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Banksy esce allo scoperto. In parte!

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Qualche mese fa, terminata la visita della mostra A visual protest. The art of Banksy al MUDEC di Milano (che chiuderà a metà aprile), esposizione iper pubblicizzata da mesi e fortemente attesa dal pubblico più vasto (Banksy è certamente uno degli autori contemporanei più famosi, di sicuro il più celebre nell’ambito della street art), chi scrive, pasciuta l’anima dalla vista di opere di indubbio (quanto meno personale) interesse, per deformazione professionale iniziò però a porsi una serie di domande, alle quali non seppe dare una risposta risolutiva.

Le domande riguardavano, in particolare ma non solo, l’utilizzo del nome dell’artista e di alcuni dei suoi lavori più rappresentativi su una serie di oggetti di merchandising venduti al bookshop del museo. Era noto infatti che l’esposizione non era stata autorizzata, e d’altronde mi chiedevo da chi mai sarebbe potuta venire l’autorizzazione, visto che Banksy fa del suo anonimato un manifesto artistico, con questo aumentando in modo proporzionale il livello della sua fama.

Ma ecco che qualche settimana fa è uscita un’ordinanza del Tribunale di Milano (R.G. 52442/2018) che questi dubbi (almeno in parte) li chiarisce.

 

Pest Control Vs 24 Ore Cultura: l’ordinanza del Tribunale di Milano

 

I fatti: la società Pest Control Office Limited, che, come si dice, “sta dietro” a Banksy (come si legge nell’ordinanza è infatti “incaricata in via esclusiva dell’amministrazione, gestione e tutela dei diritti dell’artista writer inglese che opera sotto lo pseudonimo Banksy nel settore della street art e, in tale veste, provvede a verificare la riconducibilità a detto artista delle opere e a rilasciare autentiche”), è titolare del marchio denominativo corrispondente al nome dell’artista e di due marchi figurativi che riproducono le più celebri opere dello street artist britannico, la bambina con il palloncino rosso e il lanciatore di fiori.

La società in questione ha agito in giudizio in via cautelare nei confronti della società 24 Ore Cultura s.r.l. (appartenente al gruppo Sole24Ore), che gestisce l’organizzazione delle mostre del MUDEC, chiedendo tra l’altro: l’inibitoria dell’uso del segno “Banksy” all’interno del titolo della mostra, sul materiale promozionale e sugli oggetti di merchandising; l’inibitoria dell’uso dei marchi che riproducono la bambina con il palloncino rosso e il lanciatore di fiori sugli oggetti di merchandising, per contraffazione degli stessi; l’inibitoria alla pubblicazione e diffusione del catalogo al cui interno risultano tra l’altro raffigurate queste due opere, costituendo tale condotta atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 codice civile.

Una vista della mostra "A VISUAL PROTEST. The art of Banksy" al MUDEC di Milano
Una vista della mostra “A VISUAL PROTEST. The art of Banksy” al MUDEC di Milano

L’ordinanza, pronunciata dal presidente della Sezione Specializzata in materia di impresa dott. Claudio Marangoni, tocca molti aspetti giuridici di indubbio interesse nel settore delle esposizioni d’arte contemporanea. Ne riassumerò di seguito solo alcuni, che ritengo più salienti.

Quanto all’uso del nome Banksy nel materiale promozionale della mostra (manifesti, biglietti, etc.), il Tribunale l’ha ritenuto lecito in quanto descrittivo, dal momento che una mostra che abbia a oggetto opere dell’artista Banksy “implica necessariamente che del nome dell’artista l’organizzatore dell’esposizione possa servirsi per indicare al pubblico l’oggetto della mostra stessa”. Lo stesso dicasi per l’uso dei marchi figurativi “bambina col palloncino” e “lanciatore di fiori”.

Il Tribunale ha svolto invece considerazioni diverse quanto all’uso del segno “Banksy” sul materiale di merchandising (agende, quaderni, cartoline, segnalibri, gomme da cancellare) venduto nel bookshop. L’uso è stato infatti considerato illecito considerato che “l’apposizione di tale segno su prodotti del tutto generici e di comune consumo senza alcuna specifica attinenza all’ambito dell’esposizione rendono evidente che la sola apposizione del nome in questione ne caratterizza integralmente l’aspetto distintivo”.

 

Ma chi detiene veramente il diritto di riproduzione delle opere di Banksy?

 

Fino a qui tutto liscio. Questione un po’ più articolata è stata quella relativa alla liceità dell’utilizzo all’interno del catalogo della mostra delle immagini delle opere Bambina con il palloncino rosso e Lanciatore di fiori. In merito, la società ricorrente ha lamentato che tale uso avrebbe costituito illecito concorrenziale ex art. 2598 n. c.c., secondo cui compie atti di concorrenza sleale chi si vale direttamente o indirettamente “di mezzi non conformi ai principi della concorrenza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda”.

Il problema in questo caso ha riguardato l’ambito effettivo dei diritti di riproduzione delle opere in capo alla Pest Control Office.

Su questo tema si sono innestate anche considerazioni in merito al “sistema street art”. Condividendo la linea difensiva del Sole 24 Ore Cultura, il Tribunale di Milano ha giustamente affermato che “In effetti tali opere multiple derivate dall’originale si pongono di fatto quali opere dell’arte figurativa per così dire classica secondo la stessa volontà dell’artista che ne ha consentito e promosso la diffusione e cessione come tali, attività dunque che sembra in realtà escludere ogni ripudio da parte del medesimo dell’applicazione delle ordinarie regole della normativa in tema di diritto d’autore e in generale dai principi della proprietà intellettuale”.

Ciò comporta di fatto “la non pertinenza al caso di specie delle peculiari problematiche di diritto d’autore relative alla Street Art, caratterizzata dalla realizzazione in luogo pubblico di un’opera che implicherebbe in sé per un verso la pubblica e libera esposizione della stessa in rinuncia delle prerogative proprie della tutela autoriale e sotto altro profilo la natura effimera dell’opera stessa, in un contesto ideologico di diretta contestazione del diritto d’autore e/o dei circuiti commerciali propri di tale settore”.

Una visitatrice alla preview della mostra.
Una visitatrice alla preview della mostra.

In sostanza, in questo caso, non si sta discutendo proprio di street art in senso, ma di arte “classica”, come la definisce il giudice: le opere esposte in mostra sono appunto multipli delle opere dell’artista acquistati da soggetti privati che risultano commercializzate con l’autorizzazione di Banksy.

Così qualificate le opere esposte al MUDEC e le cui immagini erano riprodotte nel catalogo, il Tribunale ha richiamato la norma delle Legge sul Diritto d’Autore secondo cui la cessione di un esemplare dell’opera non comporta, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione economica relativi alla stessa, tra cui appunto quello di riproduzione (art. 109).

Questo diritto, in mancanza di prova contraria proveniente dal proprietario dell’esemplare, non può ritenersi ceduto dall’autore insieme al diritto di proprietà dell’opera (principio base del diritto d’autore, che crea spesso molti fraintendimenti, è infatti quello per cui acquistando un’opera d’arte, si acquisisce solo il diritto di proprietà sulla stessa, ma non anche i diritti d’autore che, se non espressamente stabilito, rimangono in capo a quest’ultimo).

Uno scorcio dell'allestimento della mostra il celebre "Lanciatore di Fiori".
Uno scorcio dell’allestimento della mostra il celebre “Lanciatore di Fiori”.

Nell’ordinanza viene poi citata la giurisprudenza (pacifica) in base alla quale la riproduzione fotografica di un’opera d’arte figurativa all’interno di un catalogo di una mostra rappresenta una forma di utilizzazione economica dell’opera e rientra nel diritto esclusivo di riproduzione riservato all’autore.

Nel caso esaminato la società organizzatrice dell’esposizione aveva prodotto in atti i contratti intercorsi con i vari proprietari delle opere esposte, che avevano garantito la titolarità a loro favore anche dei diritti di riproduzione delle immagini per la realizzazione del catalogo. Per il Tribunale tuttavia quanto previsto nei contratti non si è potuto ritenere sufficiente al fine di confermare l’esistenza del patto contrario menzionato dall’art. 109, che consentirebbe la diffusione del catalogo in questione.

A questo punto il Tribunale sembrerebbe affermare la illiceità delle riproduzione non autorizzata delle immagini fotografiche delle opere di Banksy all’interno del catalogo. Tuttavia, la corte evidenzia poi che la documentazione prodotta in atti in merito ai rapporti tra la società Pest Control Office Limited e Banksy “non consente di ritenere che essa [società] abbia ottenuto dall’autore il diritto di riproduzione delle opere”.

 

Diritto d’Autore o anonimato?

 

Insomma, il diritto di riproduzione sembra essere rimasto in capo allo sconosciuto street artist, sicché la società in questione sembrerebbe essere carente in punto di legittimazione attiva quanto alla tutela dei diritti d’autore sulle opere in questione.

In merito agli atti di concorrenza sleale, l’ordinanza termina affermando che la riproduzione delle immagini delle opere in catalogo non interferisce con le prerogative commerciali della ricorrentealla quale non risulta allo stato degli atti attribuito alcun concorrente diritto di riproduzione delle medesime immagini che possa ritenersi effettivamente pregiudicato dall’attività della resistente”.

Morale. Banksy è sì sconosciuto, ma evidentemente non completamente sprovveduto: il suo nome e le sue opere più famose sono oggetto di diversi diritti di marchio, come sappiamo, potenzialmente perpetui (la registrazione di marchio è rinnovabile all’infinito). Se Banksy però vorrà vedere tutelati i suoi diritti d’autore dovrà essere però più accorto e cedere alla società Pest Control Office Limited il diritto di riproduzione delle sue opere. A meno di non uscire allo scoperto. Ma questo confliggerebbe con il “manifesto artistico” sopra detto.

Post scriptum: l’ordinanza potrebbe essere stata oggetto di reclamo, ma questo al momento non è dato saperlo. Vi terremo aggiornati.

Federica Minio
Federica Minio
Nata a Verona ma di famiglia veneziana, Federica è un avvocato esperto in diritto della proprietà intellettuale e dell’arte ed è stata tra le prime in Italia a laurearsi in diritto dei beni culturali. Prima di intraprendere la professione legale, ha lavorato in gallerie e fondazioni d’arte milanesi. Federica unisce la sua passione per l’arte, da sempre respirata in famiglia (assieme al profumo della trementina del papà pittore), al lato più creativo del diritto.

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