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L’acquisto «a non domino» di opere d’arte: rischi e tutele per il collezionista.

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L’acquisto di un’opera d’arte rappresenta un momento di grande soddisfazione per ogni collezionista. Tuttavia, il mercato dell’arte, per sua natura complesso, può presentare insidie (legali) tali da trasformare l’acquisto in un incubo e un investimento in una perdita, talvolta anche significativa. Una delle situazioni più rischiose è l’acquisto «a non domino», ovvero l’acquisto di un bene da un soggetto che non ne è il legittimo proprietario. 

Sebbene il nostro ordinamento preveda una regola generale a tutela dell’acquirente in buona fede, la sua applicazione ai beni culturali è tutt’altro che scontata e può esporre il collezionista a rischi rilevanti.

L’articolo 1153 cod. civ. stabilisce infatti il principio noto come “possesso vale titolo“. La norma dispone che «colui al quale sono alienati beni mobili da chi non ne è proprietario ne acquista la proprietà mediante il possesso», purché ricorrano tre condizioni:

(i) il conseguimento del possesso del bene attraverso la consegna materiale;

(ii) la sussistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà (ad esempio, un contratto di compravendita valido, un atto unilaterale, un provvedimento giudiziale o amministrativo, ecc.);

(iii) la buona fede dell’acquirente al momento della consegna. Tale principio è espressione di un’esigenza fondamentale: garantire certezza e rapidità ai traffici giuridici, tutelando l’affidamento di chi acquista confidando nell’apparenza di titolarità del proprio dante causa.

La buona fede, come chiarisce l’art. 1147 cod. civ., consiste nell’ignorare di ledere un diritto altruipossessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto») ed è presunta, purché sussista al momento dell’acquisto. Tuttavia, la presunzione di buona fede viene meno se l’ignoranza di ledere il diritto altrui deriva da “colpa grave” (art. 1147 cod. civ.), ossia dall’omesso impiego di quella diligenza minima che avrebbe consentito all’acquirente di percepire l’irregolarità dell’operazione. È un punto cruciale, soprattutto nel mercato dell’arte, dove la valutazione della buona fede non può prescindere dal contesto, dalla qualità delle parti, dal prezzo pagato e dalla natura dell’opera.

L’acquisto a non domino di beni culturali.

Quando l’oggetto dell’acquisto è un’opera d’arte, e ancor più un bene culturale, l’equilibrio su cui si fonda l’art. 1153 cod. civ. tende a incrinarsi. In questo ambito, infatti, l’interesse prevalente non è quello della libera circolazione dei beni, bensì quello, di rango costituzionale, della conservazione e tutela del patrimonio culturale (art. 9 Cost.). La giurisprudenza e la dottrina prevalenti ritengono, infatti, che l’interesse pubblico alla conservazione e tutela del patrimonio culturale nazionale prevalga sull’esigenza di certezza dei traffici commerciali. Peraltro, l’art. 64 bis, comma 3, Codice dei beni culturali, esclude espressamente l’assimilabilità di tali beni alle merci, tanto che la dottrina ne ha immaginato la riconduzione ad un tertium genus diverso dai beni mobili e dai beni immobili / mobili registrati.

Di conseguenza, l’applicabilità dell’art. 1153 cod. civ. all’acquisto «a non domino» di un bene culturale, sebbene in astratto ammessa dalla giurisprudenza, è fortemente limitata e soggetta a una valutazione molto severa da parte dei giudici: la buona fede dell’acquirente viene valutata con criteri particolarmente severi, soprattutto quando si tratti di operatori professionali del mercato dell’arte, come galleristi o antiquari, sui quali grava un vero e proprio dovere di diligenza qualificata nella verifica della provenienza dell’opera. Il giudice valuta tutte le circostanze del caso, quali la natura dell’opera, il prezzo pagato (soprattutto se incongruamente basso), la qualifica delle parti e il contesto della vendita. L’acquirente deve dimostrare di aver compiuto tutte le verifiche ragionevolmente esigibili sulla provenienza del bene; l’assenza di documentazione sulla provenienza o la mancata consultazione dei registri di beni rubati possono essere elementi sufficienti a escludere la buona fede.

Per quanto riguarda poi l’idoneità del titolo, affinché un contratto di compravendita sia considerato “titolo idoneo” per un bene culturale, non basta che sia formalmente valido. Esso deve rispettare le norme imperative del Codice dei Beni Culturali (d.lgs. n. 42/2004). In particolare, per i beni dichiarati di interesse culturale, la legge impone l’obbligo di “denuncia” del trasferimento al Ministero della Cultura e prevede un termine entro cui lo Stato può esercitare il diritto di prelazione (c.d. “prelazione artistica). Un contratto stipulato in violazione di tali obblighi, o del divieto di consegna del bene prima della scadenza del termine per la prelazione, è considerato inidoneo a produrre l’effetto acquisitivo ai sensi dell’art. 1153 cod. civ.. 

Il rischio per l’acquirente si amplifica in modo esponenziale quando l’opera proviene dall’estero. Le normative internazionali e comunitarie, come la Convenzione UNESCO del 1970, la Convenzione UNIDROIT del 1995 e la Direttiva UE 2014/60, hanno creato vero e proprio “microsistema giuridico” che deroga alla regola del “possesso vale titolo”. In ambito internazionale, l’acquisto «a non domino» trova una limitata tutela per i soli beni che non siano di provenienza furtiva. Il principio cardine di queste normative è la restituzione dei beni culturali rubati o illecitamente esportati allo Stato di origine. L’azione di restituzione può essere esercitata dallo Stato di provenienza (e in alcuni casi anche dal proprietario privato derubato) dinanzi al tribunale del luogo in cui il bene si trova; l’obbligo di restituzione opera indipendentemente dalla buona fede dell’attuale possessore. L’acquirente, pur avendo agito con la massima diligenza e in totale buona fede, sarà comunque tenuto a restituire l’opera se questa risulta rubata o uscita illegalmente dal suo Paese d’origine. In questo scenario, la tutela dell’affidamento dell’acquirente cede il passo all’interesse superiore della ricostituzione del patrimonio culturale dello Stato richiedente.

L’acquirente in buona fede che subisce l’evizione del bene non è, tuttavia, privo di tutele, sebbene queste siano spesso parziali e di difficile attuazione.

Le normative internazionali ed europee prevedono che il possessore costretto a restituire il bene abbia diritto a un “equo indennizzo“. Tuttavia, la concessione di tale indennizzo è subordinata a una prova rigorosa: l’acquirente deve dimostrare di aver agito con la dovuta diligenza al momento dell’acquisto, un onere probatorio spesso difficile da soddisfare. Inoltre, la quantificazione dell’indennizzo è rimessa alla valutazione del giudice e non sempre corrisponde al valore di mercato del bene.

L’acquirente può, inoltre, rivalersi sul proprio venditore (il non dominus) attivando i rimedi civilistici. Il principale è la garanzia per evizione (art. 1483 cod. civ.), che consente di chiedere la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo pagato, il rimborso delle spese e il risarcimento del danno. Se l’acquirente ignorava l’altruità del bene, può chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1479 cod. civ., anche prima che si verifichi l’effettiva evizione da parte del legittimo proprietario.

Conclusioni

In conclusione, l’acquisto «a non domino» di opere d’arte rappresenta un terreno di frizione tra due esigenze opposte: da un lato, la protezione dell’affidamento dell’acquirente e la fluidità del mercato; dall’altro, la salvaguardia del patrimonio culturale e la repressione del traffico illecito.

Per il collezionista, la migliore forma di tutela è la prevenzione. È importante esercitare la massima cautela, prediligendo canali di acquisto trasparenti e affidabili come case d’asta rinomate, galleristi e antiquari di comprovata serietà; è fondamentale richiedere e verificare scrupolosamente tutta la documentazione relativa all’opera, conducendo un accurata due diligence sull’opera (certificati di autenticità, titoli di provenienza che ricostruiscano la “storia” dei passaggi di proprietà e, per le opere soggette a vincolo, gli attestati di libera circolazione o le licenze di esportazione). 

Avvalersi della consulenza di esperti d’arte e legali specializzati nel settore è un investimento essenziale per la sicurezza della propria collezione.

G. Cavagna e M.G. Contatore
G. Cavagna e M.G. Contatorehttp://www.bipartlaw.com.
Gli avvocati Gilberto Cavagna di Gualdana e Maria Giulia Contatore collaborano con BIPART, acronimo di “Beyond Intellectual Property and ART law”, studio legale specializzato nella valorizzazione e protezione dei diritti di proprietà intellettuale e dell’arte con sede a Milano. I professionisti di BIPART forniscono assistenza e consulenza a clienti nazionali e internazionali in materia di marchi e nomi di dominio, design, brevetti e segreto industriale, concorrenza sleale, diritto d’autore e software, diritto dell’arte e dei beni culturali, concorrenza, diritto della pubblicità, dei media e dello sport. Contatti: gilberto.cavagna@bipartlaw.com, mariagiulia.contatore@bipartlaw.com www.bipartlaw.com.

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