Arte Fiera, SetUp… e non solo. Dal 29 al 31 gennaio tutta Bologna si veste di contemporaneo grazie a Art City, programma istituzionale che comprende un centinaio tra mostre, eventi e iniziative culturali. Un’occasione, per chi si tratterà in città tutto il fine settimana, di scoprire il patrimonio artistico bolognese grazie anche ad interessanti contaminazioni contemporanee nei musei e nei luoghi d’arte felsinei. Si va dalla mostra Arte Fiera 40, che celebra il quarantennale dell’omonima fiera e di cui vi abbiamo già parlato giovedì scorso, a Officina Pasolini, un omaggio che ripercorre l’universo poetico e culturale di Pier Paolo Pasolini a quarant’anni dalla morte. Il Museo Morandi ospita la mostra fotografica Horizon di Brigitte March Niedermaier e il focus espositivo Morandi a vent’anni. Dipinti della Collezione Mattioli dal Guggenheim di Venezia, dedicato agli anni giovanili dell’artista bolognese, mentre Casa Morandi presenta una composizione di nature morte di David Adika. Progetti speciali di Andrea Salvatori e Alberto Tadiello sono appositamente ideati, invece, per gli spazi del Museo Davia Bargellini e del Museo internazionale e biblioteca della musica. A Palazzo Pepoli Campogrande la collettiva Percorsi di segni. Grafica italiana del novecento nella collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna presenta opere di importanti autori del novecento. (Programma completo -> Art City Bologna 2016) E per i nottambuli dell’arte torna, anche quest’anno, la Art City White Night. Una serata straordinaria di eventi, performance e happening, dedicati all’arte contemporanea e ai suoi artisti, unica in Italia e in Europa. Le gallerie d’arte contemporanea di bologna mostreranno il meglio delle loro collezioni in un’ apertura straordinaria fino a mezzanotte assieme alle mostre ospitate nelle sedi del circuito Art City Bologna. (Programma completo -> Art City White Night 2016).
Art City Bologna: breve guida alla visita
Orientarsi tra tanti eventi è sempre complesso. Per questo, spulciando con attenzione il programma di Art City Bologna 2016, abbiamo selezionato per voi alcuni eventi che ci sono sembrati particolarmente interessati. Il primo è LA CAMERA. Sulla materialità della fotografia, terzo episodio di un progetto espositivo più ampio, a cura di Simone Menegoi, che indaga il rapporto fra scultura e fotografia. In programma a Palazzo De’ Toschi, in Piazza Minghetti 4/D, dal 29 gennaio al 29 febbraio, la mostra mette insieme un nutrito gruppo di artisti internazionali e si smarca da una concezione “classica” del rapporto fotografia-architettura, secondo il quale la prima documenta e rivisita opere tridimensionali già esistenti, spostando così il baricentro della ricerca verso il medium fotografico. Ossia documentando i più recenti sviluppi di questa tendenza con un focus su possibilità non meno importanti; in primo luogo, quella che vede la materialità dell’immagine fotografica spingersi a tal punto da trasformare quest’ultima in oggetto. Una sfida a ciò che costituisce sin dal principio il “blind spot” della tecnica fotografica, il suo limite: l’impossibilità di rendere un oggetto tridimensionale su una superficie piana.
Già da sabato 23 gennaio, il Museo internazionale e Biblioteca della musica ospita la mostra Dwelling Art che si inserisce nell’ambito del progetto Casa a Mare degli artisti Luca Coclite e Giuseppe Di Mattia, a cura di Claudio Musso. Progetto che si configura come contenitore di un immaginario parallelo, proprio come “la casa al mare”, dimora alternativa per antonomasia, ed esprime l’intento di creare una dimensione abitativa attraverso l’utilizzo di materiali “recuperati”, già utilizzati ma ancora in condizione di piena funzionalità estetica e densi rimandi evocativi. L’esposizione, pensata per le stanze al piano terra del Museo della Musica ruota attorno al video omonimo, all’idea di una mostra utopica in cui Casa a Mare si relaziona con tutte le esperienze artistiche affini del passato. Insieme alla proiezione viene esposta la scultura Paracane, riproduzione in scala di un muro di cinta delle case rurali di montaliana memoria («una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia»), espressione materiale della difesa della proprietà privata. Circondano la scultura alcuni poster che rimandano all’idea di promozione di una mostra da inaugurare, i cui soggetti sono stampi cementizi solitamente utilizzati per realizzare recinzioni. Le strutture architettoniche e scultoree presenti nello spazio sono espressione di una cultura bassa, materiale, che cerca il suo orgoglio nella mimesi di forme naturali, classiche o di ritmi, greche, che nel tempo hanno sostituito il glifo nella pietra con il cemento.
Dal 22 gennaio al 28 febbraio torna a Bologna ON – progetto di arte contemporanea che invita artisti italiani e internazionali a realizzare opere site specific, azioni e performance in luoghi pubblici della città di Bologna. Dopo, Domani è il titolo della sesta edizione, che vede coinvolte le artiste Ludovica Carbotta e Adelita Husni Bey, chiamate a misurarsi in maniera diversa, ma complementare, attorno alla sfera pubblica e sociale dell’arte, aprendo a riflessioni sul futuro. Futuro come spazio fisico su cui impostare pensieri a lungo termine, futuro come antidoto contro una prospettiva terrorizzata dalla crisi economica, dall’assenza di lavoro, dalla politica secessionista che inscena furiosi scontri di civiltà e da una catastrofe umanitaria che nel frattempo si consuma tutt’attorno. Futuro come idea per scorgere un paesaggio praticabile che coinvolge una città, in un mondo che è molto più grande. Per l’occasione, Ludovica Carbotta ha realizzato il progetto installativo Monowe, con cui prosegue la propria ricerca sull’esplorazione fisica delle città e sulle modalità di fruizione messe in atto dai suoi abitanti. Attraverso un dialogo fra forme architettoniche reali e immaginate, l’artista concepisce una prospettiva inedita sull’area pubblica del Parco del Cavaticcio di Bologna. Un’installazione site-specific che rappresenta un ambiente ipotetico per un’immaginaria comunità del futuro. Nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio, invece, Adelita Husni Bey realizza l’evento pubblico Quattro atti sul lavoro, con cui propone un’immaginifica valutazione del possibile sviluppo del concetto di lavoro da oggi al 2040. L’azione di Adelita Husni Bey si terrà il 30 gennaio dalle 15 alle 20, mentre il 31 gennaio il pubblico potrà vedere una documentazione dell’evento, rielaborata attraverso un’installazione audio video, e compilare i questionari prodotti.
Several Laws. The Elastic Test è il titolo, invece, della prima personale italiana del collettivo romeno Apparatus 22 che, dal 28 gennaio al 26 marzo, presenta alla GALLLERIAPIÙ di Via del Porto 48 a/b, una serie di nuovi lavori che avanzano una riflessione sul corpo umano percepito quale campo di battaglia per le norme sociali: leggi scritte e non scritte, valori fossilizzati, preconcetti scientifici e sogni aziendali per un consumismo sublime. Apparatus 22 crea sette brani poetici, brevi, inquietanti, che agiscono da ponte e dai quali si generano, grazie ad un processo traspositivo, nuove immagini mentali. La serie origina da una chiara visione del corpo introdotta di recente in ambito scientifico dal CERN di Ginevra; i lavori indagano gli sforzi che ognuno di noi compie e le riserve a nostra disposizione per ri-modellare l’aspetto fisico assegnatoci dalla natura, ed osservano in maniera lucida il corpo nel suo essere rivestito di artifici, glamour ed ideali mass-mediatici. Tatuati su pelle, i testi evidenziano la fragilità contemporanea dell’essere umano davanti ai poteri dominanti – quello politico e quello economico, sociale e religioso, potere estetico e tecnologico – mettendo quindi in discussione l’aspetto più intimo ed emotivo dello spettatore. Negli spazi interrati della galleria bolognese, inoltre, il collettivo romeno presenterà il lavoro The Hour Broadcast (2014), realizzato insieme a studioBASAR + SillyConductor: sei canali radio che investigano i sentimenti del dopo-guerra. Pensato per un’ambientazione all’interno di un bunker anti-atomico vicino Sarajevo, l’installazione racconta la realtà esterna di un’era storica non ben definita attraverso il medium di informazione per eccellenza.
Presso il Teatro Anatomico della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio in Piazza Galvani 1 prosegue, fino al 1° febbraio, la mostra Gare du Sud, personale di Nicola Samorì. Strettamente collegata con la prima mostra svoltasi ad Amsterdam nel 2015 (Gare du Nord) presso il de Waag, lo splendido teatro ottagonale dove Rembrandt dipinse la celeberrima lezione anatomica del Dottor Nicolaes Tulp, l’esposizione bolognese, organizzata in collaborazione con la Galleria Monitor di Roma, vede l’artista dar vita ad un atto che considera la storia del teatro nei suoi vari attori e nelle sue varie fasi. In questa funzione sono inclusi anche gli spettatori che ammirano incuriositi la fessura segreta del teatro di cui parlano gli Atti della Congregazione della Gabella Grossa, da cui si poteva forse guardare senza essere visti. Al centro, deposta sul tavolo settorio, un “corpo” su cui l’artista ha effettuato i primi tagli, levando i primi organi in disfacimento. Una scultura che entra in dialogo con la pala d’altare collocata nel luogo adibito a cattedra, da dove il lettore teneva la sua disputa, presentando lo svolgersi della dissezione.
Infine, vi segnaliamo la straordinaria mostra dedicata al grande fotografo svizzero Jakob Tuggener che aprirà il 28 gennaio prossimo alla Fondazione MAST in via Speranza, 42. La retrospettiva, curata da Martin Gasser e Urs Stahel, si suddivide in due sezioni: Fabrik 1933-1953, che affronta il tema della poetica e dell’impronta espressionistica nelle immagini industriali di Tuggener che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta fu un importante esponente dell’avanguardia fotografica internazionale; e Nuits de bal 1934-1950 proiezione di film sui balli mondani, tema, assieme a quello della tecnica e dell’industria, caro a questo artista che fu, oltre che fotografo, anche pittore e filmmaker producendo, tra il 1937 e il 1970, numerose pellicole che finanziò egli stesso o in collaborazione con Max Wydler. Scomparso nel 1988, Tuggener nella sua carriera si è distanziato da un uso descrittivo dell’immagine, puntando sul suo effetto suggestivo intrinseco e sviluppando, così, un linguaggio pittorico espressivo e poetico, caratterizzato da forti contrasti e composizioni dinamiche.