Imboccando l’autostrada del Brennero in direzione di Verona, ho spesso la sensazione – sarà la segnaletica in tedesco – di essere già nel nord Europa.
È Pier Vittorio Tondelli nel suo Altri libertini, mi pare, a scrivere che all’altezza di Carpi è già come se si fosse alla periferia di Berlino.
Verona alle porte d’Europa, quindi. Ho trovato curiosamente affine a questa sensazione la grande opera di Stefano Arienti, Corso Europa, che accoglie i visitatori ad ArtVerona 17, l’edizione della fiera scaligera inaugurata giovedì scorso e che si concluderà domani, domenica 16 ottobre.
Corso Europa è un grandissimo tappeto calpestabile in fibre di nylon da fonti riciclate, che ricopre integralmente i cinquecento metri quadrati del pavimento della Galleria dei Signori, la hall che separa i due padiglioni della fiera.
L’immagine stampata, simulante i bàsoli di una strada selciata dell’antichità, è frutto in realtà della manipolazione di due incisioni del Piranesi provenienti da una serie di disegni di rovine della Roma imperiale.
Sezionate e sovrapposte, Arienti vi ha poi riportato, come incisi sulla pietra, i nomi di tutti i paesi dell’Europa intesa come entità storica e geografica.
Un omaggio all’Europa e al suo stesso significato, di questi tempi in discussione come mai negli ultimi anni e che richiede riflessioni profonde e impellenti.
Esteticamente, una soluzione simile, soprattutto perché inserita nel bel prospetto della Galleria, risulta elegante e distintiva. Mi pare evidente che dietro ci sia, giustamente, la volontà di caratterizzare il più possibile l’identità visiva della manifestazione.
Questo sia perché comincia a crearsi una certa competizione tra eventi analoghi in continuo susseguirsi sul calendario, sia perché una città dalla bellezza classica come Verona non è dai più immediatamente associata all’arte contemporanea.
Sembra, in sostanza, che la manifestazione ambisca ad affermarsi tra le principali in Italia nel suo genere, subito dopo le grandi, puntando su qualità e originalità delle proposte.
A livello meramente di social networks, direi che la strategia stia funzionando: l’istituzione è presente, le immagini girano e di ArtVerona si parla. Mai sottovalutare il potere mediatico di un visitatore col telefonino tra le dita…
Dalla Galleria dei Signori, si accede direttamente nel vivo della manifestazione, con un centinaio di espositori presenti all’appello.
Il Padiglione 11, il cosiddetto padiglione del moderno, è più orientato al lato espositivo e fieristico, lasciando alle gallerie – alcune di rilievo internazionale, seppur quasi esclusivamente italiane – lo spazio per presentare artisti contemporanei affermati e maestri del ‘900.
I nomi in voga sono quelli più conosciuti: da De Chirico a Campigli, da Christo con i suoi disegni progettuali per grandi imballaggi ai bozzetti bronzei di futuristi e novecentisti; dagli esponenti dell’arte povera fino a nomi ultrapop come Obey se non addirittura Mr.Brainwash, quell’artista francese tra i pochi a conoscere la reale identità di Banksy.
A fare rifiatare dal corposo percorso di visita della main section ci pensano le sezioni speciali, dedicate a progetti diversi e interessanti.
Vedi Camera, una riflessione sul collezionismo della videoarte con tutti i problemi ad essa connessi, dalla commissione all’acquisizione: un’installazione di frammenti video provenienti da diverse collezioni, campionati e rimontati.
Oppure Habitat che, come suggerisce il nome, è invece una riflessione su spazio e abitabilità: quattro ambienti immersivi di artisti che già in tempi non sospetti si erano prodigati sul tema, come Luciano Fabro e Nanda Vigo.
Il Padiglione 12, invece, concede di più al lato curatoriale dell’evento, oltre che essere maggiormente dedicato agli emergenti, con anche tanti giovanissimi visitatori che vi si aggirano.
Sono sette, qui, le sezioni speciali presentate, tra le quali spicca la novità di Curated by, per la quale alcune gallerie hanno collaborato con curatori più o meno affermati, come Domenico De Chirico, per allestire i propri spazi.
È un po’ un peccato che le informazioni sulla mission di queste sezioni siano poco segnalate. La sensazione è che parte del pubblico, non potendo fruire di più nozioni e chiavi di lettura, anche solo scritte – ad esempio qualche pannello esplicativo in più – passi oltre.
Alla fine del percorso, la sensazione è comunque soddisfacente: è come essersi seduti per qualche ora in un salotto elegante dove si vedono bei pezzi, si discute e si riesce a captare qualche nota di colore scambiando due parole con i galleristi o ascoltando le loro conversazioni.
Fare sistema, fare sistema, fare sistema: il motto è chiaro, lo dice anche il sottotitolo della manifestazione, #ItalianSystem. Alle porte d’Europa, naturalmente.