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Ai limiti del falso. Opere d’arte deturpate

del

Durante l’ultima guerra, Berlino fu praticamente rasa al suolo. Il giornalista svedese Stig Dagerman scriveva della capitale tedesca che, nella tarda primavera del 1945, “i suoi campanili amputati e le sue file interminabili di edifici governativi distrutti, i suoi colonnati prussiani abbattuti riposano il loro profilo greco sui marciapiedi.”

Nel corso del lungo assedio, e immediatamente a seguire, il patrimonio custodito nei suoi musei subì danni enormi. Un po’ distrutto, un bel po’ trafugato.

È, anzi, quasi incredibile quanto si sia salvato considerando come fosse ridotta la città alla fine del conflitto.

Il merito di ciò fu, soprattutto, di funzionari e soprintendenti che si adoperarono per mettere in salvo quanto più possibile già all’inizio della cosiddetta guerra lampo, quasi subodorando la distruzione della guerra invece logorante che di lì a poco sarebbe esplosa.

Caduta Berlino, nel maggio del 1945, la Flakturm di Friedrichshain, un mastodontico cubo di cemento adibito a rifugio antiaereo, bruciò per cinque giorni. Il colosso non conteneva uomini ma opere d’arte, lì depositate già dal 1938, con l’illusione che sarebbero così state in sicurezza.

In cenere finì un’enorme quantità di dipinti, sculture, reperti naturalistici, archeologici e librari. Nessuno raccolse subito quanto sopravvissuto – non esisteva più alcuna autorità civile che risolvesse i problemi a Berlino – e per settimane tutto rimase in balia di sbandati e predoni che poterono fare tranquillamente razzia di ciò che desideravano.

I due splendidi scudieri di marmo del Cinquecento (a sinistra nella foto in copertina) del grande museo berlinese dedicato alla scultura, il Bode Museum, portano sulla loro pelle di pietra, come ferite, i segni di ustioni e deformazioni del fuoco. Mutilazioni della guerra, esattamente come quelle che siamo abituati a vedere su bambini e adulti del Medio Oriente.

Alle elevatissime temperature che un incendio di vasta portata può raggiungere, il marmo si era fuso come cera, dando alle due opere l’aspetto dei bozzetti impressionisti di Medardo Rosso.

Cosa rimane di un’opera d’arte se la materia che la compone è deturpata tanto da perdere l’immagine di sé? Altro che tempo pittore, in casi come questi, il tempo si fa falsario.

Con grande intelligenza, il museo berlinese ha deciso di esporre le due opere così come si presentano allo stato attuale, dopo aver eseguito un semplice (si fa per dire) intervento di consolidamento e messa in sicurezza. Nella loro forma compromessa, le due sculture sono diventate documenti storici eccezionali e preziosi.

Diverso ma simile è il caso della piccola Orazione nel Getsemani (a destra nella foto in copertina) vista di recente nella mostra antologica Rinascimento a Ferrara presso Palazzo dei Diamanti.

Una pulitura pesante ha “spellato” la superficie dipinta di questa tavola di Bernardino Zaganelli, dandole un curioso aspetto a metà tra gli intarsi in pietra dura e la pittura quasi naif di Marc Chagall. Un risultato affascinante sebbene del tutto fuorviante rispetto a come l’opera dovrebbe in realtà apparire, tanto che la stessa, si può tranquillamente dire, risulta deturpata e ridotta a una specie di abbozzo colorato.

Sicuramente si tratta di un restauro storico, probabilmente anche molto antico, quando puliture superficiali generosamente molto approfondite, spesso sfociavano nell’eccesso. Alessandro Conti parla addirittura di patinature che i restauratori davano sopra ai dipinti esageratamente puliti (a volte da loro stessi) per abbassare, ad esempio, la luminosità brillante dei colori chiari e ridare equilibrio estetico al tutto.

Anche una manomissione di questo tipo, che deturpa come e più del fuoco di un incendio, rasenta la falsificazione, la creazione, cioè, di un’opera che parla una lingua diversa da quella originaria.

La differenza tra i due casi è che i due scudieri sono vittime di una deturpazione accidentale, dovute a eventi incontrollabili, mentre la piccola tavola di un delitto colposo. Sono, comunque, documenti di grande valore per lo studio della storia della conservazione delle opere d’arte, materia per nulla lineare e che spesso si è spinta ai limiti della falsificazione.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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