lavoro presente a Palazzo Saluzzo Paesana, dal titolo Stand, apre ad un vocabolario visuale che attraversa temi come la gravità, il tempo e l’archeologia.
Tra tutte le sale, quella della Cinnnamon di Rotterdam – con lavori di Isabelle Andriessen e Johanne Hesvold – mi pare solo molto scenografica, ma poco convincente. E fa un po’ sorridere scoprire che il norvegese Hesvold – autore di una serie di parabrezza tagliati con un getto d’acqua – si rifiuta di spiegare il suo lavoro… forse perché anche lui ha poco da dire.
Decisamente interessante, invece, la sala seguente dove la galleria Drei di Colonia ha portato una serie di nuovi lavori dell’artista svizzero Cédric Eisenring: una installazioni di scatole di cartone contenenti coloratissime eliografie e fotografie accuratamente selezionate per creare una interazione dinamica con l’architettura del palazzo. L’effetto che ne emerge è quasi quello di una antica capsula del tempo che induce l’occhio ad indagare i segni e le immagini contenute nelle scatole, alla ricerca di qualche segreto misterioso che solo un antico palazzo nobiliare può custodire.
Giocano sulla relazione tra artificiale e reale, invece, gli oggetti di Sarah-Jane Hoffmann, artista tedesca portata da Giorgio Galotti assieme al polacco Piotr Skiba che nella Sala del Consiglio di Palazzo Saluzzo Paesana interviene sugli arredi coprendoli con teli dorati e color rame, come si fa nelle case disabitate per proteggerli dalla polvere e dal passaggio del tempo.
Inutilmente criprici mi sono sembrati i lavori dei due artisti tedeschi presentati dalla galleria Tobias Naehring (Jan Bunning e Sophie Reinhold) come quelli della coppia di artisti polacchi della Wschòd di Varsavia. Le loro due sale, molto ridotte, sono le uniche di D-A-M-A dove si perde quasi completamente il dialogo tra opere e contenitore: troppi i lavori presenti e con un senso di déjà-vu quasi fastidioso, tra bruschini e proiettori di diapositive che scattano isterici. Cose viste mille volte dagli anni Sessanta ad oggi.
Molto particolare è invece la proposta della londinese Maximillian William che a Torino porta alcuni lavori della polacca Magda Skupinska. Questa artista del 1991 lavora unicamente con materiali naturali e degradabili creando opere destinate a deperire, o comunque ad evolversi dopo che il suo intervento si è concluso. La pratica artistica di Skupinska nasce, infatti, da un lato da un suo interesse per le proprietà dei nuovi materiali – in questo caso alcune spezie acquistate a Marrakesh e delle essenze usate nelle profumerie di Grasse -, ma anche per il crescente impatto che le attività umane hanno sull’ambiente. Tra quelli di D-A-M-A è certamente il lavoro più affascinante, proprio per la sua capacità di interagire con lo spazio circostante. E anche per questo le abbiamo dedicato la copertina di questo articolo.