Il libro “Il capitale ignorante. Ovvero come l’ignoranza sta cambiando l’arte” edito da Johan & Levi è stato uno di quei suggerimenti inaspettati. Parlando, un sabato pomeriggio, con un collezionista incontrato un po’ per caso e confrontandoci sul sistema dell’arte e sulle sue ipocrisie, mi ha voluto citare una riflessione del prof. Meneguzzo proprio relativamente al concetto di gusto contemporaneo e come questo sia un fattore primariamente sociale e non individuale.
Il discorso poi è andato avanti, si è arrampicato su in alto e sono nate molte altre affermazioni, ma ammetto che quella prima osservazione mi ha incuriosito a tal punto da iniziare il libro il lunedì successivo. E in effetti mi si è aperto un mondo.
Marco Meneguzzo non è nuovo a libri così: un saggio agile, che si legge in treno per farsi accompagnare in un viaggio mediamente lungo e che spalanca gli occhi su una realtà tanto vera quanto da criticare. Suddiviso in capitoli dai titoli provocatori, non si può dire essere un testo storico, ma piuttosto (come dichiarato nella prefazione) un tentativo di rispondere con parole ordinate a un disagio verso trasformazioni storiche secondo l’autore fuori controllo.
Attraverso un’analisi il più delle volte polemica dei diversi comportamenti del collezionismo contemporaneo globale, sempre e solo influenzato dalla critica occidentale, il testo ci racconta come sono cambiati gli approcci; delinea le figure dei collezionisti degli anni passati, la loro passione e la loro volontà nel costruire una nuova attitudine elitaria volta a educare il resto del mondo popolare, il loro desiderio sfacciato di costruire una società armonica proprio a partire dalle loro scelte estetiche.
Passo dopo passo, il libro accompagna il lettore verso una nuova prospettiva, che vede gli artisti contemporanei sempre più attirati dalle mode, il collezionismo un semplice strumento di lustro e vanto, piuttosto che di potere culturale, e l’intero sistema dell’arte contaminato dal marketing e dalla pubblicità.
Meneguzzo è pungente, a tratti sarcastico. I suoi ragionamenti non sono fumosi, ma suffragati da lucidi riferimenti storici e filosofici. Cerca di dare un ruolo alla recente globalizzazione che ha investito ogni settore, individua motivazioni intrinsecamente culturali e che allontanano i cosiddetti intellettuali dal mondo dell’arte contemporanea. Prova a capire quella che lui definisce la metamorfosi del collezionista contemproaneo.
“Il capitale ignorante” è un libro che vuole tenere svegli. Per quanto contestatore, lascia diverse porte aperte e la speranza e la volontà di riscrivere un codice più etico (forse) e aperto.