Dal 21 settembre scorso è in svolgimento a Padova la prima edizione del festival di fotografia Photo Open Up: Dialoghi e Conflitti, che si chiuderà il 27 ottobre. Sotto la direzione artistica di Carlo Sala (docente nel Master in Fotografia dell’Università IUAV di Venezia), il festival propone nove mostre principali — più un’altra ventina in cartellone ma “fuori festival” — in diversi spazi patavini, oltre a incontri, tavole rotonde, workshop, proiezioni di documentari.
Delle nove esposizioni principali, tre sono legate alla città, a partire da Padova sacra — Arte, architettura, religiosità e devozione popolare nell’immagine fotografica (1850-1931) (Museo Antoniano alla Basilica del Santo, Piazza del Santo 11) curata dal collezionista e studioso di storia della fotografia Giuseppe Vanzella e coordinata da Alessandro Borgato, che propone immagini d’epoca (tra gli autori: Carlo Naya e i fratelli Alinari).
Dietro il banco (Galleria Cavour, Piazza Cavour) è invece un progetto del 1991 dei fotografi padovani Moreno Segafredo e Giandomenico Tono che, constatando il rapido mutamento del tessuto commerciale della città, decisero di realizzare una campagna di documentazione, fotografando circa cento esercizi — tra botteghe, bar, trattorie e laboratori artigianali — gran parte dei quali, a 28 anni di distanza, non esiste più. Di ciascuno di essi venivano mostrati l’aspetto esterno e l’interno con i titolari in posa dietro al banco; tutta la serie, di grande eleganza nel taglio delle immagini, fu realizzata in bianco e nero: in questa mostra vengono esposti 45 scatti.
Di buon livello poi Altre visioni (Scuderie di Palazzo Moroni, Via VIII Febbraio 8), collettiva di autori legati ad associazioni e club fotografici patavini: tra le foto esposte, mi piace segnalare gli scatti di Antonio Coppola, Samuele Boldrin (entrambi del Gruppo Fotografico Antenore), Mario Dal Molin (Fotoclub Padova) e Marco Pavan (Associazione Fantalica).
Di rilevanza documentaria, oltre che artistica, sono anche le mostre Crossing the River — Donne africane in prima linea contro la mortalità materna (Palazzo Angeli, Prato della Valle 12), progetto di Emanuela Zuccalà con foto di Valeria Scrilatti, e Un paese di dialoghi e conflitti — L’Italia vista dai fotografi dell’agenzia Grazia Neri (Galleria Cavour) che racconta, tramite le immagini di fotoreporter legati alla celebre agenzia, la realtà e i mutamenti sociali dell’Italia dall’emigrazione di metà anni ’50 alle trasformazioni nel periodo del boom (visto però dalla parte dei poveri), fino ai moti del decennio 1968-1977. Buona parte degli scatti sono di Uliano Lucas, e tutto il materiale dell’esposizione proviene dal Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, custode del Fondo Grazia Neri.
La mostra “principe” del festival è però Io, l’altro (e l’altrove) — Il tema del “diverso” dall’Ottocento ai nostri giorni, a cura di Carlo Sala, ospitata all’interno dei Musei Civici agli Eremitani (Piazza Eremitani 8). Più di ottanta pezzi di quasi altrettanti autori sono organizzati in un percorso che si snoda dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai nostri giorni, declinando il tema del titolo sotto ottiche multiple. Si va dall’esotismo e interesse antropologico per culture “altre”, al ritratto (talvolta estetizzante) degli ambienti popolari “poveri”; da visioni dal mondo degli alienati o dei socialmente “esclusi” alla messa in discussione dei canoni estetici dominanti, fino all’esplorazione dell’ambito LGTBQ.
Da Julia Margaret Cameron a E. J. Bellocq, da Edward Weston a Diane Arbus, da Cartier-Bresson a Irving Penn, da Helmut Newton a Robert Mapplethorpe, e poi Man Ray, Luigi Ontani, Francesca Woodman, Andres Serrano, Nan Goldin, Vanessa Beecroft… difficile trovare un nome che manchi all’appello in questa esposizione, il cui corpus di opere proviene dalla collezione di Mario Trevisan.
Non di minore interesse Cattedrali industriali (Palazzo del Monte di Pietà, Piazza Duomo) — che accosta la celebre serie Ritratti di fabbriche (1978-80) di Gabriele Basilico a una serie inedita del 1975 di Paolo Mussat Sartor, intitolata Industrial Sanctuaries —, come pure la personale Tutte le immagini dormono di Kensuke Koike (Palazzo Zuckermann, Corso Garibaldi 33), artista multimediale giapponese qui presente con lavori realizzati tramite la manipolazione di fotografie vintage.
Piuttosto deludente, invece, la collettiva Argo — La fotografia italiana emergente, ospitata nello splendido spazio della Cattedrale Ex Macello, in Via Alvise Cornaro 1. Dei 17 partecipanti (tra singoli e collettivi), tutti nati dopo il 1979 e per la maggior parte dediti a ricerche sperimentali e ibride — dalla post- e metafotografia a vere e proprie installazioni —, segnalerei il solo Marco Maria Zanin, peraltro uno dei pochi presenti a coltivare una fotografia “classica”, ma con una poetica personale ben definita e un “occhio” per l’immagine di grande raffinatezza.