Ultimo appuntamento del primo semestre con le mostre nelle gallerie italiane con un giro d’Italia che dal Nord ci porterà fino in Sicilia per un’estate ricca d’arte. Iniziamo da Bergamo dove la Galleria Thomas Brambilla sta per inaugurare (10 giugno) una personale dell’artista americano David Deutsch.
Intitolata In Motion, la mostra presenta una serie di dipinti realizzati attraverso una particolare tecnica pittorica. L’artista, difatti, dipinge prima su una pellicola di plastica, successivamente questa viene fatta aderire alla tela, lasciando comunque delle piccole pieghe e le colature di pittura visibili.
Il risultato è una composizione che sembra quasi richiamare degli esercizi espressionistici liberamente applicati sulla tela con velocità e movimento, benché Deutsch sia riuscito ad estendere chiaramente la sua visione spassionata del vedere le cose, mostrando anche il teatro teso e ansioso che è la pittura contemporanea stessa.
A Milano, fino al 30 giugno, è visitabile la mostra Rompere facile, personale dell’artista tedesca Kim Bartelt allestita negli spazi della Cadogan Gallery. Al centro della mostra una serie di dipinti e sculture, realizzata appositamente per l’occasione, che riflette sui concetti di fragilità ed effimerità.
In Rompere facile, da un lato, abbiamo forme geometriche elementari dai pacati colori pastello, dipinte su fogli sottili e leggermente strappati giustapposti a tele ruvide e fibrose. Dall’altro rigidi blocchi scultorei la cui robustezza è unicamente apparente, gusci vuoti in cartone che riprendono, nelle forme e nel concetto, i dipinti circostanti.
Molto interessante, sempre a Milano, la proposta di LOOM Gallery che porta in Italia, per la prima volta, il lavoro di Jan Dibbet con la mostra 50 Years of Colourstudies, che presenta i lavori recenti della serie Colorstudies (prodotta dal 2010 al 2022), iniziata dall’artista olandese alla fine del 1975. Tutte le ultime produzioni appartenenti a questa serie nascono dal negativo di un’unica fotografia scattata nel 1976, anch’essa in mostra.
Con questa serie, sviluppando un approccio pittorico alla fotografia, Dibbets ha sfidato il presupposto che la fotografia fornisca mere riproduzioni oggettive della realtà, sottolineando piuttosto la contraddizione tra ciò che conosciamo e ciò che percepiamo, tra astrazione e figurazione – realtà solo apparentemente conflittuali. Esplorando le possibilità della fotografia come oggetto d’arte, ha così insistito su un unico negativo analogico come fonte dei Colourstudies, per comprendere le infinite possibilità che la reinterpretazione digitale può offrire.
Chiude il terzetto di mostre milanesi, tra le tantissime in città, che segnaliamo: I Am Hymns of the New Temples, prima personale in Italia dell’artista egiziano Wael Shawky. Ospitata dalla Galleria Lia Rumma, la mostra è una installazione che si sviluppa sui tre piani della galleria e ruota attorno alla proiezione del film I Am Hymns of the New Temples, girato da Shawky nell’estate del 2022 tra le rovine di Pompei.
L’antica città sepolta dalla cenere dell’eruzione del Vesuvio e poi riportata alla luce molti secoli dopo, è per Shawky un luogo simbolo di morte e rinascita di miti e riti, custode millenaria di una stratificazione di diverse culture che si richiamano le une con le altre e rivelatrice di come i molteplici resoconti della storia siano stati diversamente concepiti, registrati e diffusi nel corso del tempo al di qua e al di là delle sponde del Mediterraneo.
Spostandoci a Brescia, qui la Galleria A+B festeggia i suoi dieci anni di collaborazione con Tiziano Martini ospitando, fino al 9 settembre, la nuova personale dell’artista: Andreae. In mostra, per la prima, la serie High Performance Paintings, sette dipinti di grande formato eseguiti con vernici poliuretaniche bi-componente, un materiale che si inserisce in modo ideale nel percorso di ricerca sulla pittura indiretta che Martini porta avanti da tempo.
Scendendo in Toscana, a Firenze, la Galleria Il Ponte propone Tatay. Con la coda dell’occhio, personale dedicata a Marina Ballo Charmet. In mostra la videoinstallazione Tatay (padre, in filippino) già presentata alla Triennale di Milano e alla Fondazione Bevilacqua La Masa nel 2022.
La ricerca artistica di Marina Ballo Charmet, come ha scritto Stefano Boeri, “è una poetica e raffinata riflessione sul tema della paternità in cui suono e immagine si intrecciano e si rafforzano a vicenda per riportare a voci e gesti privati, personali, afferenti alla sfera del quotidiano, ma al contempo universali e ancestrali”.
A rendere unica la mostra del Ponte, il fatto che in galleria viene presentato per la prima volta il percorso strettamente fotografico di questa ricerca artistica, attraverso dodici fotografie a colori di grande formato, del progetto Tatay, realizzate negli ultimissimi anni. Esse afferiscono alla genitorialità maschile, alla relazione primaria padre-figlio. Spesso dettagli di aree di contatto tra il padre e il bimbo molto piccolo dove si suggerisce una intimità tattile olfattiva.
A Roma segnaliamo la mostra You Should Have Saved Me, personale di Tracey Emin inaugurata ormai un paio di settimane fa alla Galleria Lorcan O’Neill. In mostra un corpus di lavori realizzati negli ultimi due anni negli studi della Emin a Londra e Margate. Dipinti e opere su carta che testimoniano il potere curativo dell’arte, ci invitano a guardare alle nostre vulnerabilità e a trovare speranza di fronte alle avversità.
Ancora a Roma, la Francesca Antonini Arte Contemporanea presenta L’animale più silenzioso del mondo, la prima mostra personale di Francesco Casati in galleria. Il progetto prevede una selezione di dipinti che racchiude le tematiche principali della sua ricerca. L’artista utilizza la pittura per dare vita a un immaginario sospeso tra realtà e finzione, indagando con ironia questioni intimamente connesse alle dinamiche che regolano la nostra società e i rapporti interpersonali.
L’incertezza, veicolata dall’assenza di basi solide su cui le sue figure poggiano, è indispensabile per l’artista per non dare punti fissi che possono solo limitare lo sguardo. Galleggiano per non affermare ma piuttosto per mostrare un quesito, lasciare possibilità. Forniscono dei temi, delle situazioni, delle frecce lanciate.
I personaggi dei suoi dipinti permettono il tempo, all’artista come allo spettatore, per rielaborare. È una responsabilità che si assumono i soggetti presenti e, tramite di essi, Casati, per il quale è indispensabile non avere troppe certezze per non chiudere troppe porte, ma lasciarle socchiuse.
A Napoli, la Galleria la Andrea Ingenito Contemporary Art ha da poco inaugurato la collettiva LA DOLCE VITA A NAPOLI. Franco Angeli | Tano Festa | Giosetta Fioroni, dedicata ai tre maestri dalla celebra scuola romana di Piazza del Popolo. Di Angeli, la mostra propone una serie di dipinti che mostra l’evoluzione stilistica dell’artista rispetto alle opere degli anni ‘60 e la sua capacità di innovazione.
Di Tano Festa, sono proposte le più significative opere realizzate per il ciclo Adamo ed Eva e del peccato originale, il primo realizzato a partire dal 1963 che si caratterizza per i colori vivaci e saturi, che creano un forte impatto visivo e da forme geometriche che si sovrappongono e si intersecano. Mentre della Fioroni è presente una selezione in grado di testimoniare la varietà della sua produzione artistica.
Nela sua carriera, infatti, l’artista ha sperimentato diverse tecniche di produzione artistica producendo argenti, tele e disegni realizzati con smalti e vernici industriali, sperimentazioni con l’alluminio e una vasta produzione di sculture in ceramica. Una mostra, quella proposta da Ingenito, che fa da compendio alla ampia retrospettiva che, sempre a Napoli, Gallerie d’Italia dedicata a Mario Schifano: Mario Schifano: il nuovo immaginario. 1960-1990.
Infine, a Modica, in Sicilia, Laveronica Arte Contemporanea presentare la prima mostra personale in galleria dell’artista peruviana Daniela Ortiz. Il tema riguarda uno dei protagonisti indiscussi di quello che lo storico Eric J. Hobsbawm ha definito «il secolo breve»: il movimento comunista internazionale.
Con I figli dei comunisti – questo il titolo della mostra – l’artista ha scelto di raccontare una pagina poco nota della
vicenda rivoluzionaria novecentesca: l’organizzazione di iniziative e reti di protezione a sostegno dell’infanzia messe in atto da governi, partiti e militanti afferenti alla galassia marxista.
Storie diverse per ragioni di contesto e latitudine, che narrano di figli di militanti messi in salvo, della ricerca di nipoti scomparsi e dell’accoglienza di rifugiati in fuga da una guerra civile o da un disastro nucleare, ma con un denominatore comune: la difesa e la salvaguardia dei bambini nel nome della solidarietà internazionalista.