È indubbiamente un momento glorioso per l’arte contemporanea italiana nella Grande Mela. Si sono appena concluse la personale di Rudolf Stingel da Gagosian (980 Madison Ave), una bella retrospettiva sull’iperrealista Luciano Ventrone, scomparso esattamente tre anni fa (Friedrichs Pontone, 273 Church St) e un’interessante mostra da Bortolami (39 Walker St) che metteva a confronto — per la prima volta — opere di Piero Dorazio e di Mary Obering: i due si erano conosciuti nel 1968 durante una delle residenze del pittore italiano negli Stati Uniti, e da lì nacque un rapporto maestro-allieva che si trasformò in un’amicizia durata decenni.
David Nolan Gallery (24 E 81st St) ha invece in corso fino al 31 maggio una retrospettiva su Enrico Baj, Alter Ego and Other Hypotheses, che ne celebra il centenario della nascita “citando” l’incontro tra l’artista italiano e Marcel Duchamp, avvenuto nel 1961 per la mostra al MoMA The Art of Assemblage, dove entrambi esponevano: ne nacque un’amicizia che portò anche alla collaborazione di Baj alla versione del 1965 dell’opera dell’artista francese L.H.O.O.Q. La mostra alla Nolan Gallery accosta quindi alle opere di Baj lavori di Duchamp, Picabia, Man Ray, ma anche di artisti come Jean Dubuffet, Asger Jorn, Richard Artschwager, Martin Kippenberger, Nicole Eisenman.
D’altra parte, dopo una mostra dedicata a Delcy Morelos e Ettore Spalletti — un altro dialogo assai particolare — si è appena aperta da Marian Goodman (24 W 57th St) una personale di Giuseppe Penone (fino al 29 giugno), intitolata Hands – Earth – Light – Colors.
Tuttavia la curiosità e le aspettative più grandi le suscita la nuova personale di Maurizio Cattelan in un’altra delle sedi di Gagosian (522 W 21st St, fino al 15 giugno): si tratta della prima mostra in una galleria newyorkese dell’artista padovano da più di vent’anni.
Sunday, curata dall’inseparabile Francesco Bonami, consta di due opere che costituiscono in realtà un’unica grande installazione. L’opera che dà il titolo alla mostra è composta da 48 grandi pannelli di acciaio inossidabile placcato in oro 24 carati, per le dimensioni totali di poco più di 5×20 m, “modificati” da colpi di arma da fuoco: le superfici lisce e riflettenti dei componenti risultano crivellate e distorte da buchi e crateri (come al solito con Cattelan, affiorano subito possibili riferimenti/citazioni, in questo caso alla performance Shoot di Chris Burden, come pure agli Shooting Paintings di Niki de Saint Phalle).
Di fronte a Sunday è posta una scultura in marmo di Carrara, November, raffigurante un uomo disteso, probabilmente un homeless, che urina in pubblico (anche qui, viene subito in mente Manneken Pis, la statua-fontana barocca del centro storico di Bruxelles).
È facile ricollegare questa installazione al famigerato America, la toilette in oro massiccio esposta da Cattelan al Solomon R. Guggenheim Museum nel 2016. Le contraddizioni della società americana vengono qui sottolineate dal contrasto tra i materiali “preziosi” utilizzati e nello stesso tempo “sviliti” da ciò che rappresentano: il problema delle armi da fuoco e della violenza “quotidiana”, e la grande sperequazione economica in una società ossessionata dall’idea di successo e dal denaro.
Francesco Bonami ha sintetizzato l’essenza dell’installazione con questa frase; «Se sei libero di comprare un fucile d’assalto in un grande magazzino, cosa c’è di sbagliato nel pisciare in pubblico?»; Cattelan, da parte sua, ha posto in exergo alla mostra: «Siamo completamente immersi nella violenza ogni giorno e ci siamo abituati. La ripetizione ci ha fatto accettare la violenza come inevitabile». È interessante sottolineare la reazione di diversi visitatori di fronte a November (che ha un meccanismo idraulico interno per cui effettivamente esce acqua dall’organo esposto della statua): imbarazzo, nervosismo, risolini — davanti a quella che purtroppo è una scena non così rara, anzi piuttosto quotidiana, nelle strade di New York.
L’eleganza generale dell’installazione deve molto all’idea di montaggio dialettico, nell’accezione eisensteiniana. Il contrasto viene elevato a potenza anche dal fatto che il tutto si svolga in uno dei templi dell’arte miliardaria vista come asset speculativo, e su questo si potrebbe discutere a lungo. In ogni caso, ancora una volta Cattelan non delude, fosse anche solo per la genialità della provocazione (ma «C’è del metodo nella sua follia…»).