Per un’Arte Fiera che traballa, fortunatamente, c’è una SetUp Contemporary Art Fair che allunga il passo e raggiunge la sua maturità con una proposta artistica di livello sempre più alto. Lasciata l’originaria sede dell’Autostazione di Bologna, la fiera ideata Simona Gavioli e Alice Zannoni, arriva nelle prestigiose sale di Palazzo Pallavicini, dove nel 1770 il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart suonò per un selezionatissimo pubblico il minuetto in Mi Bemolle Maggiore K 94. Probabilmente uno dei palazzi più belli della città. Curatissimi fin nei minimi particolari gli allestimenti, in perfetto equilibrio con gli affreschi che adornano le sale e che, fino al 4 febbraio, saranno la prestigiosa cornice delle 34 gallerie che al n. 24 di Via San Felice hanno portato una bella panoramica di quella che è la produzione artistica emergente.
Certo, non mancano (e come potrebbero 😉 ) opere che scivolano un po’ verso un certo decorativismo da artigianato artistico o lavori fin troppo “eccessivi”, come l’enorme fallo composto di piccoli giocattoli che campeggia fiero in uno degli stand, ma nel suo complesso quello che si può ammirare a Palazzo Pallavicini è buon arte, dietro la quale c’è certamente un pensiero, un’idea solida, e talvolta quasi una visione che si percepisce anche se un lavoro può entrare più o meno in sintonia con noi. Ognuno, d’altronde, ha i propri gusti e la propria sensibilità. E guai se non fosse così.
Ma quello slogan scelto per sintetizzare lo spirito di SetUp, Art grows here, ci pare quanto mai azzeccato, specie davanti ad un’Arte Fiera sempre più sclerotizzata. Uno slogan, peraltro, che rimarca anche la mission di un progetto che non smette di guardare avanti e che, con il tema di quest’anno, l’attesa, ha chiesto a galleristi ed artisti di cimentarsi con un’indagine di quella che è una vera e propria proiezione temporale e spaziale in cui qualcosa prende forma definendo così gli scenari delle “aspettative” economiche, sociali, politiche, delle relazioni, geografiche, ma anche fisiche, tecnologiche, formali e di identità che aprono la lettura del futuro attraverso l’arte.
Una sfida colta a pieno dai partecipanti, come si apprezza fin dai primi lavori che si incontrano entrando nello stand dello Spazio Lavit di Varese, allestito con gli idoli metallici di Paolo Fiorellini e le raffinate germinazioni estroflesse di Raffaele Penna che ci introducono nel mistero dell’attesa, molla costitutiva della nostra esistenza. E anche preludio di un qualcosa che sta per avvenire come ci ricordano le belle chine di Ericailcane e Luca Zamoc, due delle proposte che troviamo da D406-Fedeli alla Linea.
Ma le sfaccettature dell’attesa possono toccare anche ambiti di dramma quotidiano, come quello del ruolo della donna nelle varie culture affrontato nei suoi lavori da Maria Alvarez. O allargarsi agli spazi, alle architetture, alle stanze e alle loro rispettive interazioni con l’individuo, come avviene nelle opere di Paloma Marias. Due artiste, queste ultime, che trovate nello stand della spagnola Fundaciòn Florencio De La Fuente, una delle 7 realtà internazionali che quest’anno hanno preso parte alla SetUp 2018.
Le architetture di Marias ammiccano, così, a quelle, utopiche, di Massimo Gasperini che con la Galleria La Linea di Montalcino porta a Bologna le sue affascinanti Città Analog(ic)he, con cui l’artista/architetto toscano traccia un percorso verso la ricerca di un nuovo rapporto tra artificio, struttura e natura. Connessioni e concatenazioni architettoniche, forme e geometrie, disegni come prefigurazione di spazio reale, quello che viene prima della materia.
Gli scatti e le frasi del napoletano Enrico Fico sono, invece, l’interessante proposta di Tiziana Tommei che con il lavoro Wax indaga il rapporto tra immagine e testo, passato e futuro indagato in un tempo fluido e dilatato. Quel tempo che nella Site Specific Room dell’artista milanese Solomostry, protagonista dalla Martina’s Gallery, diviene inquietudine, tensione prima dell’azione, un conto alla rovescia infinito che ci accompagna verso una nuova fase, un nuovo ambiente.
Così come le fotografie di Luca Gilli esposte nello stand di Paola Sosio Contemporary Art, sono un prolungamento dei momenti vissuti; sospensione di attimi che fissano luoghi senza identità dove nulla è permanente e tutto cambia velocemente.
Una situazione di disequilibrio costante quella di Gilli che, idealmente, viene controbilanciata dal lavoro di Federica Gonnelli presente nello stand dello Studio 38, Tesi – tra le attese, con cui l’artista decide di indagare, misurare, comparare per rendere possibile un indagine generale e condivisibile dell’attesa. Approccio che, in parte, ritroviamo anche in XXL, progetto di Caterina Arcuri esposto da Museo Nuova Era.
Le opere da citare sarebbero veramente tante, mettendo però da parte per un attimo il piacere inconscio per la “lista”, quello che mi piace sottolineare e che SetUp 2018 è la dimostrazione di come un’idea curatoriale forte, anche in campo fieristico, sia assolutamente un asset strategico per la buona riuscita di un evento. Oltre al fatto che qui il minor numero di gallerie presenti rispetto al passato è chiaramente indice di una maggior selezione.
Solo così, d’altronde, è possibile puntare sulla qualità della proposta culturale. A chi interessa, d’altronde, entrare in un luogo con un’offerta troppo ricca, ma di scarsa qualità? Probabilmente a nessuno. E, d’altronde, è quello che fanno in tutti gli eventi più importanti del mercato dell’arte, dove si arriva anche a selezionare le opere da esporre.
E’ così che si difende il mercato e non con una quantità scialba e priva di spunti di riflessione. Anche per questo le curated fair stanno prendendo sempre più piede nel mondo. E appuntamenti come la bolognese SetUp o la torinese D-A-M-A sono oggi le fiere indipendenti più interessanti del nostro Paese: sono selettive e hanno dietro un’idea, un progetto. Avanti così!