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Arte e Industria: intervista a Luca Beatrice

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Genova, 53° Salone Nautico. Bruno Guidi, fondatore nel 1968 dell’omonima azienda, leader nella produzione di accessori per l’impiantistica navale, torna a far parlare di sé e della sua passione per l’arte. Dopo la personale Industria della fotografa texana Jill Mathis (2011) e l’installazione Love Difference di Michelangelo Pistoletto a Palazzo della Meridiana (2013), l’imprenditore piemontese è, infatti, il deus ex machina di Arte e Industria, doppia personale degli artisti Chris Gilmour e Jill Mathis che si terrà a Palazzo Ducale dal 3 al 27 ottobre. Un evento che porta la firma di Luca Beatrice, critico d’arte e curatore, con cui abbiamo fatto una breve chiacchierata per andare alle origini di un rapporto ormai secolare che lega il mondo dell’arte a quello dell’industria. Rapporto che si basa su uno scambio reciproco ma che è anche origine di importanti forme di mecenatismo e di collezionismo.

Luca Beatrice

Nicola Maggi: Arte e Industria. Nell’ultimo ventennio questi due mondi si sono incrociati più volte e in vari modi. Ci può raccontare i tratti salienti di questa relazione?

Luca Beatrice: «Il rapporto tra arte e industria affonda le proprie radici tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, quando l’industria – per slegarsi dalla mera progettualità – si fece affiancare dalle cosiddette “arti decorative” con lo scopo di rendere gradevole, dal punto di vista estetico, il prodotto industriale. L’incidenza della fabbrica sulla società fu così profonda che anche in pittura le ambientazioni bucoliche di matrice romantica furono soppiantate dalla schiacciante verità del realismo. Per analizzare in modo corretto il rapporto non si possono poi dimenticare esperienze come Arts and Crafts, la Scuola di Glasgow e il Bauhaus, che conducono in modo univoco verso il Movimento Moderno. Facendo un balzo in avanti, il Futurismo fondò le basi del proprio pensiero culturale e linguistico proprio nel dinamismo della macchina, nella velocità e nell’enfasi modernista che solo l’edificio industriale sapeva incarnare. Per venire, infine, ad anni più recenti, movimenti come la Pop Art e il Nouveau Realisme mettono in luce in modo ancora più convincente il legame ,a doppio filo, che si era instaurato tra l’arte e l’industria. Nella contemporaneità voglio ricordare un solo esempio, a mio avviso emblematico, del rapporto quasi simbiotico che esiste tra le due: l’azienda Vitra ha saputo mantenere dal 1950 – anno della sua fondazione – ad oggi un giusto equilibrio tra i due elementi. Ne è testimone il Vitra Design Museum attiguo alla fabbrica e agli spazi espositivi di vendita della produzione attuale a Weil am Rhein in Germania».

Jill Mathis, Industria, fine art gliclée, 180 x 265 cm, 2013
Jill Mathis, Industria, fine art gliclée, 180 x 265 cm, 2013

N.M.: Esiste poi un vero e proprio mecenatismo industriale, di cui la mostra Gilmour & Mathis. L’arte contemporanea incontra l’industria, che lei ha curato per la prossima edizione del Salone Nautico di Genova, è un esempio. Come nasce questa doppia personale e cosa troveremo a Palazzo Ducale?

L.B.: «Nasce – come nella migliore tradizione del “mecenatismo industriale” – dalla volontà del committente, Bruno Guidi, titolare della Guidi s.r.l., azienda che produce componentistica per la nautica e che da alcuni anni si è avvicinato al mondo dell’arte grazie allo Studio Anna Fileppo di Cossato che gli ha fatto incontrare Jill Mathis per un primo progetto da realizzare in occasione del quarantesimo anniversario della nascita dell’azienda e con la quale, poi,  realizzò nel 2011 la mostra Industria. Questa volta Jill Mathis – fotografa texana, naturalizzata italiana – e Chris Gilmour – scultore inglese che vive a Udine – sono stati invitati da Guidi a intraprendere una ricerca proprio partendo dagli spazi della fabbrica. I due artisti, lavorando a stretto contatto con gli operai della Guidi s.r.l., hanno scoperto l’estetica della tecnologia, delle attrezzature e delle persone che le usano. Hanno incontrato le mani degli operai, i prodotti nel loro farsi, l’idea che diventa disegno industriale. Ne sono usciti con due progetti diversi: la manualità quale caratteristica imprescindibile del made in Italy per la Mathis e il design microscopico dell’impiantistica tecnologica per Gilmour. A Palazzo Ducale troveremo in mostra la concretizzazione di queste suggestioni che per Jill sono l’ultima serie fotografica realizzata sul tema e per Chris la riproduzione di uno yacht in scala 1:1 degli storici Cantieri Camuffo, tra i  primi a montare le valvole Guidi».

N.M.: Mecenatismo ma non solo… il rapporto arte-industria si concretizza, molto spesso, anche in vere e proprie collezioni corporate. In cosa si differenzia questa tipologia di collezionismo d’arte rispetto a quello più comunemente noto?

L.B.: «Credo siano forme di collezionismo di natura completamente diversa. Infatti se il collezionista, inteso in senso classico, tende a raccogliere oggetti e opere d’arte per poi – a parte rari ed eccellenti casi – ‘nasconderli’ e farli diventare un piccolo tesoro personale al quale solo lui e una stretta cerchia di persone possono accedere, il corporate nasce dall’esigenza opposta del “mostrare”, dalla volontà di un’azienda di esprimere visivamente la sua filosofia e i suoi obiettivi da trasmettere alla clientela, al mercato in cui opera, ai competitors e, più in generale, alla società».

Chris Gilmour, work in progress yacht Camuffo in dimensioni reali, cartone e colla, 2013
Chris Gilmour, work in progress yacht Camuffo in dimensioni reali, cartone e colla, 2013

N.M.: In tempi di crisi economica, come quelli attuali, che ruolo può avere il rapporto tra arte e industria nelle sue varie dinamiche?

L.B.: «Lo scorso decennio ha visto lo sviluppo del rapporto arte-industria soprattutto attraverso l’affermazione prima e la proliferazione poi del gusto per l’archeologia industriale, dilagato in tutta Europa. Le città si sono riappropriate di ex spazi industriali divenuti luoghi espositivi o talvolta, più semplicemente, suggestive location nelle quali “ambientare” eventi. Oggi, questo approccio mi sembra abusato, quasi anacronistico, mentre sta crescendo una nuova etimologia del rapporto arte-industria. La crisi in qualche modo ha sbaragliato il fascino della decadenza per lasciare spazio a un atteggiamento proiettato sul presente più etico e consapevole. L’importanza dell’industria e il valore irrinunciabile del lavoro sono oggi principi fondanti di una società che vuole e deve tornare fiorente e competitiva, stanca di edificare sulle macerie e sui fantasmi del passato. Molto meglio un’industria che “vive”, fatta di uomini in carne ed ossa che si adoperano per costruire il proprio futuro».

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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