Ha inaugurato ieri Art Verona, che giunge quest’anno alla quindicesima edizione. La maturità della manifestazione si percepisce in molti aspetti. Pur rimanendo una fiera dalle dimensioni ridotte rispetto alle colleghe Artissima e Miart (o forse proprio in virtù di questo) Art Verona ogni anno cresce soprattutto nella qualità e nel saper definire sempre meglio la sua identità. Sembra infatti mantenere un tono contenuto, non farsi tentare dalle soluzioni che attraggono i grandi numeri o i riflettori – come le presentazioni scenografiche, la conquista spasmodica dei territori oltreconfine o la ricerca di format curati fuori dalle righe. Una fiera, in fin dei conti, è fatta per vendere e per attivare discorsi concreti intorno al sistema dell’arte.
Art Verona si riconferma quindi la fiera italiana che costruisce la sua identità sull’attivazione di pratiche che mettono in relazione il mondo dell’arte e quello delle aziende, e sulla ricognizione sui temi del collezionismo privato e d’impresa. Un piccolo sguardo all’estero, certo, e uno alle nuove progettualità delle gallerie commerciali emergenti e degli spazi indipendenti, mantenendo però sempre il focus su quello che una fiera deve rappresentare e attivare: il mercato dell’arte.
Un’aria di novità si percepisce nel Padiglione 11, quello tradizionalmente assegnato all’arte moderna. Già gli anni scorsi qui le gallerie avevano presentato alcune ricerche emergenti accanto a nomi storicizzati. Anche quest’anno dunque è piacevole scovare, accanto ai grandi classici, degli artisti emergenti.
Un esempio di questo format è la galleria Area B di Milano, che divide in due il suo stand proponendo da un lato grandi nomi come Enrico Baj, o Sandro Chia con i suoi imponenti guerrieri, e dall’altra il suo spinf off “giovane”: una vivace proposta di David Cesaria, con luminarie pugliesi rivisitate con soggetti pop, e le tele della giovanissima Laura Giardino, ambienti surreali e colori vividi, suggestioni a sospeso tra l’immaginario del noir e quello del videogame.
Un piacere veder dialogare questi giovani eredi con i pilastri della nostra storia dell’arte – Salvo ad esempio è molto presente in questa sezione. In generale la tendenza qui non cambia, molta pittura e optical art. Anche nella sezione del contemporaneo non ci sono grandi stravolgimenti, shock visivi o emozionali. Le gallerie sembrano aver scelto quasi di comune accordo di mantenere toni contenuti e puntare all’eleganza: pochissime sculture e installazioni forti, ma ogni stand è estremamente curato. Una sezione omogenea ma con messaggi ben comunicati per ognuna delle sotto-sezioni: Scouting, Grand Tour, Raw Zone, i10 spazi indipendenti, Free Stage e Focus On.
Nella main section, appena varcata la soglia, si scovano subito i nuovi arrivati: Umberto di Marino di Napoli e La Veronica di Modica. Entrambi mostrano proposte che rientrano pienamente nei loro schemi, in particolar modo La Veronica, con opere di artisti che conducono ricerche socio-politiche.
Enrico Astuni di Bologna, che si dice felice di partecipare di nuovo a questa fiera piccola ma vivace, ha uno stand ricercato e davvero piacevole, che riflette il lavoro portato avanti in questo 2019 sulla ricerca di Ugo La Pietra. Marignana Arte di Venezia mostra un gran numero di artisti della sua scuderia, ben dieci. Lo stand ben rispecchia l’identità della galleria: ricerca formale di tendenza geometrica, ordinata e dalle tinte poco chiassose, che cela sempre però forti indagini concettuali (Quayola, Nancy Genn, Marco Maria Zanin e la giovane new entry Giuseppe Adamo).
Da segnalare in questa sezione la ricerca sempre intelligente e raffinata di Montoro 12 (Roma e Bruxelles) con artisti già familiari e che rivediamo volentieri, come la palestinese Larissa Sansour (che quest’anno rappresenta la Danimarca alla Biennale di Venezia) gli italiani Serena Fineschi e Alessandro Brighetti, e la presentazione di un giovanissimo artista che è il primo a prendere parte a un interessante format lanciato dalla galleria, quello della residenza in galleria. Il suo nome è Chris Soal: nelle sue sperimentazioni mescola un linguaggio minimalista con una interessante ricerca sui materiali poveri,come gli stuzzicadenti.
La perla della fiera è certamente la sezione Gran Tour. Da vari anni ormai Verona invita le gallerie italiane con sede all’estero a raccontare la loro esperienza attraverso stand aperti e organizzati in forma circolare. Così, è possibile fare un po’ il giro del mondo, chiacchierare con i galleristi e farsi un’idea di come operano questi spazi fuori dall’Italia. Le prime impressioni sono positive, nonostante il pubblico non sia vastissimo e tutti sperano meglio per il week end.
Qui emerge lo stand di Piero Atchugarry, il giovane e già visionario gallerista che gestisce la Piero Atchugarry Gallery di Garzon (Uruguay) e l’Atchugarry Art center di Miami, inaugurato un anno fa esatto. Nel suo stand la tensione dei materiali agisce immediatamente sullo spettatore: troviamo una scultura contenuta ma potente di Arcangelo Sassolino, uno sci messo in tensione come un arco, e una scultura di ferro e vetro di Julio Pinto, accanto a Verónica Vázquez e Yuken Teruya (il suo “Disassembled money” è un omaggio a Mondrian che dischiude anche critiche sociali).
Lo stand di Alberta Pane (Venezia e Parigi) è una piccola gemma: sceglie il fondo nero per le opere dal gusto chirurgico e scientifico di Christian Fogarolli e i disegni di João Vilhena, artista portoghese che esplora la realtà tra il meta-realismo e il voyerismo dal gusto cinematografico.
Anche lo stand di Suburbia (Granada, Cape Town) propone ricerche di valore, come il bravissimo pittore sudafricano Jake Aikman che nelle sue tele restituisce un oceano vivo, dalle vivide tinte blu e cobalto, prova che l’esercizio pittorico sulla natura non si estingue mai e continua a produrre anche oggi risultati emozionanti.
Una bella scoperta è la galleria Intragallery di Napoli, che propone le sculture di vetro di Jose Angelino: sinuosi tubicini di vetro in cui l’artista, che ha formazione da chimico, direziona i flussi di gas Argon e luce con effetti ammalianti.
Nella sezione scouting forse ci si aspettavano messaggi più arditi, si registra invece un trend quasi in linea con le proposte “classiche” e nomi anche già conosciuti. Molto interessante però lo stand di A+A (Venezia) che è passata da spazio no-profit a galleria commerciale. A Verona propone una rivisitazione della storia dell’arte con le fotografie di Silvia Mariotti – visioni quasi rinascimentali – l’inglese Beth Collar, con sculture in ceramica, e Ruth Beraha, che affronta il tema della natura morta con ironia, celando risvolti concettuali.
Molti giovani artisti, anche stranieri dunque. Tra i nostri italiani, che stanno vivendo un ottimo momento della loro carriera, segnaliamo Jacopo Mazzonelli, sound artist, presente da Paolo Maria Deanesi e Studio G7 di Bologna, dove ha recentemente esposto in un interessante dialogo con Giulio Paolini, e Silvia Giambrone – impossibile rimanere impassibili di fronte al video Teatro anatomico, in cui si fa cucire sulla pelle del collo un colletto di pizzo, dischiudendo riflessioni sociali sul ruolo della donna.
Appare isolata e poco vivace nelle frequentazioni – nonostante alcune proposte interessanti – la sezione delle gallerie straniere (Focus On) quest’anno dedicata alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia, che, come dichiarato dalla direttrice Adriana Polveroni, hanno una scena vivace e attraente anche in termini di mercato grazie ai costi ancora ragionevoli. Infine, sempre interessante la sezione Raw Zone, 8 gallerie con solo show, e ritroviamo nomi che iniziamo a suonarci familiari come Benni Bosetto presentata da Ada di Roma.
I talk hanno preso il via ieri, con un focus, come sempre, sulla relazione tra arte, impresa e collezionismo. Il tema ieri era la curatela delle collezioni (“Tra Arte e Imprese: il curatore fa la differenza?”) e oggi “Collezionare: pratica condivisa, genio e sostenibilità”.
Una bella offerta per le mostre in città, a dimostrazione che Art Verona continua sempre a cercare il dialogo con una città che fatica, solitamente, a dare spazio al contemporaneo. Il Giardino Giusti ospita la mostra incentrata sulla video arte “To Be Played”, curata da Jessica Bianchera e Marta Ferretti, con opere di Helen Dowling, Nina Fiocco, Anna Franceschini, Adelita Husni-Bey, Invernomuto, Michal Martychowiec, Elena Mazzi, Jacopo Mazzonelli, Giulio Squillacciotti, Luca Trevisani. E per la prima volta sono state aperte al pubblico le Gallerie Mercatali, spazi di archeologia industriale dove per tutta la durata della fiera prenderà vita un’opera in trasformazione di Norma Jeane, “Loony Park”, a cura di Paola Tognon, in sinergia con il Path Festival, con una interessante line-up musicale. “La quarta notte di quiete: Scarti” è invece la mostra “diffusa” in vari spazi nel quartiere Veronetta – cura di Christian Caliandro – e Contemporanee/Contemporanei è la mostra che nasce da una collaborazione tra Agi Verona (collezione di Giorgio Fasol) e l’Università di Verona.
Per noi di Collezione da Tiffany la chicca di questa preview veronese però è stata la presentazione in anteprima della nuova scultura di Arcangelo Sassolino, che sarà esposta alla Biennale di Vancouver. Sassolino è riuscito ancora una volta a far gridare la materia, a farci emozionare, tirando fuori qualcosa che altrimenti rimarrebbe “silenzioso e sepolto dentro il materiale”. Per concludere con uno statement da social: Art Verona is always a good idea.