Si è inaugurata a Milano presso lo Spazio Ersel lo scorso 15 maggio la mostra personale di Massimiliano Pelletti KOSMOS e KAOS. L’origine e la Meta, a cura di Barbara Paci e Cesare Biasini Selvaggi. La mostra è presentata da Ersel in collaborazione con la Galleria Barbara Paci di Pietrasanta.
Massimiliano Pelletti è un’artista toscano classe 1975 che lavora con la scultura sulla reinterpretazione di modelli classici, realizzando opere che evocano in modo molto diretto temi e immagini tratti dalla storia e dalla mitologia. Il rapporto con l’immaginario collettivo si sviluppa, nel suo lavoro, in opere che lavorano sulla riconoscibilità di stilemi e figure ricorrenti nella storia dell’arte, su cui però vengono operate alcune trasformazioni, in un continuo rimando tra passato e futuro.
Tecniche antiche si mescolano, così, a visioni più recenti e attuali. In alcune occasioni la mescolanza tra attualità e storia avviene al livello delle metodologie di lavoro utilizzate, come accade nel caso della scultura Towards you, dove gli occhi del soggetto sono realizzati ricorrendo ad un’antica tecnica che fonde insieme alchemicamente oro e vetro.
Lungo il percorso espositivo, e più in generale addentrandoci nella ricerca artistica di Pelletti, entriamo in un territorio teso tra archetipi di stampo junghiano e Pathosformel alla Aby Warburg.
In tal modo, la tradizione più antica e profonda, che affonda le sue radici nell’inconscio collettivo oltre che nella storia dell’arte, si incontra con la moderna ricerca in ambito artistico, mentre le tecniche più innovative nella scultura, si alternano alla ripresa di metodi di epoche lontane. Analogamente, i materiali sono vari e composti, andando dal quarzo all’onice e ad altre pietre di diversa sostanza e spessore, fino ad arrivare al più classico marmo.
Si configura, così, un dialogo tra contemporaneità e tradizione che dà vita a opere uniche con un loro fascino tutto particolare.
L’opera, che a prima vista si confonde con una sorta di proprio alter ego – traccia che viene dal passato, rivela, ad uno sguardo più attento, un’identità completamente diversa e attuale. Da tutto ciò scaturisce una ricerca sottile eppure vivace, che imprime al risultato finale ogni volta le vestigia di una personalità completamente nuova, rispondente ai canoni della nostra epoca.
L’insieme gioca sul ritmo tra immagini e forme a cui siamo storicamente abituati e interventi spiazzanti, dettagli più o meno evidenti, non sempre immediati da cogliere, eppure decisivi.
Il passato appare inquieto, si mescola in un gioco di assemblaggio e montaggio, in un tourbillon di strati sovrapposti; e in tal modo si trasfigura, rendendo conto al contempo di memorie condivise, sebbene completamente trasformate, e sguardi lanciati verso un futuro che appare non proprio rassicurante, cui non è estraneo un elemento freudianamente unheimlich.
Tuttavia, in queste opere, è da notare come il passato e la storia non si presentano qui tanto in momenti evocativi alla Proust, che sorgono spontaneamente evocando mondi e memorie personali, quanto per sovrapposizione e stratificazione. Insieme alle Pathosformeln di Warburg, viene perciò in mente il concetto di storia degli effetti coniato dal filosofo tedesco Hans Georg Gadamer negli anni sessanta del Novecento, uno dei padri della filosofia ermeneutica.
Nel lavoro di Pelletti, ovunque, i riferimenti storici e filosofici abbondano, così come le possibilità di interpretazioni sono varie e spaziano in molteplici direzioni. È un meccanismo concettuale in cui futuro, passato e presente reagiscono quasi chimicamente l’uno con l’altro, dando vita a immagini e figure solo apparentemente riconoscibili, in un gioco di trasformazioni e influenze reciproche per nulla innocente e innocuo.