Se siete collezionisti di arte contemporanea e possedete un bel giardino, sicuramente tra i vostri pezzi forti ci saranno alcune sculture esposte en plein air. Solitamente, un giardino abbellito dalla presenza di opere d’arte ha una marcia in più, perché la natura e i suoi elementi creano un’ambientazione immersiva decisamente suggestiva. Peccato che quegli stessi elementi naturali possano potenzialmente essere anche i peggiori nemici di esse.
Il giardino più bello che io abbia avuto modo di vedere, è senza dubbio quello della Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence.
Se vi capita di passare dalle parti di Nizza e della Costa Azzurra, terra sacra a grandi artisti del recente passato, vale la pena allontanarsi mezza giornata dal mare per visitare questa località dell’entroterra, ospitante oltretutto un bel borgo medievale, splendida trappola per turisti, dal quale è meglio stare alla larga.
Edificata nel 1964 per volontà dei coniugi Aimé e Marguerite Maeght, galleristi parigini tra i più “avanti” della loro specie, questa Fondazione è stata la prima grande collezione privata di arte del ‘900 ad aver aperto le proprie porte al pubblico in Europa. Il modello era quello delle grandi collezioni americane, Guggenheim su tutte, i cui musei erano già da anni, nel proprio paese, i più importanti nel proprio campo.
La nipote Yoyo, oggi sessantenne, racconta in un bel libro di come i nonni, con affabilità e grandi elargizioni di denaro, avessero stabilito profondi rapporti con i più grandi artisti dell’epoca, Chagall, Giacometti, Mirò, su tutti, e che grazie a ciò fossero diventati non solo i loro mercanti ufficiali ma anche i loro primi collezionisti.
Dell’artista catalano Joan Mirò, in particolare, la Fondazione conserva nel proprio giardino quella che forse è l’opera più complessa e intrigante, il Labirinto, eseguito in vent’anni di stretta collaborazione con due provetti ceramisti, tra il 1961 e il 1981. Una ventina di giganteschi mostri in ceramica, cemento, ferro, disposti nel giardino del palazzo vagamento nipponico progettato dall’architetto Sert, lungo un percorso naturale tra l’odore dei pini marittimi, la luce del mediterraneo e qualche sprazzo di mare ceruleo in lontananza (ci sarà un motivo se si chiama Costa Azzurra).
Nel 2019, a quasi quarant’anni dal completamento dell’opera, la Fondazione ha lanciato una campagna di raccolta fondi per finanziare l’intervento di restauro delle sculture, sferzate per anni dalle piogge e dai venti carichi di salsedine. I 65.000 euro raccolti interamente tra i privati, sono così serviti per gli interventi conservativi, eseguiti in tre tranche da due restauratori specializzati in materiali vitreo-ceramici e lapidei.
Un primo intervento, nella primavera del 2020, ha consistito nella pulitura delle superfici grazie a un agente biocida che ha eliminato i depositi di organismi parassitari come muschi e muffe dalle sculture; poi, nell’autunno dello stesso anno, sono stati effettuati gli interventi di consolidamento utilizzando una resina acrilica.
L’ultima fase, cominciata la scorsa primavera e conclusasi nei primi giorni di quest’estate – in previsione della stagione turistica che per la Fondazione è il momento clou tra mostre e visitatori – ha invece previsto una stuccatura con resina epossidica di crepe e spaccature.
Le opere d’arte concepite per gli esterni possono rimanere esposti sotto la luce del sole o è meglio e più sicuro conservarle al chiuso, laddove l’esposizione a intemperie e attacchi biologici può essere più facilmente controllabile? A mio parere, la prima ipotesi è quella più auspicabile, mentre la secondo dovrebbe essere considerata in extrema ratio.
Soprattutto perché, adottando misure di conservazione preventiva e utilizzando sistemi di monitoraggio costante, si possono pianificare interventi di manutenzione che allungano la vita alle opere prima che esse siano costrette a subire interventi di restauro più complessi e costosi, soprattutto per le tasche di un collezionista privato che sogna di avere un giardino bello come quello dei Maeght.