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Pesaro

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Collezionare è darsi un appuntamento con gli artisti

del

Ci sono collezionisti a cui non basta visitare fiere e studi d’artista, comprare opere da appendere in casa e vantarsi di acquisti lungimiranti. Alcuni di loro hanno trasformato la passione per l’arte contemporanea in un impegno più grande che arriva a pervadere il loro quotidiano e a trasformarlo. Se per questo tipo di collezionisti ci fosse un club, tra gli iscritti troveremmo sicuramente Paolo Palmieri e Maria Antonietta Collu.

I due sono una coppia nella vita e a distanza di anni dal loro incontro, nell’intervista Maria Antonietta racconta di quando ha visto per la prima volta la collezione di Paolo, hanno dato vita ad un progetto di residenze d’artista a Celle Ligure, in provincia di Savona. Sono partiti nel 2020, ospitando Marco Filia, poi è arrivato Sebastiano Sofia, nel 2022 è toccato a Paul Noble e John Pettenuzzo, nel 2023 Giulio Alvigini, poi Monika Romstein e Annika Ström e nel giro di cinque anni sono giunti al sesto appuntamento con Ermano Brosio e Reto Pulfer, che si concluderà il sei giugno (tutte le informazioni per partecipare al finissage sono a fine intervista). 

Tutto è cominciato dalla passione di Paolo Palmieri per il contemporaneo che, dopo la fine del suo precedente matrimonio, ha cominciato quella che lui descrive come “una nuova vita”. Il suo primo acquisto è stato ONDE, multiplo fotografico di Amedeo Martegani, e dopo innumerevoli incontri con galleristi, artisti e performer la collezione si è arricchita fino a raggiungere il centinaio di opere. Quando ho chiesto qual è l’ultima opera arrivata Paolo ha risposto “è quella che deve ancora arrivare mentre la penultima è I frequentatori dei centri sociali milanesi usano l’ammorbidente, un lavoro di Ermanno Brosio”.

Nella collezione Palmieri ci sono sia nomi di emergenti che artisti molto noti e mid career come Takashi Murakami, Tomas Saraceno, Wolfgang Tillmans, Alvaro Urbano, Petrit Halilaj, Luca Trevisani. Per quanto riguarda le tipologie di opere la collezione è composta di disegni, carte, installazioni, fotografie, dipinti e addirittura un appuntamento. L’opera in questione è stata acquistata da Paolo nel 2003 e consisteva in un appuntamento che l’artista Jonathan Monk ha dato al collezionista per il 24 aprile del 2014 a mezzogiorno a Torino, sotto la Mole Antonelliana. L’incontro c’è stato davvero ed è stato immortalato in una foto e a distanza di anni ha ispirato il nome che Paolo e Maria Antonietta hanno dato al ciclo delle residenze d’artista che ospitano nella loro casa “Appuntamento con l’Artista”.

GELITIN HASE ARTESINA

Nel nostro incontro non solo ho potuto vedere alcune opere della collezione, ma ho potuto ascoltare con piacere i racconti che legano alcune di esse al loro vissuto. È stato lì, nel loro giardino, che mi sono reso conto di quanto sia importante e fondamentale il rapporto umano che si instaura tra gli artisti che ospitano e loro due come collezionisti. Non ho percepito nulla di serioso, di professionale sì ma non di formale, perché uno degli ingredienti della raccolta è l’ironia. Paolo mi ha parlato di “Nano 3” di Stefania Galegati, richiesto dal Museion di Bolzano in occasione della mostra Ironia domestica, dell’opera di David ShrigleyToday is my birthday please release me from jail” che Paolo ha utilizzato come invito per il suo 50° compleanno, di “Coincidence” di Peter Land, del cartello “ARE WE NOT MEN?” realizzato da Scott King, per non parlare delle opere di Giulio Alvigini

Tra le tante cose Paolo mi ha raccontato di quando si è fatto disegnare e firmare da Damien Hirst la camicia che indossava per un party ad una fiera d’arte, e che ora è incorniciata e appesa come un’opera in collezione, o della scomparsa dell’opera “Dreams & Thoughts – 50 kg of chewing gum” della coreana Koo Jeong-A. Dopo essere rimasta installata per qualche anno, l’opera si è letteralmente sciolta, lasciando una scia di liquido rosa-azzurro. “Alla fine, ho dovuto buttarla via” ha commentato Poalo “nell’arte contemporanea a volte si compra l’idea” e poi ha aggiunto “l’oggetto in sé è relativamente importante… quello che conta è il certificato dell’opera che dichiara che tu sia il proprietario. Opera emblematica è la banana di Maurizio Cattelan attaccata alla parete con il nastro americano”.

In occasione di ogni residenza Paolo e Maria Antonietta producono un libro in italiano e in inglese, scaricabile dal loro sito, con le foto delle opere prodotte ed esposte, i commenti dei curatori, le interviste agli artisti e la pubblicazione diventa un utile strumento per studiare, approfondire e comprendere le pratiche artistiche. Per chi avesse ancora dei dubbi se valga la pena pianificate una visita a Celle ligure, dove si può ammirare un’opera di Lucio Fontana sulla facciata della chiesa proprio prima di arrivare alla casa di Paolo e Maria Antonietta a Celle, vi consiglio di leggere le risposte che mi hanno dato. Sarete anche voi coinvolti dal loro entusiasmo e capirete quanto l’arte contemporanea abbia davvero regalato una nuova vita a Paolo e sia entrata nella quotidianità di Maria Antonietta e le loro due figlie.

S.D.: Da quando avete dato vita al progetto di residenza “Appuntamento con l’artista” nella vostra casa di Celle Ligure, voi vivete un’esperienza unica, rispetto a molti altri amanti dell’arte. Vivete o condividete, infatti, più tempo o un tempo diverso con persone che di volta in volta scegliete di ospitare. Cosa vuol dire abitare con degli artisti, avere a che fare con loro nel quotidiano, vederli o intravederli creare?

M.A.C.: Vivere con artisti è un’esperienza che spesso ribalta le aspettative. Li si immagina come creature o spiriti inquieti dell’arte, avvolti da un’aura romantica o maledetta. Ma dietro ogni artista c’è prima di tutto una persona, con tratti umani – molto umani – slanci e fragilità. Le residenze offrono alla nostra famiglia l’opportunità di assistere a questo processo umano e creativo insieme: vedere nascere un’opera, cogliere le esitazioni, le intuizioni, osservare la fatica e l’entusiasmo, ma anche la difficoltà. In questo contesto, l’artista è disponibile, presente e, anche se so che molti artisti non amano parlare del proprio lavoro, mi lascio trasportare dalla curiosità e non resisto dal porre domande. Paolo invece è più discreto, osserva senza quasi interferire. Capitava con alcuni artisti – soprattutto con la pittura – che da un giorno all’altro i loro lavori si trasformassero completamente, come ad esempio la prima tela di Sebastiano Sofia. Ogni pomeriggio – previo accordo – andavamo a trovarlo nel suo studio appositamente per guardare la tela. E ogni giorno, sorprendentemente, c’era movimento: figure che si spostavano e colori che cambiavano.

Chiedevo a Sebastiano e lui ci raccontava che tra lui e i personaggi succedeva qualcosa e potevamo osservare come queste loro dinamiche si riversassero e riflettessero sulla tela. Trovo questo un vero privilegio, non solo possedere un oggetto d’arte, ma viverlo assistendo al percorso che ha condotto l’artista fino alla soluzione finale. E questo è molto diverso dall’osservare un’opera già compiuta. Anche per Paolina e Giuseppina (le due figlie di Paolo e Maria Antonietta, n.d.r.) sono esperienze stimolanti: avere a che fare con persone nuove che raccontano altre visioni e da cui ricevere insegnamenti.  Sebastiano Sofia è stato parte della nostra famiglia. Lui ed Ermanno Brosio in particolare, hanno instaurato un rapporto tenero e giocoso con le nostre figlie.  Sebastiano doveva nascondersi per fumare perché Giuseppina teneva particolarmente alla sua salute; tanto che, alla fine, ha rinunciato a fumare di fronte a lei. Le bambine andavano spesso da lui a disegnare e le coinvolgeva anche facendole dipingere alcuni dettagli sulle tele. Ermanno è entrato con naturalezza nelle nostre dinamiche quotidiane, ed è stato per loro come un fratellone. 

Monika Romstein si prestava a giocare e stavano spesso sedute a disegnare insieme a lei e imparare tecniche di acquerello, facendole anche da assistenti. E con Paul Noble, ancora oggi, si spediscono disegni e bigliettini per posta, mantenendo viva una piccola e affettuosa corrispondenza. Ogni residenza genera relazioni diverse, a volte sorprendenti, altre volte più complesse.

Palmieri Collu Noble Pettenuzzo

S.D.: Umberto Eco ha scritto “la principale funzione della biblioteca, almeno la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l’esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi”. Non è così anche per una collezione d’arte e cioè sorprendere? Cosa potrebbe sorprendere in particolare della vostra collezione?  

P.P.: Alcuni lavori possono sorprendere e altre emozionare. Una nostra amica, Deborah, si è commossa fino al pianto davanti a Candle Clock di Paul Noble, un grande orologio le cui le lancette delle ore e dei minuti sono costituite da candele di cera. È stata una reazione istintiva che testimonia la forza emotiva dell’opera. Una volta accese, le candele iniziano a consumarsi: la cera cola lentamente e si deposita a terra, segnando visivamente il passaggio del tempo e al contempo lasciando una traccia tangibile.  Forse Deborah ha percepito il peso della fragilità, della bellezza effimera, della vita che scorre inesorabilmente.

S.D.: “La poesia è poesia quando porta in sé un segreto” disse Ungaretti in un’intervista. Potremmo dire che è così per l’arte in generale e per quella contemporanea in particolare. Quale segreto contengono le opere che collezionate?

P.P.: Alcune opere della collezione raccontano una storia, altre rivelano intuizioni, altre ancora custodiscono segreti.

 S.D.: “Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti. Le persone hanno sempre fatto regali. Quello che conta è come racconti la loro storia” si legge nel romanzo “Un eredità di avorio e ambra”. C’è una storia che vorreste raccontare legata ad un’opera d’arte?

P.P.: C’è la storia di Copenhagen, 11 December 1999, un grande acquerello su carta di Peter Land che rievoca l’uragano che colpì il Nord Europa alla fine del 1999. In quei giorni ero in vacanza in Francia, quando ricevetti una telefonata da mia sorella “ad Artesina è arrivato un uragano, sta portando via tutto!”. Guardando l’opera di Land, ho rivissuto esattamente quella sensazione di vulnerabilità e caos. Come se l’artista avesse dipinto un frammento della mia memoria personale.

S.D.: “Ogni immagine più che del soggetto ci parla dello sguardo dell’autore” scrivono Gayford e Hockney. Una collezione ci parla molto anche del collezionista: la vostra cosa dice?

P.P.: Questo lo lascio dire a voi.

S.D.: Alan Bennett nel suo scritto ‘I quadri che mi piacciono’ confessa: “Il mio criterio di giudizio è piuttosto superficiale, e mi riesce difficile separarlo dall’idea di possesso. Così so che è un quadro mi piace solo quando ho la tentazione di portarmelo via nascosto sotto l’impermeabile”. Concordate? 

M.A.C.: Dipende da cosa si intende per possesso. Se è un impulso a trattenere, a portar via, come confessa Bennet, no, non mi appartiene. Ma se possedere significa essere attraversati da un’opera, sentirla propria per risonanza o esperienza interiore, allora si: guardare diventa già una forma di possesso e appartenenza, e allora l’impermeabile non serve.

Palmieri Collu

S.D.: Pierre Le-Tan, parlando dei collezionisti che aveva incontrato, come a voler dare un consiglio, scrive “un collezionista avveduto compra sempre pezzi estranei alle mode”. Vi sentite di condividere questo consiglio?

P.P.: Mi è capitato di acquistare opere di artisti poco conosciuti che con il tempo sono diventati molto richiesti e costosi. Comprai ad esempio due disegni di Petrit Halilaj: quei lavori in seguito mi furono richiesti per la Biennale di Berlino, e da lì in poi molti collezionisti iniziarono ad acquistare le sue opere. 

S.D.: Maurizio Cattelan in un’intervista ha paragonato le sue opere a degli orfani in cerca di una nuova famiglia. Vi piace pensarvi nei panni di un genitore adottivo per un’opera d’arte e forse anche per un artista?

M.A.C.: È una relazione che si instaura, che potrebbe andare avanti oppure no, con le opere come con gli artisti, è un legame che si costruisce nel tempo. In questo senso le opere sono diventate parte della nostra quotidianità – come dici tu – quasi membri della famiglia.  La prima volta che sono stata a casa di Paolo, sono rimasta impressionata dalla quantità di opere e dal fatto che non ci fosse una parete libera, neppure un piccolo spazio vuoto. All’inizio mi sentivo quasi sopraffatta, ma in breve ho familiarizzato con ogni lavoro. Mi piace che le opere siano nella casa dove viviamo: ci permette di osservarle senza doverle cercare – ma anche di ignorarle – di cogliere dettagli e riscoprirle nel tempo. La relazione con un’opera è qualcosa di vivo e cangiante. È una collezione vissuta, non solo esposta. Quando le nostre figlie erano piccole, per gioco, se qualcuno chiedeva chi fossero i loro compagni di scuola, rispondevano con i nomi degli artisti che abbiamo in casa, come se – a forza di vederli e nominarli – fossero diventati degli amici. Acquistare un’opera d’arte è come scegliere un abito o un accessorio: lo fai per indossarlo, per ammirartelo addosso, con i lavori d’arte non si tratta però solo di possedere un oggetto, ma anche di farlo entrare e dargli un posto nella tua casa e in qualche modo nella tua vita. 

S.D.: Raramente c’è un unico motivo che spinge le persone a interessarsi all’acquisto d’arte: me ne potreste dire uno che sentite particolarmente vostro?

P.P.: Avere – o avere l’illusione di possedere – qualcosa di unico e esclusivo.

S.D.: Quando scegliete un’opera seguite più l’orecchio (i “cosa si dice” sull’artista etc.) o il cuore e cosa vi dice?

P.P.: Cuore e orecchio.

Palmieri Residenza Celle Brosio Pulfer

S.D. Gertrude Stein diceva agli amici che per fare una collezione è sufficiente risparmiare sul proprio guardaroba. A cosa rinuncereste o avete rinunciato per un’opera d’arte? 

P.P.: Un anno in cui sono stato particolarmente attivo per l’arte ho rinunciato ad acquistare una bella automobile sportiva e non mi sono pentito.

S.D.: Potremmo paragonare un collezionista ad un giardiniere che cura il suo giardino, ad un editore che sceglie i libri da pubblicare nel suo catalogo, un padre o ad una madre che adottano, un custode che mette al riparo: a cosa vi paragonereste come collezionisti?

M.A.C.: Se dobbiamo paragonarci a qualcosa… potremmo essere dei contrabbandieri di senso. Passiamo attraverso confini invisibili tra gusto personale, responsabilità culturale e passione. Se fossimo dei giardinieri, quello che coltiviamo è l’imprevedibile, e come custodi archiviamo dubbi piuttosto che certezze, e ogni opera e artista che scegliamo è come una domanda aperta lasciata a decantare tra le pareti di casa.  

S.D.: Ci consigliate un posto, anche e soprattutto fuori dai soliti giri, che un appassionato di contemporaneo non può non conoscere e frequentare? 

M.A.C.: Celle Ligure, sicuramente. La Sardegna inevitabilmente. 

S.D.: Elio Fiorucci in un’intervista al Corriere disse che per dormire bene lui pensava ad una donna nuda. A cosa pensa una collezionista prima di dormire? 

P.P.: Un collezionista non so cosa pensi, ma quando io vado a letto crollo in un sonno profondo. È poi alle 4 del mattino che mi sveglio e allora sì che è dura prendere sonno. E non c’è donna nuda o Anish Kapoor che tenga.

S.D.: Prendo in prestito il titolo del libro del collezionista e scrittore Giorgio Soavi “Il quadro che mi manca” e vi chiedo: qual è l’opera che vi manca: quella che è andata via per sempre o che ancora deve arrivare? 

P.P.: Quando ho iniziato a collezionare, compravo due opere per ogni artista, pensando che per finanziare altri acquisti ne avrei potuto venderne una. Poi ho avuto due figlie e nessuna opera ha mai lasciato la collezione. A distanza di anni rifarei esattamente le stesse scelte.

Tutte le informazioni per il finissage, orari, indirizzo e contatti sono sul sito www.palmiericontemporary.com 

Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto si occupa di marketing, contenuti e palinsesti televisivi in Rcs. È appassionato di arte, di editoria e di Milano.

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