Il fascino di Palazzo Fortuny è palpabile dal pianoterra ai piani nobili, dalla facciata con le sue eptafore – esempio del migliore gotico veneziano – al sottotetto, con un salone a capriate lignee che schiude la vista a 360° sui tetti della città. E’ uno dei luoghi più significativi e artisticamente raffinati della città, non a caso scelto per ospitare il 3° incontro del ciclo “Arte & Diritto”, dedicato questa volta a “Art restitution”, un tema di “grande importanza e attualità” come ha fatto notare in apertura di lavori Patrizia Chiampan promotrice dell’evento in qualità di Presidente della Camera Arbitrale di Venezia.
Da Canova alla Conferenza di Washington: breve storia dell’Art Restitution
Quello della restituzione dei beni artistici è un tema spesso alla ribalta delle cronache giudiziarie, anche italiane. Proprio in questi giorni, infatti, la Procura di Pesaro è alle prese con la controversia tra lo Stato italiano e il Getty Museum per un bronzo del IV secolo attribuito a Lisippo. Rinvenuto in acque al largo delle Marche nel 1964, finito tra le reti di un pescatore italiano che poi lo aveva seppellito in un orto e in seguito venduto. Dopo vari e poco chiari passaggi fu acquistato dal Museo di Malibù nel 1977, che lo espose rivendicandolo come regolarmente comprato. La statua dunque è l’esempio calzante di alcune delle problematiche che possono nascondersi dietro a episodi di “art restitution”. Si tratta, in molti casi di questioni che vanno ben oltre la disputa legale, ma che puntano a “restituire un senso di appartenenza recuperata”, ha sottolineato Patrizia Chiampan introducendo il primo relatore.
Giuseppe Calabi, esperto civilista di diritto legato all’arte, è partito invece da Napoleone – “il più famoso ladro di opere d’arte” – che già con la prima campagna d’Italia fece razzia a vantaggio del neonato Museo del Louvre che doveva diventare “universale”. Tanto da costringere il Papa Pio VI a sottoscrivere il Trattato di Tolentino, che obbligava il Pontefice a cedere nel 1797 opere memorabili dei Musei Vaticani tra cui ha ricordato il Laocoonte e un Guido Reni; tutto ciò con la accesa critica di Quatremère de Quincy che nella Lettres à Miranda gli si oppose, sostenendo un concetto di indissolubilità tra l’opera d’arte e il luogo per il quale è stata concepita, ma soprattutto l’importanza del contesto nel quale è inserita, sostenendo che togliendola da questo, se ne perdono le sue radici e il valore.
Napoleone, i veneziani lo sanno bene, anche in città mise il suo zampino sottraendo i cavalli di San Marco e il leone bronzeo, poi tornati, e le splendide Nozze di Cana del Veronese invece tuttora esposte al Louvre, per citare solo i furti più eclatanti. Calabi, portando ad esempio il Canova, incaricato all’epoca di recuperare i rapporti tra Vaticano e Francia, ha sostenuto l’importanza dell’azione diplomatica svolta dallo scultore neoclassico, tutt’oggi a volte fondamentale per sbloccare controversie intricatissime.
L’intervento di Richard Aronowitz, responsabile per Sotheby’s delle restituzioni in Europa, è partito dalla Conferenza di Washington del 1998 che ha sancito un codice etico più che normativo per operare nel campo delle restituzioni che vedono soprattutto coinvolto il periodo tra 1933-45, quello più denso di casistica legato ovviamente alle razzie naziste. Un “codice” composto di 11 punti di cui Aronowitz ha sottolineato i tre più importanti: 1° le opere d’arte confiscate devono essere identificate; 3° risorse e personale devono essere messi a disposizione per facilitare tale identificazione; 11° le nazioni vanno incoraggiate nel promuovere la restituzione.
Art Restitution e Diplomazia: l’importanza della mediazione
Nello scenario appena descritto diventa, così, fondamentale la conoscenza del periodo storico e importantissimo un paziente lavoro diplomatico di mediazione. Tra i casi riportati, Richard Aronowitz ha ricordato come proprio a Sotheby’s sia capitato in vendita un lotto che successivamente si scoprì essere appartenuto all’ebreo Alfons Jaffè che prima di fuggire a Londra aveva inviato la sua collezione in Olanda, dove fu costituito un museo omonimo. Con l’occupazione le opere vennero saccheggiate e negli anni ’50 alcune di queste vennero trovate sul mercato antiquario. L’acquirente non ne conosceva la storia, ma quando gli eredi riconobbero una natura morta come l’opera di Abraham von Bejeren appartenuta al loro familiare, riuscirono a ricomprarlo al prezzo comunque ribassato tra il 20-50%.
Le vendite delle opere requisite potevano essere fatte per raccogliere fondi per il regime nazista; oppure, se ne veniva concessa l’esportazione, i proprietari erano costretti a pagare forti tasse allo stesso regime nazista. Nel caso non fossero state ancora requisite, spesso divenivano casi di vendite forzate, per consentire agli stessi proprietari la sopravvivenza. Anche i Russi, nel liberare Berlino, attuarono veri e propri saccheggi come si scoprì nel caso di un Cristo di Benozzo Gozzoli acquistato da Christie’s che si scoprì in seguito rubato dall’armata russa al barone Hans Hasso von Veltenheim nel 1945.
Se le spoliazioni sono state subite dai musei, questi hanno dimostrato di non cercare tanto il risarcimento finanziario, quanto piuttosto il recupero delle opere sottratte. Per quanto riguarda Sotheby’s, la casa d’aste ha un “obbligo morale” di trattare per l’opera da restituire. «La nostra politica – ha sostenuto Aronowitz – è quella di bloccare la vendita e se da una delle parti non si ascolta il nostro consiglio di entrare in trattativa. Infatti il rischio è che venga poi intentata causa alla stessa casa d’aste. Pertanto preferiamo ritirare l’opera fino ad un eventuale ordine di restituzione».
Quello che ci pare di aver colto comunque dalle parole di Aronowitz è che la mediazione, il dialogo tra proprietari attuali e ricorrenti porta spesso a compensazioni finanziarie, dove la via extragiudiziale e non contenziosa è la migliore. Katharina Garbers von Boehm dal canto suo ha sostenuto come in Germania non vi sia una visione d’insieme; ogni museo può decidere per proprio conto. Ha ricordato il caso dell’anziano Cornelius Gurlitt, figlio di un consulente artistico del Reich che era riuscito a nascondere circa 1500 opere vivendo nell’assoluto anonimato tra Monaco e una casa di campagna fuori Salisburgo, circondato da 200 capolavori appesi alle pareti.
Alla sua morte aveva lasciato per testamento l’intera collezione al Museo d’Arte di Berna e oggi, dopo aver ricostruito la provenienza, Svizzera e Germania cercano di risolvere in via amichevole la questione, selezionando tra tutte le opere frutto di razzie che sono quelle coinvolte nella restituzione. L’avvocato viennese Peter Polak (Fiebinger, Polak, Leon Rechtsanwaelte, Vienna) ha citato come esempio il famoso ritratto klimtiano di Adele Bloch Bauer che nel testamento fu lasciato nel 1925 da Adele al marito Ferdinand con la clausola che, a sua volta, lo lasciasse al Museo di Vienna.
Nel frattempo fu razziato dai nazisti ed in seguito, attraverso le restituzioni, tornò a Vienna e divenne uno dei capolavori del Belvedere. In seguito la nipote di Adele, Maria Altmann, fece causa al Belvedere e la questione, lunghissima, divenuta soggetto del film “Women in Gold” con Helen Mirren, fu risolta grazie ad un Arbitrato che, come sostiene Polak, dal punto di vista legale non fu una soluzione soddisfacente, ma ebbe una rilevante importanza politica per non incrinare i rapporti tra Usa e Austria.
Howard Spiegler (Herrick Feinstein Law Firm, New York) si è riallacciato ai principi di Washington cui aderirono 44 nazioni, con il compito di incoraggiare proprietari ed eredi a farsi avanti, e gli stati ad intraprendere le cessioni. Però negli Usa molti musei, fa presente Spiegler, sono privati, quindi il Governo non li può obbligare alla restituzione.
Altro caso intricato quello degli eredi di Mr. Goudstikker, mercante olandese specializzato in arte italiana e fiamminga. Acquistò un castello a Nyenrode per raccogliere la sua collezione; morì fuggendo in Inghilterra e la sua collezione di 1400 opere fu acquistata da Goering che, con l’aiuto del suo banchiere Alois Miedl, l’acquisì ad un valore ovviamente ridotto. Nel 1944 il governo olandese ne chiese la restituzione, che ottenne. Successivamente, nel 1997 si fecero avanti gli eredi che ne poterono chiedere la restituzione in quanto si trattava di un caso di “vendita forzata”. Solo nel 2006, dopo anni di battaglie legali, la bis-nipote Charlène von Saher riottenne parte della collezione.
E’ un vero e proprio “mondo”, quello che si può scoperchiare di fronte ai casi di restituzione. Un mondo che coinvolge storia, tragedie familiari, arte, passioni; questioni che non sempre si possono dirimere. A volte può bastare buon senso, altre possono servire linee guida da seguire, ma in molti altri casi sono necessarie leggi alle quali fare riferimento, dove l’Arbitrato può risultare la via migliore, fondata su studi approfonditi e maggiore sensibilità.
I prossimi incontri di Arte e Diritto:
21/09/18 – Finanza e fiscalità nell’Arte
19/10/18 – Privati, istituzioni ed imprese nell’arte
23/11/18 – Vincoli e soprintendenze
18/01/19 – La regolamentazione del mercato: esempi di ordinamenti esteri