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L’arte contemporanea cinese (p. 1): 1949-1979

del

Nonostante l’attenzione riservata negli ultimi anni dalla stampa internazionale, collegata spesso alla risonanza globale acquisita in seguito all’eccezionale sviluppo economico della Cina, l’arte cinese, specie quella contemporanea, è poco conosciuta dal pubblico occidentale e le fonti in materia sono assai ridotte. Da qui l’idea di questo breve speciale di due puntate che si soffermerà sull’analisi del contesto artistico cinese, al fine di avvicinarci alla comprensione del complesso sistema in cui quest’arte nasce e si sviluppa. Nell’impostazione seguita, cerchiamo di mettere in luce le contraddizioni tra le esperienze artistiche maturate dagli artisti cinesi e l’incredibile sviluppo di mercato – unito alla complessità politica che segna il vissuto di numerosi artisti: analizzeremo così le manifestazioni artistiche che prendono luogo in Cina a partire dal regime di Mao fino alle esperienze più recenti.

 

Dalla Pop Mao Culture alla Dissacratory Art

 

Se letta secondo i “canoni” occidentali, l’arte contemporanea in Cina inizia, sostanzialmente dalla fine degli anni Settanta, a seguito dell’allentamento delle categorie ideologiche imposte durante il periodo maoista. Ci pare però possibile considerare «contemporanea» tutta la produzione artistica iniziata con la fondazione della Repubblica Popolare nel 1949, includendo, pertanto, anche il periodo più politicamente caratterizzato degli anni Cinquanta appunto, fino alla seconda metà degli anni Settanta. In quest’ottica, il filone costitutivo dell’arte degli ultimi quattro decenni, definita essenzialmente da un atteggiamento di rifiuto e contestazione nei confronti della cultura ufficiale, può essere direttamente collegato alle forme e alle istanze ideologiche contro le quali tale “inversione di rotta” si rivolge, e all’indiscutibile influenza esercitata dall’arte “politica” sulla più recente produzione a livello tecnico, compositivo e spesso anche concettuale. Una definizione cronologica ulteriormente giustificata qualora si intenda mettere in discussione le modalità eurocentriche di omologazione che considerano contemporanea, e quindi intellettualmente valida, solo la cultura prodotta come riflesso o in dialogo con le sperimentazioni formali emerse a partire dal dopoguerra nel mondo dell’arte europea e nordamericana. Modalità che non tengono in alcuna considerazione le profonde diversità di sviluppo socio-economico che hanno segnato la Cina negli ultimi cinquant’anni e che hanno generato fenomeni culturali completamente diversi dai nostri, pur essendo anch’essi a noi contemporanei.

 

Gli anni Cinquanta: tra realismo e utopia

 

Nell’ottica di accettare il 1949 quale anno iniziale dell’era contemporanea, gli anni Cinquanta appaiono come il periodo da cui scaturiscono impulsi di rinnovamento utopistico, unito a una nuova definizione delle categorie artistiche e culturali, che rispecchiano le esigenze di una “nuova era”. L’attenzione critica e storico-artistica adottata è definibile attraverso degli indirizzi generali riconducibili alla situazione politica, la quale risulta essere profondamente connessa all’impostazione sovietica. A questo indiscutibile riferimento si unisce la necessità di ricorrere, da parte dell’ideologia culturale maoista, a un’immagine nazionale nuova e indipendente per poter incidere maggiormente nel contesto referenziale della pittura a olio, ispirata alla produzione del Realismo socialista di stampo sovietico, finalizzata alla celebrazione agiografica del regime attraverso ritratti di leader o dipinti storici celebrativi delle vittorie ottenute durante i periodi della guerra anti-Giapponese (1937-1945) o anti-Nazionalista (1945-49).

Dong Xiwen, The Founding of the Nation, 1953.
Dong Xiwen, The Founding of the Nation, 1953.

Nel contempo, si infervora un ampio dibattito sul rinnovamento della pittura tradizionale cinese (zhongguohua) e sulle sue modalità di avvicinamento alla tecnica del realismo accademico. Tali riflessioni vanno a enfatizzare il processo di popolarizzazione del linguaggio visivo, che contribuiscono a creare un ampio tessuto organizzativo e creativo, basato sulla produzione visuale di massa nel formato dei poster, assai generico data l’eterogeneità delle tecniche, dei temi e dei messaggi impiegati su tale supporto grafico.

 

La Rivoluzione culturale: Mao seduce la Cina

 

Dopo il periodo di parziale allentamento della rigorosità ideologica (fine anni Cinquanta e inizio degli anni Sessanta), segue il violento periodo della Rivoluzione culturale (1966-76), durante il quale il sistema di propaganda e produzione culturale di massa, registra un eccezionale impulso. Tale spinta, come precedentemente accennato, contribuisce a velocizzare un processo di riproduzione, con disseminazione del messaggio visivo proprio grazie l’uso di poster, stampati in tirature di milioni di copie per rendere attivo e costante l’immagine del potere. La varietà delle opere create, favorisce lo sviluppo di dinamiche e modalità rappresentative i cui successivi e profondi effetti devono ancora essere valutati appieno. Incentrata sulla propagazione di messaggi politici, l’arte della Rivoluzione culturale è oleografica e narrativa, con temi quali il culto della personalità del Presidente Mao, (riproposto in infinite versioni e situazioni a legittimare la codificazione del sociale e amplificare l’autorevolezza del messaggio) nonché l’illustrazione di modelli di prassi etico-politica, attraverso l’uso di immagini eroiche.

Hang Guangzhou, The Army and the People are One, traditional Chinese painting, 1973
Hang Guangzhou, The Army and the People are One, traditional Chinese painting, 1973

Caratteristico di questo periodo è il rinnovato interesse verso “le masse” (contadini, operai e militari) quale audience preferenziale e come soggetto principale della rappresentazione artistica, che ne determina, quindi, il linguaggio, i temi e a livello formale ciò si traduce in composizioni schematiche, dove i ruoli assegnati dalla vigente etica politica sono facilmente identificabili e vengono trattati con colori sgargianti, in predominanza il rosso, associato al grande fervore rivoluzionario e utilizzato in maggiore percentuale nella raffigurazione delle figure positive (i nemici del popolo sono invece rappresentati con toni grigiastri e scuri, quasi a voler suggerire un concetto di Kalos Agathos: una legenda fisionomica che identifichi l’orientamento politico attraverso il solo tipo umano).

Joint Defense by the People and the Army—An Iron Bastion, People’s Fine Arts Publishing House, 1969

La grande rivoluzione proletaria del 1966 segna profondamente il sistema dell’arte cinese: la campagna politica, mobilitata da Mao (1893-1976), sospende tutti i corsi nelle accademie di belle arti, chiudendo magazine e periodici, perseguendo artisti e docenti, arrivando a bandire la stessa espressione artistica poiché portatrice di ideali controrivoluzionari. L’attacco ai quattro «vecchi ideali» – vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi e alle vecchie abitudini – contribuisce a creare un ampio margine con la cultura middle-europea e americana: ma è lo stesso Mao in realtà che, seppur bandendo gli ideali borghesi occidentali, poiché portatori di spiriti corruttori, “strizza l’occhio” al divismo della Golden Age hollywoodiana, quasi a voler impararne le regole di seduzione delle masse: l’obiettivo è la totale politicizzazione dell’arte, come già evidenziato in precedenza. Mao, ora deificato, diviene la figura centrale di innumerevoli dipinti, sculture e stampe. La battaglia alle arti liberali da lui promossa, si protrae per un decennio, dal 1966-1976, agitando l’animo di artisti oppressi e frustrati, fuggiti nelle campagne o all’estero.

The Chinese People's Liberation Army is the great school of Mao Zedong Thought, 1969. Poster.
The Chinese People’s Liberation Army is the great school of Mao Zedong Thought, 1969. Poster.

A partire dal 1973, numerosi giovani artisti riprendono ad analizzare il concetto di arte per arte, assorbendo ispirazione dalle poetiche occidentali, tra cui il Romanticismo, l’Impressionismo, e il Post-Impressionismo, giungendo a far riaffiorare la tradizione iconografica cinese, a riportare in auge le calligrafie e i paesaggi, che si ripresentano nei loro lavori di piccoli dimensioni, a dimostrare un concetto radicale, seppur di matrice tradizionale, rispetto l’ortodossia rivoluzionaria. A Pechino, per esempio, si raccoglie attorno alla figura di Zhao Wenliang, un gruppo di pittura di venti artisti, con unica missione la pittura di soli paesaggi: il gruppo Wu Ming Huahui, tiene la prima esposizione nel 1979. Sempre verso la fine del Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, prende moto un importante fenomeno artistico di arte sovversiva, rispetto alla politica artistica corrente: i giovani del 1970 vedono nel premier Zhou Enlai l’unica persona in grado di salvare la Cina dai disastri della rivoluzione culturale; ma nel 1976, con la sua morte, questa speranza sembra svanire.

Zhao Wenliang, '18 August', 1966,
Zhao Wenliang, 18 August, 1966

 

È in occasione della festa di Qingming, il 4 e 5 aprile del 1976 che oltre duecentomila pechinesi si radunano spontaneamente nella piazza per commemorare la morte del primo ministro Zhou Enlai. Il monumento agli Eroi del Popolo, che si erge al centro della piazza, si trasforma esteticamente: ornato con miriadi di fiori di carta e di corone. L’evento diviene una forma di dimostrazione contro Jiang Qing, (il gruppo, capeggiato dalla moglie di Mao, viene in seguito nominato La Banda dei Quattro) che ne proibisce la memoria: tutti questi fattori accomunati portano alla rivolta di Piazza Tienanmen, soppressa dal Governo Qing, al fine di porre un controllo sulle masse, cercando di abolire la linea politica di modernizzazione promossa dall’ex premier. Con l’Undicesimo Congresso del Partito, nell’agosto del 1977, sembra finire ufficialmente l’esperienza della rivoluzione maoista. Nello stesso anno, Deng Xiaoping sale al potere, elargendo una serie di riforme politiche e culturali.

Gao Xiaohua, Why, 1978
Gao Xiaohua, Why, 1978

Numerosi artisti, alcuni dei quali banditi sotto il controllo maoista, vengono riabilitati e le accademie riaperte. Le riviste culturali, alcune delle quali ristabilite nel 1976, guardano all’arte occidentale, creando casi di riflessione sull’attuale situazione artistica del Paese. Le accademie d’arte sviluppano pertanto una loro personale avanguardia, con il desiderio di distinguersi da quella della propaganda: i giovani attivisti, tornati alla vita cittadina, dopo una lunga permanenza nelle campagne, organizzano movimenti politici paralleli alla propaganda madre, agitando dibattiti culturali dallo spiccato appeal controrivoluzionario.

 

La seconda puntata dello speciale dedicato all’Arte Contemporanea Cinese, dedicata agli anni che vanno dal 1980 ai giorni nostri, sarà online giovedì 26 gennaio.

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