La rivista inglese ArtReview, che ogni anno stila una classifica dei gatekeeper dell’arte, ossia coloro che decidono i trend e influenzano i valori dell’arte, li ha inseriti al top della lista degli “influenti” del 2021. Non stiamo parlando di galleristi e direttori dei musei bensì degli NFT, vale a dire Token Non Fungibili.
La diffusione degli NFT- Non Fungible Token rappresenta quindi sempre di più una tendenza nel mercato dell’arte che riguarda tanto la produzione e scambio di vere e proprie opere d’arte digitali, che l’ambito delle opere d’arte materiali, come ad esempio quadri o sculture.
Con specifico riferimento al mondo dell’arte, la tecnologia blockchain permette di superare il limite della c.d. “digital art,” con la possibile separazione tra l’elemento della rappresentazione in formato fotografico-digitale (PNG e JPG) rispetto alla proprietà della medesima.
La stessa tecnologia blockchain consente inoltre di tracciare sin dall’artista ed in modo non modificabile le transazioni nonché i vari passaggi di proprietà delle opere.
Più in particolare, dal punto di vista tecnico un NFT è un Token criptografico che rappresenta qualcosa di unico oppure in seria limitata. In altre parole, viene associato un prodotto digitale ad un token non fungibile rendendolo cosi unico nel suo genere e trasformandolo in una vera e propria opera d’arte.
A titolo di esempio, tra le opere digitali più famose si segnala “Everydays: The First 5,000 Days” di Beeple venduta da Christie’s a 69 milioni di dollari oppure il meme di Nyan Cat (conosciuto anche come Pop Tart Cat), ossia una gif[1] animata di 8 bit di un gatto che vola con il corpo di un Pop-Tart alla ciliegia, lasciando un arcobaleno dietro di sé venduta dal suo autore Chris Torres per circa 418 mila euro.
La conseguenza delle citate transazioni è quella di rendere le immagini presenti in rete solamente delle copie mentre quella che contengono la firma dell’artista sono le uniche originali.
Dopo aver chiarito brevemente la natura degli NFT, con il presente contributo si vuole fornire al lettore una breve panoramica riguardo le disposizioni di natura tributaria nonché le relative interpretazioni di prassi fornite da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Prima di procedere l’analisi delle implicazioni fiscali, giova rammentare quanto indicato dalla stessa Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n.110 del 10 aprile 2020, vale a dire come allo stato attuale “non esiste una chiara e univoca legislazione in materia di token, che ne permetta una corretta qualificazione e definizione anche ai fini fiscali”.
La disciplina prevista per le imposte dirette
In assenza di una disciplina organica che definisca in maniera puntuale i Non Fungible Token all’interno della normativa fiscale, è quindi fondamentale fare affidamento sui pochi pronunciamenti di prassi attualmente disponibili.
In particolare, sulla base di quanto contenuto nella Risposta n.14 del 28 settembre 2018, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come l’operazione che concorre alla formazione del reddito risulta essere quella di erogazione del servizio e/o cessione del bene rappresentato dal gettone digitale.
In dettaglio, ai fini fiscali sarà quindi rilevante la corretta qualificazione dell’operazione relativa alla cessione delle opere d’arte. Pertanto, laddove il cedente operi in ambito professionale, la vendita parteciperà fiscalmente alla formazione del reddito imponibile sulla base delle regole ordinarie previste per i redditi di lavoro autonomo o di impresa.
Nel caso invece il soggetto cedente svolga tale operazione in maniera occasionale, si genererà in capo al venditore un reddito di natura occasionale di cui all’articolo 67 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi.
Infine, nel caso in cui la cessione avvenga da parte di un “collezionista privato”, ossia un soggetto animato da uno spirito culturale, colui che acquista opere d’arte per incrementare la propria collezione e godere della bellezza della sua collezione, gli eventuali incassi con differenziali positivi resterebbero fuori dalla tassazione non avendo “finalità speculativa”.
Le indicazioni fiscali in ambito di IVA
Per quanto concerne le implicazioni ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come i token siano da assimilare ai voucher, vale a dire strumenti che consentono al detentore di beneficiare dei beni e/o servizi incorporati nello strumento.
In particolare, l’impiego degli NFT rappresenta solamente una mera movimentazione finanziaria, con la conseguenza che l’operazione si considera rilevante ai fini fiscali unicamente nel momento in cui si perfeziona l’acquisto dell’opera d’arte che il token incorpora.
Pertanto, l’operazione rilevante ai fini IVA potrebbe essere inquadrabile in una cessione dell’opera dell’arte, con l’assoggettamento alle ordinarie regole di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (iva ordinaria al 22% mentre agevolata al 10% se ne ricorrono i requisiti).
Tuttavia, ai fini della possibilità di applicazione dell’iva agevolata, sarà necessario altresì rispettare i requisiti chiariti dalla stessa Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 303 del settembre 2020 vale a dire come l’opera sia interamente realizzata dall’artista e disponibile in tiratura limitata.
L’eventuale invece diritto di seguito percepito dall’artista non sarebbe invece soggetto ad iva in relazione a quanto stabilito dalla Corte di giustizia UE con la sentenza 19 dicembre 2018, C-51/18.
In conclusione, tenuto conto della rilevanza e dei relativi impatti economici, sociali e quantitativi degli NFT nel mercato dell’arte sarebbe quindi auspicabile da parte del legislatore un intervento normativo che definisca con chiarezza e precisione la disciplina fiscale applicabile, riducendo al minimo gli spazi di incertezza attualmente presenti.
[1] Sigla di Graphic interchange format, formato per immagini digitali di tipo raster, creato nel 1987 per facilitare il download di immagini a colori via Internet.