Ci sono posti che quando li vedi rimani incantato… magari non ne capisci subito il perché, ma con il tempo ti rendi conto che questa magia è il frutto di una stratificazione di esperienze, passioni e un imprescindibile legame fra luoghi e persone. Uno di questi è senza dubbio il parco di Fattoria di Celle, una spettacolare proprietà in provincia di Pistoia dove è possibile ammirare un’importante raccolta di opere d’arte ambientale di proprietà di Giuliano Gori. Questa collezione nasce e si sviluppa a patire dagli anni ’80 quando Giuliano invita artisti italiani ed internazionali a soggiornare presso il parco e a realizzare opere di arte in pieno rispetto ed armonia con la natura.
Tuttavia, per quanto magico ed affascinante sia Fattoria di Celle (che vi consiglio vivamente di andare a visitare!) non è propriamente di questo che parleremo in questo articolo, ma lo terremo piuttosto come contesto narrativo. Il focus è invece su tre generazioni di collezionisti che hanno improntato la loro collezione sul legame con gli artisti, a partire da Giuliano Gori e proseguendo poi con il figlio Paolo e la nipote Caterina. In questo articolo tratteremo quindi di collezionismo e rapporti personali attraverso le voci di tre generazioni di collezionisti e vedremo come collezionare arte e relazioni possano far parte dello stesso percorso.
Fabio Brotto: Giuliano, la sua passione per l’arte sembra essersi tramandata naturalmente a figli e nipoti, forse anche per merito del magico ambiente con cui hanno interagito fin da piccoli. Pensa che questo sia frutto di un processo di osmosi o c’è qualche insegnamento che lei e sua moglie Pina avete tramandato ai suoi figli nel corso degli anni?
Giuliano Gori: «Casa Gori da oltre settant’anni ha svolto un ruolo paragonabile ad un cenacolo dove gli artisti hanno trovato facile accoglienza, potendosi esprimere “naturalmente” all’interno di un contesto libero da costrizioni, sia di stile che di concetto. Figli e nipoti sono stati testimoni di queste eccezionali presenze, interagendo negli anni più o meno direttamente con gli artisti ospiti e con le opere frutto di questo speciale rapporto. Quando parlo di relazioni con gli artisti mi riferisco non solo a scambi di idee e conversazioni impegnate sull’arte, ma anche cene, chiacchierate informali e passeggiate nel parco».
F.B.: Visitando il parco ci sia accorge subito del legame stretto fra arte e natura, quanto è importante che le due sfere dialoghino senza che una sovrasti l’altra e che questo continui in futuro?
G.G.: «Condizione imprescindibile per i progetti realizzati negli spazi di Celle è che arte e natura possano dialogare in modo armonico e simbiotico, senza che una di queste due sfere sovrasti l’altra. Il vademecum per entrare a far parte della collezione prevede la stretta osservazione di una regola siglata dall’amico Carlo Belli nel suo celebre libro k/n: “i diritti dell’arte iniziano dove terminano quelli della natura”. I limiti di azione per un artista sono essenzialmente rappresentati dal rispetto assoluto della natura, che dev’essere lasciata nelle condizioni in cui si trova al momento del sopralluogo. Questa condizione incide anche sul tempo di ideazione e realizzazione delle opere, che per alcune è stata anche di due anni».
F.B.: Dagli anni Cinquanta ad oggi il mondo dell’arte ha subìto una profonda trasformazione – penso all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, all’internazionalizzazione dei mercati e alla moltitudine di artisti proposti oggi dalle gallerie di tutto il mondo. Da quando ha iniziato a formare la sua collezione come è cambiato il suo modo di collezionare e di interfacciarsi con il mondo dell’arte?
G.G.: «Il Ventunesimo secolo è stato caratterizzato dal vertiginoso progresso della Scienza, finora soltanto l’Arte ha tenuto il suo passo, talvolta anticipandola. Ci tengo a dire che la collezione ha sempre anteposto i valori dell’arte ai contenuti delle opere, raramente dando retta ai costi sbandierati dal mercato».
F.B.: Paolo, vostre padre ha privilegiato un legame diretto con l’arte, stringendo forti relazioni e prediligendo un dialogo diretto con gli artisti, come ha influito questo nella vostra vita da collezionisti?
P.G.: «Diciamo che è stata un’esperienza dettata dall’esempio più che dalla narrazione. Io e i miei fratelli abbiamo vissuto a contatto con l’arte naturalmente senza chiederci se stavamo vivendo un mondo eccezionale, per noi era la normalità; per noi era naturale avere artisti in casa, come era naturale parlare di arte anche ad alto livello, tutto questo però in maniera estremamente semplice. Questa immediatezza ci ha portato ad avere una continuità con l’arte, ognuno (di noi fratelli) con una propria personalizzazione ha seguito quello che ha imparato sul campo negli anni.
Io per esempio ho seguito la strada dell’editoria (con la casa editrice Gli Ori, specializzata nell’editoria dell’arte). Per me fare libri è una cosa bellissima! Da un lato mi permette di trasmettere la conoscenza, dall’altro di approfondirla. Per esempio all’inizio, quando lavoro con un nuovo artista, la mia conoscenza del suo lavoro si approfondisce e la comprensione si dilata arrivando ad una maggior profondità alla realizzazione del libro: questa è la cosa del mondo dell’arte che più mi appaga in assoluto.
Per ritornare alla tua domanda e al tema delle relazioni, gran parte della collezione di mia moglie e mia è il risultato dei legami personali con gli artisti con cui abbiamo lavorato. Prima dicevamo che un po’ s’impara dai libri che realizziamo come casa editrice, un po’ s’impara dai libri che vengono fatti da altri, da qui per esempio nasce la mia passione per la ceramica. Personalmente considero Fontana, Melotti e Leoncillo tre dei maggiori ceramisti del Novecento, che io amo particolarmente perché hanno saputo usare la ceramica come mezzo e non come fine. Tuttavia con mia moglie Serena abbiamo avuto un grande rapporto diretto solo con Fausto Melotti che però condivideva lo studio a Milano con Fontana: la passione per le ceramiche di Melotti ci ha spinto ad approfondire (tramite libri) anche le ceramiche di Fontana e quelle di Leoncillo».
F.B.: In che termini vivete il legame fra collezionista ed artista in una “società liquida” caratterizzata da transazioni veloci, speculazioni e brevi innamoramenti (anche in arte)?
P.G.: «Non siamo attaccati a nessun valore di mercato, semplicemente non vediamo un fine economico dietro all’arte. L’idea di per sé non costa nulla, o costa tutto. Quando sei in uno studio di un artista a volte può essere imbarazzante, può risultare inadeguato chiedere quanto costa un lavoro. L’artista te la può regalare, come ti può chiedere un prezzo che a te risulta troppo alto. Io mi limito a domandarmi se posso permettermi o meno un’opera, senza calarmi in ragionamenti speculativi.
Credo profondamente che una persona ricca sia una persona ricca di tempo. Il tempo è fra le cose più importanti e di valore che abbiamo. Di questo se ne sono accorti in molti perché riescono a rubartelo con tanti mezzi cercando di farti vivere tre vite contemporaneamente, convincendoti a spostare il focus dalla dimensione principale (la vita fisica e gli affetti) ad una sociale/virtuale nella quale puoi interagire solo in modo esterno e distaccato.
Il tempo è quello che più definisce il valore dell’arte; il tempo di un collezionista, che a volte compra delle opere seguendo il suo istinto, poi le mette in casa e non riesce più ad apprezzarle. Ecco, questa è una pulizia che fa il tempo. Per riuscire a prendere una decisione più consapevole dev’esserci anche un pochino d’ozio, di nuovo ricchezza di tempo, funzionale a far crescere e strutturare il desiderio, necessario a far maturare una decisione che senti profondamente. Il senso del tempo in cui ci vorrebbero portare, con la confusione fra il mondo dell’arte e il mercato dell’arte, è più simile a un invaghimento che ad un amore. Ma il mondo dell’arte ha bisogno dei suoi tempi».
F.B.: Che poi è come nelle relazioni umane no? Uno si prende e si molla, invece se investi in un rapporto e lo porti fino alla fine ne ricavi molto di più…
P.G.: «Guarda, io sto insieme a mia moglie da 38 anni e non ho nessun problema a dirti che sono innamorato! La cottarella, l’infatuazione sono sicuramente qualcosa di bello ma hanno poco senso se non si trasformano in un rapporto più impegnato; l’arte allo stesso modo richiede un ragionamento e un impegno nel lungo periodo. Mi verrebbe da dire che il pensiero dell’arte oggi è un po’ debole anche a causa dei troppi intermediari, infatti sembra che non esista più un’arte diretta fatta per rimanere, un’arte da vivere, un’arte sociale e di intrattenimento in cui la partecipazione collettiva porta a risultati anche su altri settori».
F.B.: Caterina, tu che rappresenti la terza generazione vuoi raccontarci dal tuo punto di vista gli insegnamenti ti hanno passato i nonni Giuliano e Pina e i tuoi genitori come appassionati d’arte?
C.G.: «Devo dire che è nato tutto come un gioco e anzi, se devo essere sincera, da piccola forse lo percepivo anche come un peso a volte: in vacanza i miei amici andavano nei parchi giochi ed io andavo a musei, sono stata anche io a Disneyland Paris ma il giorno dopo la gita al Louvre! Del dono che ti hanno fatto facendoti interagire con l’arte te ne rendi conto solo crescendo… i miei genitori mi hanno insegnato ad avere uno sguardo differente nei confronti dell’arte, portandomi in giro per mostre, posti e Paesi diversi mi hanno permesso di allargare i miei orizzonti.
Il legame con i nonni all’interno della cornice di Celle ha contribuito al crescere della mia passione. Da piccola quando giocavo a nascondino o facevo una passeggiata nel parco mi rendevo conto che quelle opere rappresentavano un qualcosa di più grande ed importante, non potevi non pensarci! Ecco da mio nonno ho imparato a volgere lo sguardo verso l’arte in modo naturale e senza costrizioni. Col tempo ho imparato a guardare l’opera attraverso i suoi occhi con il filtro della sua esperienza e della sua vita e ogni volta ne esco arricchita sia nel rapporto con l’opera che con mio nonno».
F.B.: Cosa ci dici invece della sfera più inerente alla collezione e del tuo essere giovane collezionista?
C.G.: «I miei genitori mi hanno sempre fatto amare l’idea del collezionare. Da quando sono piccola colleziono cuori di ogni genere, colore, dimensione e materiale. Per un periodo ho collezionato tessere telefoniche, tappi di bottiglie, fototessere e biglietti aerei di persone sconosciute. Quando visitavo un posto diverso avevo sempre dei ricordi da portarmi a casa. Ma nonostante sia cresciuta con i miei genitori e con i miei nonni le nostre collezioni sono differenti, mio nonno ha improntato la sua collezione sull’arte ambientale, mio padre predilige la ceramica… la mia collezione sta trovando la sua strada ma è incentrata su artisti miei coetanei. Nel tempo sto imparando a distinguere quello che c’è dietro un opera, il suo valore intrinseco, cosa può essere significativo. Penso che in questo sia fondamentale il rapporto con l’artista perché l’opera rappresenta una parte di sé, per questo amo rapportarmi con artisti miei contemporanei, per avere un livello di comprensione più ampio. Come mio nonno e mio padre mi piace pensare di accrescere la mia collezione con opere di amici, avere l’opportunità di vivere lo sviluppo di un’opera che nasce anche da un rapporto di condivisione, da un desiderio di stare assieme e di scambiarsi idee».
F.B.: Ora che hai iniziato a lavorare nella collezione, quali sono i progetti che ti vedono attualmente coinvolta?
C.G.: «Per me lavorare a Celle è stimolante, mi sta facendo crescere molto su diversi aspetti. Il lavoro non manca, dall’archiviazione di foto e documenti alla realizzazione di nuovi progetti, passando per i tour guidati settimanali. E’ un onore alla fine delle visite sentirsi dire “mi hai trasmesso la tua passione”, questa è la cosa più bella perché lì dentro io vivo di passioni. Come mio nonno mi ha trasmesso il suo amore per l’arte, anche io sento di doverlo trasmettere alle persone in visita. Questo è importate anche per il legame con mio nonno, che a volte mi porta in giro per il parco raccontandomi della realizzazione di una sola opera, svelandomi aneddoti simpatici e curiosi che solo lui conosce».