Avete mai pensato che un’opera d’arte potrebbe avere un suo DNA?
Il problema della contraffazione è ormai annoso e non staremo qua a ritirare fuori dati e statistiche di quante opere false ci siano in giro per il mercato dell’arte. Ma, se da un lato quel che è fatto è fatto e determinare a posteriori l’originalità di un’opera diventa più un esercizio intellettuale – spesso discutibile – che altro, oggi la tecnologia ci permette, finalmente, di rimuovere il problema alla radice e cominciare ad avere delle certezze incontestabili. Come? Creando una documentazione digitale inalterabile e legata per sempre all’opera d’arte fin dalla sua nascita.
Attenzione, non stiamo parlando dei ‘soliti’ NFT che certificano una versione digitale di un’opera fisica ma che, alla fine non garantisce, nella realtà, un bel niente. Bensì di un legame fra l’opera reale e le sue informazioni digitali che nessuno potrà mai andare ad alterare in alcun modo.
Un vero e proprio DNA quindi, immerso nella materia dell’opera e inscindibilmente legata ad essa grazie ad una serie di microchip che, interagendo fra di loro, generano un codice univoco e irriproducibile che permette all’opera stessa di ‘comunicare’ con la Blockchain, che la certificherà e che conserverà al suo interno per sempre tutta la sua documentazione.
Certificazione e tracciabilità, quindi.
Ma anche un ‘ponte’ vero fra il fisico e il digitale, accessibile da qualsiasi luogo in qualsiasi momento, con un qualsiasi device.
La visione di Native Digital (l’azienda svizzera che ha sviluppato questa tecnologia) è quella di riportare il focus sull’unicità della creazione rendendo impossibile qualsiasi riproduzione incontrollata e, allo stesso tempo, rendendo accessibili a chiunque le informazioni.
Ma c’è di più. Non stiamo parlando solo di anticontraffazione, ma di una vera e propria ‘memoria distribuita’ in grado di registrare qualsiasi dato vogliamo conservare e proteggere nel tempo rendendo, di fatto, il mondo fisico e la blockchain finalmente davvero due facce della stessa medaglia.
Lo strumento che permette di realizzare nella pratica tutto ciò è stato battezzato Smart Dust: si tratta di un piccolo network di resistentissimi e microscopici circuiti (di un millimetro circa) che vengono ‘affogati’ nell’opera (quindi nella pittura o nella tela se si tratta di un quadro, nella carta se è un disegno, nella terracotta se una scultura, ecc.) e che permettono poi a Native Digital di ‘coniare’ il suo DNA e consegnarlo all’artista; quest’ultimo può così seguirla in tutta la sua vita e, soprattutto, in tutti i ‘passaggi di mano’ risolvendo così, ad esempio, anche le questioni legate al diritto di seguito e al diritto di riproduzione dell’immagine.
Una vera svolta, quindi, per tutti gli attori della filiera: sicuramente per l’artista che può così tenere traccia per sempre delle sue creazioni; per chi vende che può garantire provenienza, stato di conservazione e, soprattutto autenticità; per i collezionisti che possono dormire sonni tranquilli finalmente al riparo da acquisti incauti e da truffe.