Ci sono alcuni piccoli gesti che ci toccano più di altri. E quanto mi è successo, qualche settimana fa, quando ho ricevuto You and Myself, il catalogo della bellissima mostra su dieci anni di performance di Andrea Bianconi (n. 1974) in corso fino al 24 luglio prossimo alla Casa Testori di Novate Milanese. Con una certa emozione nell’aprire il pacco ho trovato al suo interno una lettera scritta a mano. Un gesto quasi di altri tempi; e mi è venuto da pensare che forse, la nostra – io e Andrea siamo coetanei – è l’ultima generazione a potersi permettere, con naturalezza, un gesto come questo in un’epoca in cui la comunicazione è ormai tutta digitale. Allo stesso tempo mi è sembrato un modo molto coerente con la sua ricerca artistica di comunicare con l’altro: un modo “originario” e allo stesso tempo intimo; il modo di creare un contatto anche con chi, in fondo, ancora non si conosce. E proprio da questo primo contatto è nata una bella chiacchierata sui suoi 10 anni di carriera, passati a giro per il mondo, realizzando performance piene di poesia e di creatività…
Nicola Maggi: 10 anni di performance… che significato ha avuto per te “fermarti” e fare il punto?
Andrea Bianconi: «Questo è un aprire un punto. Amo sempre il dopo, o il prima collegato al dopo. Prendi Romance, ad esempio, un libretto di 5000 segni, disegni e parole che ripercorrono la mia vita, ogni parola è legata alla seguente e alla precedente… ti faccio un esempio di come era scritto … know now own… ecco questo momento per me è il now, questo punto è il now, questi 10 anni sono now».
N.M.: La Performance è qualcosa in continuo divenire, e anche quando la si ripete è sempre “un’altra performance“. Non è rischioso metterle in mostra?
A.B.: «Con questa mostra ho voluto far rivivere la performance, darle una seconda vita, darle un’altra e nuova veste, ho voluto recuperarla da uno stato di abbandono. Cosa resta di una performance? Cosa mi resta? Una performance, una volta finita, esiste in un video, in una foto, in un progetto, in un suono, in un odore, esiste in un ricordo. In questa mostra ho voluto farle rivivere, ho voluto che lo spettatore non solo si trovasse dentro alla performance, ma che anche la facesse e ne diventasse parte. Per esempio in Time is Timing ( 2015, Barbara Davis Gallery, Houston TX ), lo spettatore entra in questa stanza dove ci sono 100 sveglie che suonano. Io l’avevo fatta per un profondo senso di paralisi che avevo provato di fronte a 3000 cose da fare tra email, telefonate… la persona in questo spazio lo rivivrà».
N.M.: Come è cambiata la Performance in questi anni?
A.B.: «E’ cambiato l’uso del corpo, è cambiato l’uso dello spazio, è cambiato l’uso del tempo. E’ anche cambiato un modo di guardare. Comunque resta sempre l’azione. E’ cambiata la relazione con lo spettatore, che molte volte diventa complice, non più solo osservatore, ma anche e soprattutto protagonista. Quindi io guardo le persone… le guardo ossessivamente. Capita che vada a sedermi su una panchina a Central Park per ore intere ad osservare le persone, o al bar ad ascoltare i discorsi degli altri. E’ nata così, ad esempio, You Always Go Down Alone: ero seduto in un bar della 2nd Avenue e ad un tratto una donna chiede ad un uomo: “Perché sei così triste?” e l’uomo risponde “You always go down alone”. Immediatamente mi sono immaginato un uomo che lanciava in cielo frecce con al posto della punta l’immagine del suo volto. Queste frecce inesorabilmente precipitavano schiantandosi a terra».
N.M.: Fin dalla tua prima performance, realizzata nel 2006 nel parcheggio di un centro commerciale ad Arezzo, il centro della tua ricerca è “l’altro” inteso sia come alter-ego che come io-collettivo. Da dove nasce questo tuo interesse?
A.B.: «L’altro è quasi più importante di me; è vitale. Senza l’altro non posso esistere, l’altro sì inteso, come dici tu, come alter-ego e come io-collettivo, ma anche come l’altra parte di me, l’altro io ma anche come l’altra persona, come l’altra cultura, come l’altro mi vede, come io vedo l’altro. Nel 2006 facevo macchine per spiare, spiavo il mio vicino di casa, prendevo ad esempio una pianta, la tagliavo a metà, ed inserivo un binocolo, una macchina perfetta per spiare il mio vicino dal balcone. Con la performance di Arezzo, volevo vedere San Francesco scendere con una astronave sulla terra e dare un messaggio d’amore. Nel 2016, con la performance “Fantastic Planet” (Barbara Davis Gallery, Houston TX) ripetevo all’infinito le parole Fantastic Planet… c’è ? Esiste? dov’è?»
N.M.: In questo gioco delle parti, che ruolo ha l’autore/artista? Certe volte sembri quasi farti un po’ da parte…
A.B.: «Quando “mi faccio da parte”, per esempio nelle performance collettive (The Chinese Umbrella Hat Project, Shanghai, 2010 e Piazza San Marco Venezia 2011, o Traffic Light, 5 Moscow Biennale, 2013) gli 88 volontari della prima e i 9 della seconda sono tutti miei alter-ego… sono sempre io, sono miei messaggeri, sono parti di un insieme, sono un’unica cosa, un’unica persona, un unico modo. Quando costruisco i vestiti, quando costruisco le gabbie per loro, le sto costruendo per me. Quando li guardo fare un’azione è come se io la stessi facendo. Potrei disegnare questo con un arcobaleno».
N.M.: Nella costruzione dei tuoi progetti, mi sembra che un elemento centrale sia una sorta di “collezionismo”, nel senso più ampio del termine ovviamente…
A.B.: «Mi sento un collezionista di cose che un giorno forse mi serviranno… cerco e ricerco, trovo e ritrovo, raccolgo, ammucchio, catalogo, seziono e seleziono…MI sento un cacciatore di ciò che è visibile e insieme invisibile, cerco, come direbbe Italo Calvino “le tracce di qualcosa che potrebbe anche non esserci”. I miei studi sono un po’ grotte, caverne, tunnel, depositi, tanti luoghi in un luogo, tanti spazi in uno spazio, tanti suoni in un suono, tante stanze in una stanza, tanti cassetti in un cassetto, tante direzioni in un’unica direzione».
N.M.: …un po’ come sta accendo con Draw Me, il tuo nuovo progetto, ce ne parli?
A.B.: «In questo momento il mio studio è un po’ un ufficio postale. Sto ricevendo moltissime cartoline da tutto il mondo, e ne sto spedendo altrettante. Draw Me è un World Drawing Project, è la mia nuova performance, le persone disegnano il mio volto su una cartolina e la spediscono a Casa Testori, oppure la inviano per mail, o la postano in Instagram o su Facebook . Tra un anno, dopo aver raggiunto un “certo” numeri o di cartoline, verrà fatto un libro e verranno esposte in una nuova mostra. In un certo senso sto “collezionando” le cartoline, sto “collezionando” le visioni degli altri, come gli altri mi vedono, come vorrebbero vedermi, o come loro si vedono, o come vorrebbero vedersi. In questo progetto, che da una parte è pieno di ironia, dall’altra è sociale, dall’altra ancora è collettivo e dall’altra ancor di più intimo, ho voluto rendere complice e protagonista l’altro, nel senso più ampio e totale della parola. In un certo senso è una sorta di mappa del mondo, è un a ricerca dell’altro me: chi è? Chi sarà? Esiste?»
N.M.: Tu da ragazzo volevi fare l’aviatore… e c’è una frase di un aviatore che mi sembra adatta al tuo modo di concepire la performance, molto implicito più che fisico. E’ di Saint-Exupery; “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”…
A.B.: «Sì, volevo diventare pilota d’aerei. Il volo mi permette di viaggiare sognando e di sognare viaggiando. Non sono diventato pilota, ma mi sento le ali. Nella performance cerco sempre il momento che mi fa staccare da terra, che mi fa fuggire dalla realtà, e quel momento arriva quando non te lo aspetti…è un momento invisibile… ti coglie di sorpresa, è in quel momento che nasce la performance. In quel momento il fisico è spettatore, anche il fisico sta a guardare e si chiede : “Cosa devo fare ?”. Nella performance TOO MUCH ( 2015, George R. Brown Convention Center, Houston TX) ho unito le 7 canzoni della mia vita in un’unica canzone, volevo unire i 7 momenti importanti della mia vita in un solo momento, ho unito il ricordo del primo bacio, di una serata in discoteca, della morte di mio padre, del matrimonio, di una forte sensazione, di un episodio in un bar, dell’incontro con la Stella N della Costellazione Blue in un unico grande ricordo. E io …ballavo e cercavo di entrare e chiudermi dentro la mia valigia, dentro la mia dolce casa di viaggi e ricordi perché come dice Saint-Exupery: “L’essenziale è invisibile agli occhi”».
[infobox maintitle=”PER I COLLEZIONISTI” subtitle=”Andrea Bianconi vive e lavora tra Vicenza e Brooklyn. Alla 5ª Biennale di Mosca ha realizzato una public performance tra la Piazza Rossa, il Cremlino e il Manege. Tra le sue recenti esposizioni MSK Museum of Fine Arts (Ghent), Barbara Davis Gallery (Houston TX), Union Square e Film Society of Lincoln Center (New York). Negli anni ha esposto negli Emirati Arabi, a Basilea e al Palazzo Reale di Milano, ha realizzato public performance a Shanghai e in Piazza San Marco a Venezia. Nel 2011 Charta ha pubblicato la sua prima monografia, nel 2012 Cura.Books il suo primo libro d’artista ROMANCE e nel 2013 il secondo dal titolo FABLE. Entrambi fanno parte della collezione del MoMA New York. Nel 2016 Silvana Editoriale ha pubblicato la monografia You and Myself – Performance 2006-2016. Il suo lavoro è rappresentato dalla Barbara Davis Gallery di Houston (TX) e dalla Galleria Furini Arte Contemporanea di Arezzo. I prezzi delle sue opere vanno dai 5.000-10.000 euro per i disegni su carta ai 10.000-18.000 euro per i lavori su tela. Le installazioni vanno dai 10.000 a 30.000 euro e le wall installation sui 30.000 euro.” bg=”gray” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]