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Talenti emergenti: Christian Fogarolli

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Nell’ultimo anno e mezzo, il nome di Christian Fogarolli ha iniziato ad attirare sempre più spesso l’attenzione della stampa. Trent’anni compiuti il 16 agosto scorso, questo giovane artista originario di Trento, ha debuttato nel 2008 e fin dall’inizio si è distinto per una ricerca artistica molto particolare che poggia su tre pilastri fondamentali: l’essere umano, l’identità e il tempo. Laureato in Storia e [glossary_exclude]Conservazione[/glossary_exclude] del patrimonio storico-culturale e con un master sullo studio, la diagnostica e il [glossary_exclude]restauro[/glossary_exclude] dei dipinti antichi, moderni e contemporanei conseguito a Verona, Fogarolli basa il suo lavoro su una meticolosa ricerca d’archivio nel tentativo di far riemergere e di ricondurre alla loro reale densità le identità marginalizzate da una società in cui la fisiognomica criminale e la frenologia erano considerate scienza esatta. Strumenti per individuare chi era degno di viaggiare nel mondo libero e chi, invece, doveva essere nascosto: il “criminale nato”, tanto per citare un termine lombrosiano, o l’alienato. Ma il lavoro di Fogarolli non è una semplice riabilitazione. Con forza inedita, infatti, l’artista trentino spinge tutti noi a rimettere in discussione la nostra capacità di giudizio, spesso falsata da pregiudizi. Reduce dai successi di Documenta (13) e del MART, lo incontreremo il prossimo 3 ottobre alla fiera SWAB Barcelona, mentre dal prossimo 5 ottobre Christian Fogarolli sarà tra i 40 finalisti del Premio Celeste che esporranno al PAN di Napoli, dove presenterà l'[glossary_exclude]installazione[/glossary_exclude] musical score, tratta dal suo nuovo progetto di ricerca, labeling, in cui la sua attenzione si sposta, dagli alienati, ai criminali.

Nicola Maggi: Nei tuoi lavori hai sempre una grande attenzione per le identità borderline. Da dove nasce questo tuo interesse per gli individui posti ai margini della società?

Christian Fogarolli: «L’aspetto identitario letto attraverso le immagini e la percezione soggettiva di queste,  sono sempre stati due cardini del mio lavoro e un mio particolare interesse fin dai tempi dell’Università e del master veronese. Successivamente, partendo dalla studio teorico della fotografia giudiziaria e criminale, ho cominciato a pensare ad alcuni luoghi in cui, con la pratica, potevo ritrovare e studiare questi aspetti. Mi sono concentrato quindi su ex istituti manicomiali, che spesso possiedono archivi interessanti  e a volte anche piuttosto bistrattati o custoditi in malo modo. Da lì il desiderio di trasportare una selezione di immagini fuori da quel contesto e di mostrarle sotto una nuova veste, indagando  l’identità da diverse prospettive, sia attraverso la ricerca d’archivio ma anche attraverso gli oggetti, cercando  percorsi sempre diversi. Il tutto con l’obiettivo di fare in modo che lo spettatore fosse in grado di far sue queste indagini, in modo del tutto soggettivo.  A ciò si unisce, poi,  anche una riflessione abbastanza importante sul tipo di patrimonio di immagini che noi abbiamo, sugli oggetti che custodiamo e sul modo in cui li utilizziamo, li riutilizziamo e li destiniamo».

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Materiale d’archivio consultato da Christian Fogarolli per la creazione del progetto Lost Identities

N.M.: Proprio da questa ricerca negli archivi degli ex manicomi è nato il lavoro che hai presentato a Documenta (13): Lost Identities. Ce ne parli?

C.F.: «Lost Identities è  il mio primo lavoro. Un video che ho realizzato per Documenta e dove ho voluto essere il più aderente  possibile alla realtà dei fatti che mi sono trovato davanti durante le mie ricerche. Ho cercato di presentare in pochissimo tempo,  1’ e 40 circa, tutta una serie di identità suddivise in specifiche categorie in base a dei vincoli archivistici che ho ritrovato durante il lavoro in archivio. Quella che è venuta fuori è una visione continua, una sorta di linea guida di identità diverse che sono state in parte storpiate e che, da un lato, ti danno una sensazione di fragilità, di debolezza e, dall’altro , di un’identità molto forte, granitica anche se in posa davanti ad un obiettivo fotografico, nei primi anni del Novecento, in una situazione mentale e fisica di totale disagio. In un secondo momento, poi, mi sono interessato ad un serie di negativi su lastra di vetro che non erano mai stati sviluppati e che meritavano, invece, attenzione per la loro incredibile qualità inedita.  Quindi ho immaginato questo insieme di ritratti, che all’inizio venivano utilizzati per documentare e che per il medico si trasformavano in una sorta di ritratto psicologico attraverso cui, con le teorie dell’epoca, riuscire a stilare delle diagnosi o, nel caso delle foto segnaletiche, di analisi criminale. Tutto questo, secondo me, poteva fare un ulteriore salto di qualità: da un ritratto psicologico, segnaletico, criminale diventare qualcosa di artistico».

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Christian Fogarolli, Lost Identities, still video, 2012

N.M.: Nel tuo secondo progetto di ricerca,  blackout, affronti, invece, il tema dell’alienazione attraverso un processo di accumulo frenetico messo in atto da Miss Swann. Ci racconti come è nato questo lavoro? Il suo “dietro le quinte”?

C. F.: «Il progetto blackout nasce ad inizio 2012, ma è espressione di un radicato interesse per le possibilità che ogni accumulo comporta. Miss Swann è zia Leonie del libro Dalla parte di Swann di Proust, in cui una vecchia zia bloccata a letto colleziona esistenze tramite un accumulo di racconti dei suoi visitatori. Miss Swann è anche Christian Fogarolli, o lei che mi pone queste domande o tu che leggi  queste parole. Tuttavia le opere in mostra sono costituite da oggetti di una zia Leonie reale. Gli interrogativi più frequenti che mi sono stati rivolti si riferivano all’identità del soggetto esaminato e alla sua conoscenza personale ed intima. Domande alle quali non ho mai risposto per tener saldo l’aspetto interpretativo e lasciare libertà di viaggiare allo spettatore davanti alle opere. Credo che la forza del lavoro risieda proprio nell’aura di anonimato che ho voluto imprimere nella ricerca e nella sua presentazione».

N.M.: Come sei intervenuto sulle relazioni di senso che il collezionismo morboso di Miss Swann ha fatto nascere tra gli oggetti raccolti?

C.F.: «La mia ricerca, come spesso accade nell’arte contemporanea, ma anche in altre discipline, non è arrivata a stilare una definitiva relazione di senso o interpretativa riguardo all’attività del soggetto esaminato. Il mio obiettivo era quello di creare e tracciare percorsi possibili attraverso una selezione e presentazione di materiale originale presente nell’abitazione, seguendo la mia sensibilità e la mia storia. È poi la soggettività dello spettatore che crea possibili identità e relazioni sicuramente non somiglianti a quelle reali. Collegamenti destinati a cambiare. Il video Hôtel-Dieu credo possa interpretare bene questo aspetto, una mano in lattice che ricerca spazi intimi e oggetti che interagiscono con l’osservatore in maniera totalmente personale e soggettiva. Ci fermiamo su punti diversi delle immagini e per quanto ci si provi, nessuno saprà mai spiegare perché siamo attratti da una cosa o da un’altra».

Christian Fogarolli, Hôtel-Dieu, video still
Christian Fogarolli, Hôtel-Dieu, video still

N.M.:  Il tema dell’accumulo è molto presente nei tuoi lavori, penso alla raccolta di foto che sta alla base di Lost identities. In che rapporto sta blackout con gli altri tuoi progetti?

C.F.: «L’accumulo o comunque la custodia seriale e il collezionismo sono aspetti che sicuramente riconosco in me, anche se analogie con questo enigmatico personaggio si trovano in ciascun uomo. Dalla raccolta di pietrine, al cibo, abbiamo una naturale tendenza alla creazione di riserve. L’approccio di studio di questo progetto è stato certamente diverso da Lost identities, in blackout la ricerca identitaria di un individuo non avviene più attraverso corpi e fisionomie, ma tramite oggetti personali e intimi.  Le fotografie con cui lavoro costituiscono un mio universo privato, di cui mostro gelosamente solo alcune sfaccettature».

Drugs
Christian Fogarolli, Drugs, 2012

N.M.: Al PAN di Napoli, infine,  sarai presente con un’[glossary_exclude]installazione[/glossary_exclude] tratta dal più recente dei tuoi progetti, labeling, dove il tuo approccio al tema dell’identità assume un’altra prospettiva ancora…

C.F.: «I primi due lavori di questo progetto li ho presentati il mese scorso presso la Arte Boccanera Gallery, in occasione della collettiva Big Bang e dell’inaugurazione dello spazio Pop Up del Muse. Si tratta di un progetto partito da circa sei mesi con l’obiettivo di indagare alcuni aspetti legati alla dimensione criminale e deviata dell’identità umana. Con labeling sono passato da un’indagine dell’identità basata sulla ricerca negli archivi di ex istituti manicomiali, ad un tentativo di sondare questa società a parte che era vista come composta da persone che, per una qualche legge,  dovevano essere classificate come non appartenenti alla normalità, come criminali. C’è ancora una gran parte teorica su cui voglio lavorare anche se ha già dato dei risultati visto che ho già realizzato i primi tre lavori. Uno di questi è cage 2587 che ho presentato, appunto, al Muse. E’ un lavoro abbastanza [glossary_exclude]concettuale[/glossary_exclude] in cui ho cercato di mettere lo spettatore nella condizione di poter utilizzare i propri sensi per stabilire se una persona è deviata/criminale oppure no. Ho usato una macchina da scrivere per ciechi, che nella mia idea richiama molto la percezione visiva  e, quindi, la possibilità dello spettatore di vedere e di giudicare. Quante volte ci capita, d’altronde, di valutare le persone in base al loro aspetto? Questa installazione spinge a riflettere su questi aspetti:  nella parte inferiore dell’opera c’è una struttura in ferro con delle ragnatele che sono costantemente create da un ragno che sta all’interno e che tesse i propri fili  su delle fototessere che provengono da una collezione americana e tra le quali ci sono anche ritratti di criminali scattati in periodi diversi, per motivi di recidività, e sotto identità diverse, false. Ho voluto inserire queste immagini nella struttura di metallo cercando di mantenere le distanze, senza  dire allo spettatore chi è chi e chi è cosa,  in modo che ognuno possa, in base al proprio modo di pensare e di guardare le cose, decidere quali di queste identità hanno degli aspetti che, secondo alcuni canoni umani,  le caratterizzano come devianti».

© [glossary_exclude]Riproduzione [/glossary_exclude]riservata

Per maggiori informazioni: http://www.fogarolli.eu/cms/

Cage
Christian Fogarolli, Cage 2587, 2013
Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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