Prima parte
Nell’ambito del diritto dell’arte, il tema del restauro delle opere riveste un’importanza cruciale, ponendo al centro della riflessione una serie di questioni di natura legale e etica. Le opere d’arte, anche le più imponenti e resistenti, non sono immuni all’usura del tempo, ai danni accidentali e alle condizioni ambientali sfavorevoli; sono soggette a deterioramento e possono subire danneggiamenti che possono derivare dall’azione umana o dalle avversità ambientali.
Il (buon) restauro, dunque, si configura come un processo essenziale per il recupero e la preservazione dell’integrità delle opere, senza comprometterne la storicità e l’artisticità. Ma cosa si intende esattamente con “buon restauro”? Questo processo delicato e complesso richiede non solo una profonda conoscenza delle tecniche di conservazione, ma anche una solida comprensione delle norme giuridiche che lo regolano.
La definizione di restauro e l’inquadramento normativo
L’articolo 29 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e succ. modifiche, il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (di seguito, il “Codice dei beni culturali”), rubricato “Conservazione”, delinea la nozione giuridica di restauro, definito, al quarto comma, come “…l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale”.
Tale norma indica chiaramente la finalità dell’attività di restauro, ovvero la preservazione del bene di cui ne è oggetto, preservazione tuttavia che si manifesta sotto due profili: uno volto al recupero e alla conservazione materiale del bene stesse e l’altro finalizzata alla salvaguardia e alla comunicazione dei valori culturali propri dell’opera.
Il dibattito sul restauro, tuttavia, è stato oggetto di accese discussioni e opinioni divergente tra restauratori, critici e storici dell’arte nel corso della storia. Alcuni, come il poeta e critico britannico John Ruskin, sostengono che gli interventi di restauro dovrebbero rispettare il passato del bene e documentare le alterazioni dovute alla sua storia.
Altri, come l’architetto francese Eugéne Viollet Le Duc, ritengono che il restauro dovrebbe riportare il bene al suo stato originario, come documentato storicamente o, se ciò non fosse possibile, come il restauratore supponesse che fosse.
In Italia, ruolo preminente e di guida nella definizione di limiti e/o indicazioni ai quali un intervento di restauro dovrebbe soggiacere è attribuito a Cesare Brandi, che ha contemperato le diverse teorie sostenendo come il restauro dovesse sì, da un lato, ristabilire l’integrità dell’opera, ma altresì, dall’altro, accrescerne la leggibilità del bene, evitando di cancellare le tracce del passaggio del tempo e, quindi, che il bene restaurato diventi un “falso storico”.
Ma se da un punto di vista storico filologico i contorni dei limiti di un restauro risultano vaghi e ciclicamente ridiscussi, a seconda delle diverse impostazioni e sensibilità storico artistiche, gli interventi di restauro scontano, in Italia, una più rigorosa disciplina da un punto di vista legale.
Le opere d’arte beneficiano, a seconda del tipo di bene, della tutela prevista per le opere dell’ingegno di carattere creativo, contemplata dalla legge sul diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633 e succ. mod.; di seguito, la “Legge Autore”), e/o di quella accordata ai beni culturali dal Codice Beni Culturali; oltre, ovviamente, alle norme più generali previste dal codice civile.
Questo quadro normativo offre un fondamentale sostegno per garantire il rispetto e la salvaguardia del patrimonio artistico, assicurando che il restauro delle opere avvenga nel rispetto delle leggi e dei principi etici che ne guidano la conservazione.
La disciplina del restauro dei beni culturali
I beni pubblici che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico e quelli, anche privati, per i quali sia intervenuta una dichiarazione di interesse culturale, sono soggetti alle norme previste dal Codice Beni Culturali, volte a proteggere e valorizzare il nostro ingente patrimonio artistico; di massima restano escluse da questa disciplina le opere di autore vivente e (salvo specifiche eccezioni) quelle la cui esecuzione non risalga ad oltre settant’anni.
Il Codice Beni Culturali prescrive che tali opere siano conservate, intendendo l’attività di conservazione come “una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro”, quest’ultimo definito, come abbiamo visto, come “l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali” (così il già citato art. 29).
Le norme tecniche e i criteri e i modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali sono definiti dal Ministero della Cultura (già Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo; di seguito, il “Ministero”), anche con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti.
I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono espressamente tenuti a garantirne la conservazione.Tuttavia, eventuali restauri e altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa di questi ultimi devono essere autorizzati dal Ministero e, in sede di autorizzazione, il soprintendente preposto si pronuncia, a richiesta dell’interessato, sull’eventuale ammissibilità dell’intervento ai contributi statali.
Il Ministero può sempre imporre al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali.
Inoltre, il Ministero può anche provvedere direttamente a questi interventi; anche gli oneri per gli interventi su beni culturali, imposti o eseguiti direttamente dal Ministero, sono a carico del proprietario, possessore o detentore; tuttavia, se gli interventi sono di particolare rilevanza o sono eseguiti su beni in uso o godimento pubblico, il Ministero può concorrere in tutto o in parte alla relativa spesa.
I beni culturali restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi con il concorso totale o parziale dello Stato nella spesa, o per i quali siano stati concessi contributi in conto interessi, sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate, caso per caso, da appositi accordi o convenzioni da stipularsi fra il Ministero e i singoli proprietari.
Interventi di restauro troppo “invasivi” potrebbero tuttavia (e addirittura) alterare l’identità del bene, rendendolo così “diverso” da quello originale, e concretizzare una ipotesi di contraffazione vietata dall’articolo 178 del Codice Beni Culturali.
Nella seconda parte dell’articolo Gilberto Cavagna e Maria Giulia Contatore ci parleranno della disciplina del restauro delle opere contemporanee.
To be continued.