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Arte in Salotto: dove la figurazione incontra il pubblico

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Arte in Salotto è più di una galleria: è un nuovo modo di vivere l’arte contemporanea, in cui l’opera dialoga con gli spazi dell’abitare e con chi li abita. Fondata da Camilla Prini, la galleria nasce dal desiderio di riportare la figurazione in contesti intimi e accoglienti, organizzando mostre in dimore private e, dal 2020, anche in uno spazio permanente nel cuore di Brera, a Milano. Allestita come un salotto, la galleria propone opere figurative di artisti italiani e internazionali, armonizzate con arredi di pregio. In questa intervista, Camilla racconta il percorso che l’ha portata a fondare Arte in Salotto, la visione dietro la sua scelta curatoriale, le sfide di oggi per una galleria indipendente e il cambiamento del pubblico e del collezionismo contemporaneo.

Com’è nata Arte in Salotto e qual è stato il tuo percorso individuale come professionista?

Dopo un meraviglioso periodo, appena laureata,  sull’isola di Capri, dove ho assistito il proprietario del Capri Palace Hotel, grande amico e collezionista, a far vivere l’arte all’interno dell’hotel, sono rientrata a Milano e ho iniziato a lavorare alla Galleria Tega, una realtà storica di Milano specializzata nel Novecento. Giulio Tega è stato il mio maestro, mi ha insegnato tutto di questo lavoro, come si guarda un quadro, come ci si comporta con i collezionisti, a fare le fiere…Poi ho lavorato a Parigi da Piece Unique, specializzata in arte contemporanea e in progetti site-specific e successivamente ho fatto un lungo percorso nel mondo delle aste, prima come specialist e poi come responsabile di Bonhams in tutta Italia.

A un certo punto, anche per motivi personali – avevo due bambine molto piccole ed essere spesso a Londra era complicato – ho deciso di creare qualcosa di mio. Volevo trattare opere affini alla mia sensibilità e che mi emozionassero davvero -come questo Laurent Chéhère alle mie spalle o questa foto di Aurelien Villette- al contempo più accessibili, ma comunque di qualità, così ho aperto Arte in Salotto mossa dal voler dar risposta alla domanda che mi hanno fatto per anni amici, collezionisti e conoscenti: “Devo comprare un quadro da mettere nel salotto della casa nuova, cosa mi consigli?”.

Perché hai scelto proprio questo nome per la tua galleria?

Perché ho iniziato facendo mostre direttamente nelle case dei collezionisti che avevo conosciuto in casa d’asta. Organizzavo opening privati di uno o due giorni, ambientando opere contemporanee accanto a grandi lavori del Novecento. Era un modo per creare un dialogo tra opere diverse e ambienti vissuti; l’idea piaceva molto: c’era curiosità, voglia di entrare in spazi privati e di vivere l’arte in un contesto reale.

Panoramica della galleria Arte in Salotto

Come si è evoluto il progetto dopo la pandemia?

Con il Covid ho dovuto fermare l’organizzazione di eventi ed ho trovato questo bellissimo spazio in Via Milazzo. Me ne sono da subito innamorata: ha grandi vetrate ed un fascino particolare, così ho deciso di trasformarlo nella mia galleria. Era un ufficio, ma con i colori che amo e una giusta illuminazione è diventato un salotto dell’arte. All’inizio ero da sola, senza ufficio stampa, con poco budget, ho imparato a usare Instagram, facendo semplici video con il mio telefono per raccontare gli artisti in cui credevo. Era tutto molto spontaneo, ma ha funzionato: ha trasmesso autenticità e le persone hanno iniziato a seguirmi. Non è stato facile passare da un lavoro da dirigente a fare l’imprenditrice, ma vedevo che i follower pian piano crescevano e si appassionavano.

Nel frattempo ho assunto Nicole, che è diventata parte fondamentale di questo progetto, e abbiamo iniziato a fare delle collaborazioni con altre realtà come la Galleria Forni di Bologna che è una galleria storica specializzata da sempre nell’arte figurativa. Il rapporto con Paola, che è una amica da vent’anni, è stato molto importante perché mi ha consentito di esporre degli artisti established da lei rappresentati che magari a me non avrebbero dato credito visto che ero una galleria nuova. Questo mix di collaborazioni con lei e artisti che venivano dal mio scouting è stato ed è molto fruttifero, così ho iniziato a crescere, ad approcciarmi alle fiere e ad costruirmi una credibilità nel pubblico.

Quali sono i tratti distintivi di Arte in Salotto?

Direi: focus sull’arte figurativa, una fascia di prezzo accessibile (da 1.000 a 20.000 euro circa), cura nell’allestimento e un forte approccio consulenziale. Entriamo spesso nelle case dei clienti, consigliamo, studiamo insieme come armonizzare le opere allo spazio, creando con loro un rapporto molto personale ed intimo che porta ad una fidelizzazione.

Quali sono oggi le principali sfide nel gestire una galleria d’arte in Italia?

Le sfide sono molte, a partire dal fatto che oggi l’offerta è enorme. Fare la gallerista può sembrare semplice, molto glamour: come se bastasse avere qualche buon contatto e un certo gusto estetico, ma in realtà è un lavoro estremamente complesso, sia nella selezione degli artisti – che richiede visione, coerenza e responsabilità – sia nella costruzione e nel mantenimento di una rete solida di collezionisti.Il contesto italiano, inoltre, è meno strutturato rispetto ai mercati esteri, che sono più forti, dinamici e lavorano su fasce di prezzo diverse. A Milano, poi, i costi fissi sono molto alti, soprattutto in una zona come Brera. La nostra galleria, per esempio, è abbastanza grande – una scelta voluta – ma ciò comporta investimenti significativi, anche in termini di gestione e di fiere.

Nonostante tutto questo, io resto ottimista. Sono una persona tenace, e credo che con professionalità, visione e tempo si possano costruire basi solide. Questo non è un lavoro che si improvvisa: io ho impiegato quindici anni, lavorando nel mondo dell’arte, prima di aprire la mia galleria, ma quel percorso mi ha dato strumenti, contatti e una consapevolezza fondamentale per affrontare oggi il mercato con serietà.

Aurélien Villette, DOGMA, aprile-maggio 2024

Come descriveresti il roster dei vostri artisti?

Il mio roster è composto prevalentemente da artisti figurativi, in equilibrio tra italiani e stranieri: direi circa un 60% italiani e 40% europei ed un’unica artista americana. Ciò che li accomuna – e questo me lo fanno notare spesso anche i collezionisti in fiera– è che, pur nella diversità degli stili, le loro opere sembrano parlare tra loro: c’è un “fil rouge” che le lega, una coerenza di fondo che riflette probabilmente il mio gusto personale.

Difatti prima o poi mi piacerebbe molto realizzare una mostra collettiva che riunisca tutti gli artisti con cui ho già lavorato individualmente, credo sarebbe un modo per evidenziare ancora di più questa sintonia visiva e concettuale.

Come selezioni gli artisti?

Seguo il mio gusto, certo, ma anche la coerenza con la ricerca della galleria. Un altro aspetto fondamentale per me è il rapporto umano. Devo poter condividere valori e visione con l’artista, sentire una sintonia personale. Se non c’è questo tipo di intesa, preferisco non iniziare neppure una collaborazione poiché credo profondamente che il legame umano influenzi anche la qualità del lavoro. Cerco persone con cui entrare in dialogo profondo, perché il rapporto con l’artista è stretto, sei un po’ gallerista, un po’ psicologa, a volte anche mamma.

Chi è il vostro pubblico?

Collezionisti dai 40 ai 60 anni: chi compra le prime opere per la nuova casa, chi arreda seconde o terze abitazioni. C’è molta varietà, ma si crea spesso una fidelizzazione forte, anche grazie al rapporto umano.

Girolamo Ciulla & Giovanni Viola, Sculture e dipinti dalla Sicilia, maggio-giugno 2025

In quale direzione sta andando il mercato?

Forse quello che sto per dire è un po’ controcorrente, ma è qualcosa che ho notato in modo molto chiaro, credo che ci sia un ritorno, lento, ma concreto, verso la pittura figurativa. L’ ho riscontrato personalmente nell’ultima edizione di Arte in Nuvola e ArtVerona con il mio stand, ma anche come visitatrice ad Artissima – che per me resta un indicatore importante dello stato del mercato in Italia– dove ho notato una presenza crescente di opere figurative. Penso che questo dipenda anche da una certa stanchezza nei confronti di quel “fumo” che per anni ha avvolto l’arte contemporanea. L’idea che tutto debba essere spiegato, concettualizzato a oltranza, che rischia di allontanare il pubblico. All’opposto, il piacere di guardare un’opera, di lasciarsi colpire da un’immagine ben costruita, tecnicamente solida e visivamente leggibile, sta tornando centrale. E con questo non intendo banalità o decorazione, ma una qualità estetica autentica.

Hai un esempio concreto di questo cambiamento nel pubblico?

Ne è un esempio la mostra Lo sguardo del congedo di Giorgio Tonelli che abbiamo inaugurato di recente in collaborazione con la Galleria Forni, un pittore ottantenne con una tecnica straordinaria ed una qualità pittorica sopraffina. Durante l’opening abbiamo pubblicato un breve video in cui l’artista asserisce che: “Un quadro non va tanto spiegato, va guardato, assaporato. Ti piace o non ti piace.” Quel video è diventato virale – una cosa che non ci capita spesso – perché secondo me ha toccato una verità: l’arte è, prima di tutto, un’esperienza visiva, non un esercizio di retorica. Questo è anche uno dei motivi per cui ho scelto la figurazione e porto avanti una linea estetica abbastanza classica.

I miei artisti, pur nelle loro diversità, hanno una chiarezza formale, una pulizia stilistica e una padronanza tecnica evidente. Che sia un dipinto, una fotografia o un collage, si percepisce subito che dietro c’è un vero lavoro. Chi condivide questa visione si avvicina al mio spazio, chi cerca altro troverà sicuramente proposte altrettanto valide in altre gallerie, ma sono convinta che ci sia davvero un piccolo cambiamento in atto, forse anche influenzato dal mercato americano, dove la figurazione – spesso in grande formato, colorata, pop – è tornata molto in auge.

Oltretutto, e qui chiudo, non pensa che in un’epoca come la nostra, in cui tanto o quasi tutto è apparenza, sia giunto il momento – almeno per gli intellettuali, per gli artisti – di tornare un po’ alla sostanza? 

Giorgio Tonelli. Lo sguardo del congedo, giugno-luglio 2025

Utilizzate canali di vendita online?

No, sinceramente no. Riceviamo richieste, ci chiedono informazioni o prezzi via social, ma non vendiamo direttamente online. Credo che l’acquisto di un’opera d’arte sia un gesto molto emozionale ed empatico. Sicuramente per gallerie molto strutturate è uno strumento molto utile, ma per noi al momento non è un canale attivo.

Per quanto riguarda invece la comunicazione digitale, investite su questo fronte?

Sì, assolutamente. Abbiamo un sito, siamo attivi su Instagram e anche su Facebook, che ha un pubblico più ampio e variegato. La comunicazione digitale oggi è diventata indispensabile. Nei primi anni non avevamo un budget sufficiente per un ufficio stampa o una strategia strutturata: ho fatto tutto da sola, con risorse limitate. Adesso che le cose stanno andando meglio, è sicuramente un ambito su cui sto iniziando a riflettere con più attenzione. Quando serve, mi appoggio a professionisti esterni, e nel prossimo futuro credo che sarà importante investire in modo più continuativo in questa direzione.

Che bilancio tracci per il 2024 e quali sono i vostri progetti futuri?

Il 2024 è andato molto bene, abbiamo raddoppiato il fatturato, consolidato il lavoro, fatto diverse fiere e stretto collaborazioni, chiaramente siamo ancora all’inizio ma vedo dei segnali positivi. Per il futuro in programma c’è una mostra di Tommaso Ottieri, un pittore napoletano che tramite la luce costruisce panorami urbani. Sono quadri bellissimi, quelli di Tommaso. Ma la vera sfida sarà partecipare alla nostra prima fiera all’estero, che stiamo selezionando con molta cura.

Sognando in grande poi mi piacerebbe aprire una seconda sede, a Roma o Napoli, città con una scena artistica molto pulsante e con cui ho dei legami familiari ed affettivi forti. E poi, chissà, in futuro anche all’estero… magari dove andranno a studiare le mie figlie quando saranno grandi ! (Ride) 

Mariaelena Maieron
Mariaelena Maieron
Mariaelena Maieron, curatrice indipendente e producer editoriale. Si occupa di arte contemporanea con un interesse specifico per le dinamiche del mercato e per i linguaggi interdisciplinari. Ha esperienza nella progettazione artistica, nella comunicazione culturale e nel coordinamento tra artisti, istituzioni e media. Affianca alla pratica curatoriale un'attività editoriale che esplora le connessioni tra arte, moda, design e letteratura. Scrive e lavora con l’obiettivo di valorizzare progetti che generano impatto culturale e sociale, attraverso il racconto delle storie dell’arte e dei suoi protagonisti.

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