La legge 29 luglio 2014 n. 106, nell’ambito delle “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”, ha introdotto un credito di imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura c.d. “Art Bonus”.
A distanza di otto anni dalla sua applicazione, l’Agenzia delle Entrate ha fatto il punto della misura con la risposta all’interpello n.526 del 26 ottobre 2022, con la quale è stata esclusa la possibilità di beneficiarne a causa della natura privata del bene oggetto di intervento.
Più in dettaglio, la misura agevolativa consente di beneficiare di un credito d’imposta pari al 65 per cento delle erogazioni effettuate in denaro da persone fisiche, enti non commerciali e soggetti titolari di reddito d’impresa per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici nonché per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica.
Nel caso del citato interpello assume quindi rilevanza l’appartenenza pubblica del bene, la quale deve essere intesa, anche sulla base di precedenti orientamenti di prassi (risoluzione 136/E del 2017), anche nel caso in cui le erogazioni liberali effettuate per interventi di manutenzione, restauro, siano destinate a soggetti concessionari o affidatari dei beni.
Pertanto, in questo perimetro, potranno rientrarvi anche enti di diritto privato, quali ad esempio, una Fondazione o altro ente non profit, che abbiano ottenuto in concessione un bene da un ente locale.
Partendo dal citato pronunciamento di prassi, con il presente contributo si pone l’obiettivo di analizzare i punti di debolezza della misura e proporre alcune modifiche per rendere più efficiente la misura, permettendo agli enti beneficiari di poter investire maggiori risorse per il sostegno del comparto culturale.
I limiti attuali della normativa
Sulla base di quanto evidenziato nell’introduzione di cui sopra, il primo limite è rappresentato dall’appartenenza pubblica dei beni oggetto di intervento. Pertanto, la misura esclude del tutto i beni di proprietà privata.
Nel corso del tempo è stata più volte richiesta una modifica legislativa che renda applicabile l’Art Bonus anche ai beni culturali privati, purché vincolati e aperti al pubblico. In tal modo, la normativa si allineerebbe a quella di molti Paesi europei, accogliendo una nozione di bene culturale basata non sulla titolarità formale dello stesso, ma sulla natura di bene destinato a una fruizione pubblica.
Ulteriore punto riguarda la mancata possibilità di accesso alla misura per i soggetti che pagano imposte sostitutive in quanto non assoggettati all’IRPEF, tra cui ad esempio i contribuenti che applicano il regime forfettario di determinazione del reddito.
In un momento storico in cui sembra allargarsi la platea dei soggetti beneficiari del regime forfettario, con il possibile innalzamento della soglia a 100 mila euro di ricavi, si rischierebbe di lasciar fuori potenzialmente 2,4 milioni di partite iva tra artigiani, professionisti e commercianti che potrebbe dare ulteriore spinta al settore.
Le proposte per migliorare l’Art Bonus
Tra le proposte per migliorare la misura possono rientrare la possibilità di far accedere alla misura anche i soggetti che applicano il regime forfettario, ad esempio prevendo un meccanismo di cessione del beneficio ottenuto con l’erogazione liberale sulla base di quanto già previsto per diverse agevolazioni di natura fiscale (bonus edilizi su tutti).
Ulteriori proposte per rendere più efficace lo strumento possono essere quello di allargarlo anche agli enti privati purché il luogo della cultura sia aperto al pubblico per un determinato periodo dell’anno.
Si ritiene inoltre indispensabile allargare il beneficio anche all’acquisto di opere originali di artisti italiani viventi, al fine di garantire una maggiore sostegno della filiera culturale.
In conclusione, a distanza di otto anni dalla sua entrata in vigore, l’Art Bonus necessita di un “tagliando” per essere ancora più rilevante come mezzo di finanziamento dei luoghi della cultura.