Nel clima generale di nuova attenzione per le artiste che si respira del mondo dell’arte, non si può che salutare con grande soddisfazione la bella mostra che Villa Carlotta dedica, fino al 4 settembre prossimo, a Paola Mattioli (n. 1948), protagonista della fotografia italiana e testimone originale del proprio tempo attraverso immagini sempre contemporanee nella loro essenziale sintesi: Paola Mattioli. Quattro stanze, quattro storie.
Scrive Cristina Casero, nel suo bellissimo libro sulla fotografa milanese: “Mattioli si è sempre e soltanto espressa attraverso il mezzo fotografico […] che ha sempre praticato con sensibilità, in un continuo approfondimento delle risorse espressive e linguistiche del mezzo”.
Nella sua carriera, iniziata giovanissima alla fine degli anni Sessanta, si è interessata di “questioni cogenti sul piano civile, sociale ed esistenziale, ma sempre con una spiccata, anche quando implicita, attenzione allo “sguardo”, elemento di per sé centrale del discorso fotografico. Tale consapevolezza consente di leggere la sua parabola espressiva come anticipatrice di molte esperienze artistiche successive, in cui l’uso della fotografia non è da intendersi come destinato a un raccontare cronachistico, bensì come strumento di riflessione, anche sul vedere“.
Attraverso tutto ciò ci conduce, adesso, la mostra curata da Luca Violo – con la collaborazione di Giulia Berti per l’allestimento e Andrea Di Gregorio per il fundraising – nelle eleganti ed essenziali stanze al primo piano di Villa Carlotta, autentico gioiello dell’architettura barocca e neoclassica affacciato sul Lago di Como.
66 le foto selezionate per l’occasione (60 in bianco e nero e 6 a colori) realizzate dal 1970 al 2019, dove ogni scatto è la storia di un rapporto privilegiato con un oggetto, una persona, con una sensazione che si cristallizza nel momento in cui l’intensità diviene la cifra del suo stile.
Scatti che ci narrano delle infinite traiettorie della fantasia di una fotografa che cerca la poesia nella leggerezza e la cui ricerca viene scandita, in mostra, attraverso quattro sale in cui si condensano altrettanti argomenti cari all’autrice, che vede l’immagine come l’evocazione di un’emozione profonda e totalizzante, dove la tecnica si cela dietro un’apparente semplicità, per cogliere l’essenza dell’espressione.
In Fiori per… le 12 foto (1972-1996) selezionate sono un commosso omaggio alla rimembranza, che attraverso l’immagine prende forma oltre la transitorietà dell’esperienza. Gli affetti più cari, che siano personali, letterari o politici, si confrontano con il diaframma fotografico che rende impossibile l’oblio dei ricordi più profondi.
La sala Mattioli/Mondino, invece, racconta in 12 scatti e oggetti d’affezione, opere d’arte ed album d’appunti (1983-1993), la vicenda artistica di due persone che viaggiano negli spazi della creatività con la stessa passione che li porta a cercare nuovi linguaggi nei segni e nelle immagini del loro mondo poetico.
Mentre Statuine è una serie di 10 immagini (1985), omaggio alla bellezza che attraverso la fissità scultorea oltrepassa il tempo. Uno sguardo rivolto all’infinito e un corpo che si pone al di sopra della superficie diventano l’occasione per affrontare l’artificio, quell’esercizio di rendere verosimile il vero attraverso l’imitazione della natura.
Infine, Ritratti è il tema di una ricerca che inizia con il volto vitale e intenso di Giuseppe Ungaretti nel 1970, e che continua ancora adesso con la stessa curiosità di apprendere che ha spinto Paola Mattioli appena ventenne a frequentare lo studio di Ugo Mulas.
32 fotografie (1970-2019) che ritraggono personaggi famosi del mondo dell’arte e del design, come Emilio Tadini, Luigi Serafini, Alessandro Mendini, Bruno Munari, Ron Arad, Ingo Maurer; del cinema e del teatro come Peter Ustinov e Angela Finocchiaro, della musica come Milva e Fabio Treves, ma anche amici, intellettuali, persone che hanno arricchito la sua esperienza umana e professionale.
Infine, nelle due video-interviste che chiudono il percorso espositivo Paola Mattioli racconta con entusiasmo e sincerità, aspetti del suo carattere che ritroviamo anche nel suo sguardo fotografico.
Nata a Milano nel 1948, Paola Mattioli ha studiato filosofia con Enzo Paci e si è laureata con una tesi sul linguaggio fotografico. Il ritratto, l’interrogazione sul vedere, il linguaggio, la differenza femminile, le grandi e le piccole storie (dall’Africa alla Dalmine) sono i temi che affronta con uno sguardo lontano dal classico reportage, con “una sottile distanza” che mette in gioco “con leggerezza e rigore.
In ogni sua ricerca emerge la costante riflessione intorno al linguaggio fotografico e ai fenomeni della visione, la domanda sul senso del vedere e del fotografare: un tenace filo rosso che lega gli uni agli altri tutti i suoi lavori”, come ha felicemente condensato un intervento critico.
Tra le mostre e le pubblicazioni principali: Ungaretti (1972); Immagini del no (1974); Ci vediamo mercoledì (1978); Cellophane (1979); Statuine (1987); Donne irritanti (1995); Regine d’Africa (2004); Fabbrico (2006); Dalmine (2008); Una sottile distanza (2008); Altra misura. Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni Settanta (2015); Cristina Casero, Paola Mattioli, sguardo critico di una fotografa, Postmediabooks (2016).