Mentre sta per cominciare il conto alla rovescia per l’edizione n. 40 di Arte Fiera e per SetUp 2016, che punteranno i riflettori su Bologna, diamo uno sguardo a cosa offre il panorama espositivo italiano per questo mese di gennaio. Concentrandoci in primo luogo, come nostro solito, sulle mostre in corso o di prossima apertura, nelle gallerie del nostro Paese. A tal proposito la prima mostra che ci piace segnalarvi, se non l’avete già vista, è la splendida retrospettiva che la Galleria Christian Stein dedica, nelle sue due sedi di Milano e Pero, a Luciano Fabro. Da un grande maestro dell’arte contemporanea alle giovani promesse del panorama artistico italiano: le altre quattro esposizioni selezionate per questo mese di gennaio riguardano l’opera di vari artisti emergenti italiani il cui lavoro ci sembra particolarmente interessante sia per quanto riguarda la ricerca artistica che lo sottende che la resa formale.
Luciano Fabro
Galleria Christian Stein – Milano / Pero
Organizzata dalla Galleria Christian Stein in collaborazione con l’Archivio Luciano e Carla Fabro la mostra, che rimarrà aperta fino al 26 marzo, ripercorre le tappe salienti della carriera di Luciano Fabro (1936-2007), uno tra i maggiori artisti del secondo dopoguerra, autentico innovatore della tradizione della scultura italiana. In particolare, nella sede milanese di Corso Monforte, viene riproposta la prima personale di Fabro che si tenne nel 1965 alla galleria Vismara. Una prima mostra in cui era già evidente l’interesse dell’artista per fenomeni apparentemente semplici e banali, come il modo di comportarsi di un oggetto nello spazio. Tutto il suo lavoro s’incentra, in quei primi anni milanesi, fecondati dall’influenza di Manzoni e Fontana, sulla percezione dell’ambiente nel rapporto tra realtà esterna e interna, sull’idea di opera d’arte quale strumento necessario per leggere l’esperienza e per sviluppare nuovi piani di conoscenza.
Negli ampi spazi a Pero, invece, la Galleria Christian Stein propone la rilettura di alcuni tra gli episodi più significativi della sua ricerca successiva. Come quella dei cicli, ormai famosi, delle Italie, dei Piedi e degli Attaccapanni, fino ai marmi che guardano alla mitologia greca. In questi lavori Luciano Fabro rende esplicito il suo dispositivo concettuale, ribaltando la funzione simbolica comunemente accettata di forme note, la silhouette delle quali, realizzata in vari materiali, è collocata nello spazio in modi inconsueti e spiazzanti. L’intento è sempre quello di indurre nel fruitore una consapevole esperienza dello spazio, compiuta con tutti i sensi e senza pregiudizi. Ma ora si sviluppa anche una potenza estetica e s’impone una modalità espressiva più dedita alla costruzione di forme nuove.
Luciano Fabro, Lo spirato (Io rappresento l’ingombro dell’oggetto nella vanità dell’ideologia. Dal pieno al vuoto senza soluzione di continuità), 1968-1973. Courtesy Archivio Luciano e Carla Fabro & Galleria Christian Stein, Milano.Nelle opere presentate, Fabro recupera dimensioni monumentali, una concezione sontuosa e un lavoro artigianale memore della migliore tradizione italiana, ricorrendo a materiali preziosi quali marmo, vetro e seta e, soprattutto, al colore e alla luce. Senza mai rinunciare alla sfumatura ironica e al piglio di sperimentatore incontentabile e imprevedibile. Come se tutto il suo percorso, fino alla maturità, realizzasse lo scopo della scultura forse più importante e meno esposta, Lo Spirato (1968-73), dove il corpo dell’artista è la traccia fluttuante di un velo di marmo, a scolpire l’assenza che non è un vuoto, ma una piega di senso che si piega e si ripiega nella ricerca di una perfezione mortale.
Aequilibrium
Loom Gallery – Milano
Sempre a Milano, la Loom Gallery presenta Aequilibrium (20/01-20/03), mostra collettiva ideata e curata da Vincenzo Ripamonti in cui quattro artisti – Ariel Schlesinger, Francesco De Prezzo, Ignacio Uriarte e Nicola Ballarini – indagano con il loro lavoro altrettante situazioni e “interpretazioni” di quell’equilibrio che, in fondo, è l’obiettivo che noi tutti vogliamo raggiungere.
Un equilibrio che può essere inteso come tentativo di stare in piedi, di non cadere e di resistere alla forza di gravità. Ma anche come attimo, come situazione in attesa, tra qualcosa che sta per avvenire ma che non avviene. Tra una possibilità e l’altra. Oppure come “bilanciamento” tra i simboli e tra le linee. Tra un segno forte e un segno lieve, tra un segno freddo e un segno caldo. Oppure tra le immagini, tra il figurativo e l’astratto.
Rumore Rosso
MAC- Lisson
Il 14 gennaio scorso, il MAC – Museo d’Arte Contemporanea di Lissone ha inaugurato, giovedì 14 gennaio, Rumore Rosso, tripersonale degli artisti Nicola Di Caprio, Bartolomeo Migliore e Michael Rotondi che rileggono il rumore come concetto sonico nell’arte visiva per mezzo di un’installazione e di una performance electro-noise. I tre artisti confrontano il loro metodo di produzione dell’opera d’arte, con un’attitudine musicale che è colonna sonora proveniente dal paesaggio urbano/industriale combinato al timbro delle varie subculture.
Il questo circuito visivo, l’esposizione presenta parole e slogan che Bartolomeo Migliore (n. 1960) dipinge sulla tela, come gesto pittorico e ricerca di una fonetica visiva; Nicola Di Caprio (n. 1963) espone invece innesti scultorei che attingono a frammenti e parti di materiali fonografici; infine, un tracciato ambientale di Michael Rotondi (n. 1977) traduce il titolo di una canzone nel racconto di un ricordo.
Maria Elisabetta Novello | Limen
Anna Marra Contemporanea – Roma
Sempre il 14 gennaio scorso, ma questa volta a Roma, la galleria Anna Marra Contemporanea ha inaugurato la mostra personale di Maria Elisabetta Novello (n. 1974) dal titolo Limen, curata da Lorenzo Respi. La mostra accoglie lavori realizzati ad hoc dalla Novello, installazioni e opere a parete, che occupano sia le sale interne della galleria sia il cortile. Le opere, che sono parte del progetto Sopralluoghi, sono frutto di un’azione performativa durante la quale Maria Elisabetta Novello ha raccolto dei residui di polvere tra le strade della città di Roma. Ormai da alcuni anni, infatti, Maria Elisabetta Novello porta avanti una minuziosa, e personale, ricerca sui luoghi, sulla loro memoria e sul trascorrere inesorabile del tempo. Azioni time specific di raccolta di tracce, i Sopralluoghi sono ricognizioni dirette sul territorio: l’artista percorre e attraversa i luoghi, fa esperienza dell’estensione degli spazi e della loro trasformazione, raccogliendo durante il suo cammino le polveri e le deposizioni del presente, oltre agli indizi del passato. I sopralluoghi sono il tentativo di comprendere la realtà fisica, la sua evoluzione, attraverso l’indagine e la rielaborazione di ciò che è sopravvissuto al tempo.
Proprio il tempo necessario per le azioni e per la raccolta dei lacerti della nostra memoria offre a Maria Elisabetta Novello il pretesto per riflettere anche su se stessa – e sul suo essere artista – come “essere temporale”. All’esplorazione geografica si affianca, quindi, un percorso interiore di conoscenza e riconoscenza. Muovendosi tra i confini visibili e invisibili della città di Roma, l’artista si spinge fino ai limiti più estremi dello spazio, camminando in equilibrio sulla sottile linea divisoria che da un lato delimita un’area spazio-temporale e dall’altro segna l’inizio di un’altra. E così all’infinito. Come i confini geografici, politici e sociali sono permeabili e mobili, lo stesso accade per i luoghi della mente e le manifestazioni del proprio inconscio. L’incertezza e il dubbio, che animano e alimentano la creatività artistica, danno forma a paesaggi sconosciuti, delineano orizzonti lontani e costruiscono archivi della memoria. In questa nuova serie di Sopralluoghi Maria Elisabetta Novello apre i confini fisici al suo mondo interiore, accettando l’indeterminatezza come condizione esistenziale e stimolo nella ricerca artistica.
Au Milieu
Whitelight Art Gallery – Bologna
Infine, come era inevitabile, arriviamo a Bologna dove, il 23 gennaio, presso la Whitelight Art Gallery, apre AU MILIEU, bipersonale di Gianni Moretti e Maria Elisabetta Novello a cura di Martina Cavallarin. La mostra, che farà parte anche del circuito di Art City White Night in occasione di Arte Fiera, è frutto di un progetto che prende spunto da una frase di Gilles Deleuze il quale, nel 1978, scriveva: «Il divenire, il movimento, la velocità, il turbine, si trovano in mezzo. L’interessante è in mezzo, ciò che succede nel mezzo (au milieu). Il mezzo non è un media, è invece un eccesso. Le cose crescono nel mezzo. Era questa l’idea di Virginia Woolf. E il mezzo non vuol dire affatto essere nel proprio tempo, essere del proprio tempo, essere storico; al contrario. È ciò per cui i tempi più diversi comunicano». Ed è proprio sull’importanza di ciò che sta “nel mezzo” che si concentra AU MILIEU e, più precisamente, sullo spettatore che partecipa e si abbandona all’opera, aumentandone potenza e significato. In mostra due lavori nati dallo stretto confronto dialettico tra critico e artisti. Ne sono nate due installazioni di dimensioni ambientali che si snodano, con andamento geometrico, da soffitto a pavimento: un percorso verticale teso al vuoto nel caso di Moretti e orizzontale teso al pieno nel caso di Novello.
Partendo da ciò che sta nel mezzo, nell’intervallo tra le cose, Maria Elisabetta Novello (n. 1974) svolge una ricerca, che si attiva dallo studio del libro Specie di spazi di George Perec, ricreando una mappatura che niente delinea e raffigura, un rettangolo pieno che intercetta la regione del dubbio, le coordinate dell’incerto, la presenza dell’effimero. La densa polvere a pavimento, le cui scritte sul confine rimandano immediatamente alla bianca mappa del mare usata per la caccia allo snark nel poemetto umoristico di Lewis Carrol, crea una zona da attraversare o rispettare, un luogo di astrazione e di presenza, un territorio in cui apparizione e sparizione si alternano senza soluzione di continuità. In opposta direzione, ma teso allo studio del medesimo processo di AU MILIEU, Gianni Moretti (n. 1978) edifica una struttura verticale che riprende l’antica cinta muraria della città di Bologna. Si tratta di una pelle fragile e inconsistente, una seconda stanza che lavora su una topografia geografica reale mediante la quale l’artista mette in discussione tutte le frontiere e i confini del mondo per una ricerca rivolta allo stato delle cose, ai loro cambiamenti, al concetto di protezione che si scontra inevitabilmente con la chiusura, l’esclusione, la delimitazione. Lo spettatore si avvicina all’opera allertando un sistema di sensori che fanno suonare centinaia di campanelli che abitano, asserragliati, la struttura precaria di nylon e legno. Sulle pareti della galleria, infine, una serie di disegni realizzati con la cenere da Novello sviluppano il suo discorso di Specie di spazi. Le carte d’oro di Moretti, invece, sono organismi saturi di scritte e materia, supporti fragili e densi che cadenzano il ritmo del respiro della struttura verticale.