“Cecità, accecamento, oltraggio”: s’intitola così la mostra dell’artista Andrea Bolognino che, dal 13 gennaio scorso e fino al 15 marzo 2022, arricchirà di ulteriore bellezza le sale espositive del Museo Nazionale di Capodimonte, a Napoli.
L’esposizione è inserita nel ciclo di “Incontri sensibili”, che vede gli artisti contemporanei confrontarsi con opere della collezione storica del museo. Nel progetto concepito da Bolognino, i disegni dell’artista intessono un dialogo con uno dei capolavori più apprezzati della collezione del museo, “La Parabola dei ciechi” (1568) di Pieter Brueghel il Vecchio.
“Il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d’aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l’altro gli ribatte qualcosa che non ha relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza né capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?”.
Molto probabilmente, questa frase di Italo Calvino riesce bene a rappresentare l’intento cui mira un dialogo tra esseri umani, ovvero il chiarimento definitivo d’un punto di vista condiviso da entrambe le parti.
Ciò che appare come ovvio, però, a volte non si verifica, e la realtà sembra più sfocata di prima. Ecco, allora, che termini come ‘cecità’, ‘accecamento’, e ‘oltraggio’, non possono che ricondurre allo scopo primario dell’esistenza, ovvero vedere con chiarezza quanto abbiamo davanti e di fronte, come ci spiega Andrea Bolognino attraverso le sue opere, in dialogo con un passato che, insieme al presente, ci aiuta ad interpretare ciò che avverrà in futuro. È lo stesso artista partenopeo a narrare il suo percorso artistico, sin dagli arbori.
Teresa Lanna: Com’è nato l’incontro e, soprattutto, il ‘dialogo’ tra le sue opere e la “Parabola dei ciechi” di Bruegel?
Andrea Bolognino: “Ho visitato il Museo di Capodimonte moltissime volte e l’opera di Bruegel era una dei punti fermi durante tutte le visite. Quando il Direttore del Museo, Sylvain Bellenger, mi ha chiesto di preparare una mostra per il ciclo “Incontri Sensibili”, mi è subito venuto in mente il dipinto di Brueghel. La mia pratica si concentra principalmente sul tentativo di incorporare uno sguardo e costruire un’immagine come fosse una scultura, un oggetto con una propria vita, tramite lo strumento del disegno. Quindi mi è sembrata un’occasione perfetta per confrontarmi con il tema della cecità e, al contempo, per restituire qualcosa delle centinaia di speculazioni formali e ragionamenti teorici fatti negli anni attorno all’opera del Maestro fiammingo”.
T.L.: L’intreccio tra Arte e Scienza ha fatto sempre parte del suo percorso creativo o nasce con questa mostra?
A.B.: “Sono sempre stato molto interessato all’utilizzo del disegno in ambito scientifico perché produce conoscenza attraverso pochi segni. È tutto lì, in un rettangolo grande pochi centimetri, che sembra restituirti tutto ciò che cerchi in quella disciplina. Allo stesso tempo, in una mappa, in uno schema o in un diagramma sembra non esserci spazio per il vuoto; pertanto, nella mia pratica cerco di valorizzare quella possibilità del vuoto. Non credo sia compito dell’arte dare delle ‘risposte’, quindi provo a far collassare la dimensione della rappresentazione scientifica ‘esatta’ in quella poetica e fantastica del disegno”.
T.L.: Secondo lei, quali sono le più grandi cecità del mondo contemporaneo? E da quali di esse è difficile si possa ‘guarire’?
A.B: “Paul Virilio, nel suo “L’arte dell’accecamento” (2007), definisce come ‘grande accecamento’ la condizione secondo cui “le illusioni ottiche sembreranno quelle della vita”. Siamo giunti alla possibilità di una ipervisione che comprende il macro e il micro, l’alto e il basso, fino alla sovrapposizione crescente di scenari in dissolvenza. Da un lato, l’accesso a immagini sempre più definite, a una compenetrazione della materia (microscopio) e al raggiungimento di dati altrimenti mai osservabili ad occhio nudo (telescopi) ma anche una condizione di fede cieca cui si contrappone l’incredulità, la negazione dei fenomeni per come si presentano o vengono presentati”.
T.L.: Di solito, in quale momento sceglie il titolo da dare alle sue opere, prima di mettersi al lavoro o una volta terminato il tutto?
A.B.: “Quello della scelta dei titoli è un momento abbastanza delicato. Talvolta non ne cerco alcuno, altre mi balza in testa all’improvviso. Ciò che è certo è che non bado al titolo prima di cominciare un lavoro”.
T.L.: Uno dei suoi disegni s’intitola “Al folle volo”; può spiegare cosa rappresenta per lei?
A.B.: “e volta nostra poppa nel mattino,/de’ remi facemmo ali al folle volo,/ sempre acquistando dal lato mancino. Il titolo viene da questa terzina del XXVI canto dell’Inferno, nella “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Mi sono ispirato all’ultima impresa di Ulisse, come Dante la racconta in questo canto, per continuare a trattare il tema della sete di conoscenza”.
T.L.: Nell’esposizione figurano, tra le altre, due opere, il cui titolo è simile: “Quello che hai davanti” e “Quello che hai di fronte”. Secondo lei come possiamo interpretare al meglio questa sottile differenza di vedute e qual è la prospettiva che si delinea nel futuro dell’uomo contemporaneo?
A.B.: “Non mi piace dare una lettura univoca ai miei lavori; preferisco, infatti, che ognuno trovi la propria chiave d’accesso a ciò che si trova davanti o di fronte”.
T.L.: Quali sono le emozioni che ha provato nel corso dell’inaugurazione della sua prima personale?
A.B.: “È stato un grandissimo riconoscimento; davvero emozionante, poi, poter lavorare all’interno di un museo così ricco di capolavori. È stata anche un’occasione formativa, poichè ho lavorato al fianco di molti professionisti che mi hanno insegnato tantissimo sulla produzione di una mostra, dalla progettazione fino all’allestimento”.