Un passato di collezionista di arte moderna e contemporanea, settore che per trent’anni lo ha visto guidare il dipartimento di un’importante casa d’aste italiana. Poi, oltre vent’anni fa, il grande passo: cede la sua prima collezione per iniziarne un’altra e coronare un amore antico, quello per la fotografia. E’ Mario Trevisan, uno dei più importanti collezionisti di fotografie a cui il nostro paese abbia dato i natali e che, lo scorso anno, ha ceduto in comodato d’uso la sua preziosa raccolta al Mart di Rovereto. Lo abbiamo incontrato nella sua casa veneziana per parlare della sua avventura di collezionista. Ne è uscita un’intervista che, da sola, è quasi una guida al collezionismo. Ma ecco cosa ci ha raccontato.
Nicola Maggi: Quando nasce la sua passione per la fotografia e come ha iniziato a collezionarla?
Mario Trevisan: «La mia storia è un po’ strana. In realtà nasco come matematico e solo successivamente, attraverso conoscenze che all’Università si occupavano di economia dell’arte, mi sono avvicinato a questo campo. Ho lavorato, per anni, in una casa d’aste come responsabile del settore moderno e contemporaneo; settore in cui ho creato la mia prima collezione. La fotografia, però, è sempre stata una mia passione, da giovane mi piaceva fotografare, partecipare ai soliti concorsi e circoli foto amatoriali, poi per motivi di tempo ho smesso. Ma l’amore è rimasto, tant’è che quando collezionavo arte moderna e contemporanea la mia preferenza era rivolta più alle opere d’arte su carta che non all’olio su tela: preferivo una bella incisione di Picasso, o simili, ad un discreto olio di un artista minore. Nel frattempo, ho sempre guardato alla fotografia, che compravo in modo molto sporadico, un pezzo ogni tanto, di artisti che usavano la macchina fotografica più che di fotografi. Poi il grande passo: ho venduto tutta la mia collezione di arte moderna e contemporanea e ho cominciato a raccogliere fotografie. Purtroppo ho iniziato troppo tardi – erano i primissimi anni 90 -, se avessi cominciato prima oggi avrei delle immagini che adesso posso solo sognarmi. Oltre alla passione, alla base di questa scelta vi è, però, anche un discorso di tipo economico: ho preferito avere una importante raccolta di immagini che una discreta-mediocre raccolta di dipinti».
N.M.: Come sono cambiati, nel tempo, il suo modo di collezionare e la sua collezione?
M.T.: «Ovviamente, se uno si dedica ad una collezione con impegno e passione, nel tempo cambia il suo modo di collezionare. Parafrasando le parole del grande collezionista Roger Thérond, scomparso una decina di anni fa, possiamo dire che nel collezionismo esistono tre fasi distinte: la prima è animata dall’entusiasmo, dall’ardore: si ha paura di non ritrovare nel mercato certe immagini e si tende a comprare tutto, commettendo molti errori. La seconda fase è quella della ragione, dove ogni scelta è molto più ponderata e legata ad un progetto preciso. Il passaggio tra la prima e la seconda fase è lungo e faticoso, è necessario studiare, guardare e cercare. Infine arriva la terza ed ultima fase, quella del godimento, quando la nostra collezione ha ormai un’impronta precisa. Ecco, in questo momento io mi trovo nella zona di passaggio tra la seconda e la terza fase e sto cercando solo quelle immagini che, a parer mio, mi mancano. Sono molto più cauto e, soprattutto, sono molto, molto più informato, più rigoroso».
N.M. Dove ama fare i suoi acquisti? In gallerie, in fiera, all’asta o direttamente dagli artisti?
M.T.: «Credo che per le fotografie l’unico modo sia il ricorso alle varie case d’asta. Adesso ci sono tantissime aste in tutto il mondo e una trentina di case d’asta, tra Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Francia, fanno regolarmente aste solo di fotografia. Le gallerie in Italia, tranne qualche rara eccezione, sono decisamente ad un livello che non può competere con le case d’asta».
N.M.: Nell’immaginario collettivo, il collezionista viene visto come un “cacciatore” di pezzi unici, ma in fotografia raramente ci troviamo davanti ad esemplari unici. Come convive il collezionista con questa particolarità del medium fotografico?
M.T.: «Il collezionista goldoniano, che cerca la rarità, o meglio l’unicità, per fortuna sta sparendo, anche perché le rarità non ci sono più. Resta, nella fotografia, ed è la domanda e il dubbio di tutti, il problema della non unicità. Ecco, a chi ha questo problema consiglio di cambiare subito genere di collezione. Per la mia collezione ho sempre cercato la bellezza e non l’unicità, che potrebbe essere eventualmente un valore aggiunto, ma un valore aggiunto economico e non estetico. Preferisco avere una immagine bella che hanno in molti piuttosto che un’immagine rara ma brutta. Per questo considero la non unicità una cosa positiva: solo così, infatti, sono riuscito ad avere immagini che, altrimenti, non avrei mai potuto avere. Colgo l’occasione per togliermi un sassolino dalla scarpa: mi pare che, attualmente, si parli troppo della tiratura, della numerazione, dando a questi elementi un’importanza eccessiva per distoglierci dalla questione della mediocrità generale della produzione corrente. Si dovrebbe parlare di più delle immagini, del davanti della foto e meno del numero di edizione che c’è sul retro».
N.M.: Quali sono i rischi più comuni che corre un collezionista alle prime armi che si avvicina alla fotografia?
M.T.: «Sostanzialmente sono quelli che citavo parlando della prima delle tre fasi del collezionismo. Sono rischi legati al troppo entusiasmo iniziale, alla fretta eccessiva di possedere una immagine. Ma si tratta di una fase, direi, inevitabile. Il pericolo di incappare in dei falsi, invece, è in fotografia decisamente minimo: tranne quei due o tre casi eclatanti che si conoscono non ci sono grandi pericoli, a patto di avere un attimo di occhio allenato. La foto della foto si vede lontano un chilometro».
N.M.: Lo scorso anno ha ceduto, per 10 anni, la sua collezione al Mart di Rovereto. Come è maturata questa decisione che, immagino, le deve essere costata non poco sacrificio?
M.T.: «La cosa è costata molta fatica a me e a mia figlia, che condivide con me la passione per la fotografia e segue la collezione. A volte penso: “Vado a vedermi la tal foto che è nella cassettiera”; non ricordandomi, invece, che è in una cassettiera al Mart a Rovereto. Poi, però, penso che sono in buone mani, tenute bene, e poi che vengono esposte e lo trovo giusto. Adesso una trentina di immagini fanno parte della mostra La magnifica ossessione e una ventina dell’altra esposizione, Andata e ritorno, sul concetto di souvenir. E c’è anche un altro bel progetto… insomma, trovo più giusto così che tenerle a casa nei vari cassetti e, poi, per dirla tutta, il Mart mi ha lasciato la possibilità di andare a vedere le mie foto quando voglio, nel caso mi prendesse una “crisi di panico”».
N.M.: Quanto è importante il collezionismo per i musei?
M.T.: «La politica del prendere le opere in comodato da parte dei musei la trovo importantissima. Il Mart in questo è stato un battistrada. Il museo si trova con del materiale importante per poter fare mostre o da esportare in cambio di altre mostre. Credo sia la strada giusta, ovviamente occorre avere la struttura per farlo e i fondi per farlo perché, anche se non eccessive, il museo deve farsi carico di spese di mantenimento ed assicurazione».
N.M.: “Con gli occhi, con il cuore, con la testa” è il titolo della mostra che il Mart ha organizzato per presentare al pubblico la sua collezione. In che misura un buon collezionista deve affidarsi a ciascuno di questi organi?
M.T.: «Direi per il 33% ad ognuna, anche se credo sia fondamentale la testa, nel senso della conoscenza. In questo genere di collezionismo si deve conoscere bene la storia della fotografia, l’opera dei fotografi, bisogna studiare e spendere molto in libri che, per fortuna, sono molti e quasi sempre anche molto belli. Il consiglio che potrei dare è di farsi l’occhio attraverso lo studio della storia della fotografia e le varie monografie».
N.M.: La sua collezione parte dai dagherrotipi delle origini per arrivare ai giorni nostri e, se non erro, conta circa 250 pezzi. Il mosaico è completo o mancano delle tessere che, in tutti questi anni, non è ancora riuscito a conquistare?
M.T.: «Una collezione non finisce mai, altrimenti è morta, ed è morto chi la fa. Mi mancano ancora una ventina di immagini, per il momento, dico per il momento. Cerco da tanto una fotografia di Claude Cahun, una di Alec Soth, una della Sophie Calle, e altre. Ho una ventina di immagini messe in collezione che vorrei cambiare con altre dello stesso autore ma più significative e poi… le prossime scoperte…»
N.M.: Ecco, a proposito di prossime scoperte: dando uno sguardo al panorama italiano della fotografia, quali sono, secondo lei, le personalità artistiche emergenti più interessanti?
M.T.: «Seguo il panorama contemporaneo ma onestamente di cose che mi folgorano non riesco a vederne. Sono tutti bravissimi ma, d’altronde, con Photoshop e un grande laboratorio di stampa raggiungi presto livelli qualitativi eccelsi. Con internet, poi, sono tutti informati delle nuove tendenze ma, alla resa dei conti, sono tutti uguali: bravissimi ma anonimi. Farei un solo nome per l’Italia, che è quello di Paolo Ventura: una promessa artistica che ha mantenuto la sua parola. Mi sembra che svetti in questo panorama, abbastanza uniforme, di giovani. Non mi viene altro in mente».