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“Le opere d’arte sono come dei familiari” 

del

Un’intervista a Elena Cassin sull’arte di collezionare

“Citofonare MC”, mi scrive Elena Cassin per mostrarmi di persona alcune delle opere che compongono la sua collezione. MC sta per MadameCollecte, lo pseudonimo usato da Elena per il suo profilo Instagram che poi è anche il nome dell’associazione che ha fondato per riunire alcuni collezionisti

La sua associazione, cui si accede su invito, è nata perché i collezionisti come lei possano scambiarsi opinioni, darsi consigli e confrontarsi sull’arte e nei loro incontri non sono ammessi né art advisor e nemmeno i galleristi. 

Elena è una giovane giornalista che ha iniziato a collezionare opere d’arte contemporanea dopo la nascita dei suoi due figli e, come si evince da alcune risposte, per lei tutte le opere che acquista diventano parte integrante della sua famiglia. 

Il primo acquisto è stata una testa tagliata di Salomè in stile kawaii della giapponese Tomoko Nagao mentre l’ultimo è una scultura di Jack O’Brien. La collezione è fatta da più di 50 pezzi e si compone per la maggior parte di opere pittoriche, carte, qualche foto e alcune sculture. 

Mancano opere video, progetti sonori e performances ma Elena non esclude nulla anche se uno dei motivi che la limitano è lo spazio dove conservare le opere.  

Si capisce che il suo collezionare non è sinonimo di ammassare opere, anzi mi racconta che un’opera vive davanti agli occhi di chi la osserva. 

La sua raccolta segue un gusto personale, la sua pancia afferma in una risposta, e mentre mi racconta una parte della sua collezione, le faccio notare che ci sono moltissime donne, tra cui molte italiane come Alice Ronchi, Bea Scaccia, Savina Capecci, Cecilia Granara e Agnese Guido

Altre opere presenti in collezione sono di Blu, Amelie Bigard, Marco Gobbi, Radu Oreian, Gaston Lisak, Jeanne Gaigher, Rae Martini e Adelisa Selimbašić. 

Altre opere e altri artisti si uniranno presto alla sua “famiglia” perché Elena è una collezionista che viaggia molto per partecipare alle fiere e alle mostre in Galleria. 

Alice_Ronchi_Medusa

S: Umberto Eco ha scritto “la principale funzione della biblioteca, almeno la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l’esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi”. Non è così anche per una collezione d’arte? Cosa sorprende della sua collezione?  

E: Non penso che una collezione d’arte debba necessariamente sorprendere, perché dipende da chi la guarda. Per esempio, le persone quando vedono la mia hanno reazioni completamente diverse: c’è chi fa mille domande e chi rimane incantato di fronte un solo pezzo, ma ci sono anche quelli totalmente indifferenti.  

S: “La poesia è poesia quando porta in sé un segreto” disse Ungaretti in un’intervista. Potrebbe essere lo stesso per l’arte in generale e per quella contemporanea in particolare? Quale segreto contengono le opere che tu collezioni? 

E: Non è detto che le opere d’arte contengano sempre un segreto, anche se spesso sono rivelatrice di segreti. Per esempio, se si guarda attentamente la mia collezione si può scoprire moltissimo su di me.

S: “Rimaniamo, inguaribilmente, creature verbali che amano spiegarsi le cose, formarsi delle opinioni, dibattere. Provate a metterci davanti a un quadro e tutti noi, ciascuno a modo proprio, cominceremo a parlare. Girovagando per le sale, Proust amava raccontare delle persone della vita reale che i personaggi del quadro gli rammentavano; chissà forse un abile strategia per evitare un confronto estetico diretto. Ma rari sono i dipinti che, in virtù della loro bellezza o per capacità di persuasione, ci riducono al silenzio. E quand’anche rimanessimo senza parole, non tarderemmo a voler spiegare e comprendere lo stesso silenzio nel quale siamo piombati” ha scritto Julian Barnes nella sua raccolta “Con un occhio aperto”.  Spesso si dice che l’arte contemporanea ha bisogno di essere spiegata per essere capita, ma a leggere Barnes questo è vero per tutta l’arte. Quali parole nascono dalla tua collezione?

E: Sono d’accordo che siamo sempre portati a cercare di spiegare a parole un’opera, esattamente come il nostro occhio tende a cercare di riconoscere oggetti e figure anche nei lavori più astratti. E concordo sul fatto che l’arte antica e contemporanea vadano spiegate per apprezzarle meglio, la prima perché più lontana dal contesto in cui viviamo la seconda perché più concettuale. Tuttavia, credo che a volte il problema sia che non ci prendiamo il tempo necessario per guardare e ascoltare un lavoro. Se, come suggeriva Philippe Daverio, si entrasse in un museo per osservare un solo quadro forse avremmo bisogno di meno parole. E infatti dai quadri che conosco meglio, cioè quelli della mia collezione, escono più emozioni che parole.

S: “Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti. Le persone hanno sempre fatto regali. Quello che conta è come racconti la loro storia” si legge nel romanzo “Un eredità di avorio e ambra”. C’è una storia che vorresti raccontare legata ad un’opera d’arte? 

E: Potrei scrivere un racconto per ogni opera della mia collezione, ma parlerò di quella che non ho mai avuto. Durante il mio primo stage da giornalista mi sono imbattuta (e innamorata) di un artista ai tempi quasi sconosciuto Ray Caesar. Vendeva le sue immagini create in digitale direttamente dal suo sito per poche centinaia di dollari, che corrispondevano all’incirca a un mese del mio stipendio. Sono stata sul punto di comprarlo, ma poi la convinzione di non essere abbastanza esperta per collezionare mi ha fatto desistere. Dopo una decina di anni ho rivisto le sue opere in una galleria di Roma a un prezzo circa 20 volte superiore e ho capito che avrei dovuto fidarmi del mio istinto. Non soltanto perché avevano acquisito valore, ma soprattutto perché ancora oggi vorrei quel pezzo. Non credo sia un caso che poco dopo io abbia iniziato a collezionare.

S: “Ogni immagine più che del soggetto ci parla dello sguardo dell’autore” si legge in un libro di Gayford e Hockney.Possiamo pensare che una collezione ci parli molto dei collezionisti? La tua cosa dice?

E: Sì, per me le opere sono lo specchio del collezionista e in ogni lavoro c’è una parte di me, che sia un ricordo, un’emozione, un periodo della mia vita o un lato del mio carattere. 

Giulia Bersani_senza_titolo

S: Thomas Bernhard in ‘Antichi Maestri’ scrive “Per quanto ciò sia assurdo, quando leggo un libro ho comunque la sensazione e la convinzione che il libro sia stato scritto solamente per me, se guardo un quadro ho la sensazione e la convinzione che sia stato dipinto solamente per me…”. Come collezionista d’arte ha provato la stessa cosa? 

E: Certo, ma questo succede perché noi siamo naturalmente attratti da ciò che è una nostra urgenza in quel momento. Ci sono pezzi che oggi mi colpiscono immediatamente, ma che qualche anno fa non avrei nemmeno guardato, e viceversa.

S: Alan Bennett nel suo scritto ‘I quadri che mi piacciono’ confessa: “Il mio criterio di giudizio è piuttosto superficiale, e mi riesce difficile separarlo dall’idea di possesso. Così so che è un quadro mi piace solo quando ho la tentazione di portarmelo via nascosto sotto l’impermeabile”. Concordi con Alan Bennet? 

E: No, ci sono opere d’arte che potrei osservare per ore, davanti alle quali mi commuovo e che mi piace guardare nei musei senza sentire il desiderio di possederle.

S: Pierre Le-Tan, parlando dei collezionisti che aveva incontrato, come a voler dare un consiglio, scrive “un collezionista avveduto compra sempre pezzi estranei alle mode”. Condividi questo consiglio? 

E: Assolutamente sì, soprattutto per quanto riguarda l’arte contemporanea. Ed è proprio in questi casi che i collezionisti dovrebbero avere una figura di riferimento competente e disinteressata che li aiuti a distinguere gli artisti realmente validi da quelli che, a volte anche per ragioni che esulano la loro pratica artistica, diventano troppo velocemente star.

S: Maurizio Cattelan in un’intervista ha paragonato le sue opere a degli orfani in cerca di una nuova famiglia. Ti piace immaginarti nei panni di un genitore adottivo per un’opera d’arte e forse anche per un artista?  

E: Lo dico sempre anche io che ogni pezzo che compro diventa parte della mia famiglia.

Beatrice Scaccia_On the move

S: Raramente c’è un unico motivo che spinge le persone a interessarsi all’acquisto d’arte: me ne potrebbe dire uno, che sente suo? 

E: Collezionare per me è uno strumento di conoscenza.

S: Quando scegli un’opera segui più l’orecchio (i “cosa si dice” sull’artista) o il cuore (e cosa ti dice)? 

E: Il cuore, anche se non è affatto facile, perché la tentazione di seguire i collezionisti più esperti o di comprare l’opera di un giovane con delle ottime carte in mano è molto forte. Il più grande errore come collezionista l’ho fatto proprio perché mi sono fatta assalire dalla fomo per un artista che era sulla cresta dell’onda. Da allora ho imparato a scegliere solo quello di cui sono convinta, assumendomi il rischio o il merito delle mie scelte.

S: Gertrude Stein diceva agli amici che per fare una collezione è sufficiente risparmiare sul proprio guardaroba. A cosa rinuncerebbe per un’opera d’arte?  

E: Amo troppo gli abiti, le borse, le scarpe e soprattutto i bijoux (che colleziono) per risparmiare sul guardaroba. Al contrario posso rinunciare senza fatica ai cosmetici e ai trattamenti estetici, e cerco di fare economia sui miei viaggi d’arte scegliendo alloggi modesti.

S: Potremmo paragonare un collezionista ad un giardiniere che cura il suo giardino, ad un editore che sceglie i libri da pubblicare nel suo catalogo. Hai mai pensato di paragonarti a qualcosa?

E: Come dicevo prima le opere sono per me come dei familiari.

Cecilia Granara_Vomitare in Pace

S: Mark Rothko aveva scritto “Un quadro vive in compagnia, dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione. È quindi un gesto arrischiato e spietato mandarlo in giro per il mondo”. Le opere d’arte fanno compagnia? 

E: Certamente, quando sto via da casa per lunghi periodi mi mancano terribilmente.

S: Molti collezionisti usano i social network per condividere le opere d’arte che collezionano o quelle di artisti che vorrebbero. Potrebbe essere questo anche un modo per contaminare il flusso dello scrolling e far entrare l’arte contemporanea nel quotidiano delle persone?

E: Il mio profilo madamecollecte nasce proprio per condividere la mia esperienza di novella collezionista e mostrare attraverso i miei errori, le mie scoperte, le mie difficoltà e i miei successi che chiunque può appassionarsi all’arte e iniziare una collezione.

S: Ci consigli un posto che un appassionato di contemporaneo non può non conoscere o frequentare?

E: Difficile scegliere un unico posto, posso dire che una volta nella vita bisogna andare alla Fondazione Bayeler di Basilea, per me il posto più bello del mondo insieme alla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence.

Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto si occupa di marketing, contenuti e palinsesti televisivi in Rcs. È appassionato di arte, di editoria e di Milano.

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