Nell’articolo Passaggi di stato: arte contemporanea ed esercizio dell’oblio abbiamo parlato di come l’arte contemporanea vive di labili paradigmi che si muovono tra memoria e oblio. Caducità, disorientamento, imprevedibilità, fragilità, effimero, incertezza, contestazione dei propri presupposti sono tutti argomenti che entrano a far parte del linguaggio degli artisti del Novecento e si esprimono anche attraverso le proprietà tecniche del manufatto artistico.
I nuovi medium utilizzati dagli artisti sono a volte sperimentazioni tecniche prima ed espressioni artistiche dopo. Nel caso specifico, quando l’opera è di arte concettuale, come si conserva un’idea? Quale il ruolo dell’artista, del museo, del conservatore e del restauratore nei processi di conservazione?
Sanneke Stigter, Assistant Professor in Conservation and Restoration of Cultural Heritage presso l’Università di Amsterdam, con il caso dell’opera di Jan Dibbets ci mostra come continuare a far vivere un’opera variabile, deperibile, di arte concettuale nel tempo.
Il Museo Kröller-Müller si trova nel cuore del Parco Nazionale De Hoge Veluwe nei Paesi Bassi, un luogo magico che affascina il pubblico mettendo assieme natura e arte.
Il museo è un tesoro di De Stijl e del futurismo, ospita una tra le più belle collezioni di opere di Van Gogh e di altri grandi autori del Novecento come Claude Monet, Georges Seurat, Pablo Picasso e Piet Mondriaan. Poi le opere degli artisti contemporanei.
Alle schaduwen die mij zijn opgevallen in het Kröller-Müller Museum, opera del 1969 (esecuzione 2012) dell’olandese Jan Dibbets è una di queste. Una scultura fatta di nastro adesivo e di dimensioni variabili acquistata con il sostegno della Fondazione Mondriaan una decina di anni fa.
Jan Dibbets, classe 1941, viene definito fotografo, ma non nel senso più tradizionale della parola, ma in quello più puro. L’analisi della luce in primis, poi dello spazio e delle proprietà della percezione sono alla base della sua arte.
Tradisce il valore di fotografia come documentazione oggettiva della realtà e la trasla verso una ricerca della trasformazione dello spazio nel tempo, attraverso una la luce che è moltiplicatrice di punti di vista.
Nell’opera Tutte le ombre che mi hanno colpito nel Museo Kröller-Müller, Jan Dibbets disegna a tutti gli effetti con la luce, lo spazio nel tempo.
Un insieme di linee tracciate con il nastro adesivo che fermano sul pavimento e sulle pareti il movimento del sole attraverso la traccia delle ombre che vengono proiettate.
Un’opera che si muove su un aspetto doppio della stessa riflessione, da una parte lo scorrere e ricorrere del tempo e dall’altra il tentativo di fermare il suo passaggio ricavandone una traccia.
Questo lavoro è stato eseguito per la prima volta nel 1969 al Museum Haus Lange a Krefeld in Germania e venne intitolato Tutte le ombre che ho scoperto a… sono state segnate col nastro adesivo e successivamente installato in luoghi diversi a distanza anche di molti anni l’una dall’altra.
Un’opera che descrive il passaggio della luce in spazi diversi è un’opera che necessariamente deve adattarsi al sito dove viene allestita e alle nuove visioni dell’artista che in itinere sperimenta il passaggio della luce nello spazio sia come traccia sia come capacità delle ombre di risolversi esteticamente. Un’opera d’arte concettuale.
Quando una decina di anni fa l’opera come concetto fu acquistata dal Museo Kröller-Müller, l’idea è stata registrata in un certificato che oltre al possesso prevedeva la possibilità per l’opera di poter essere realizzata in luoghi diversi dal museo. Ma come? come si conserva un’idea?
Ecco che Sanneke Stigter, che per alcuni anni ha diretto il Dipartimento di conservazione di arte contemporanea e scultura moderna al Kröller-Müller, sperimenta su quest’opera una prassi che a tutti gli effetti può oggi esser considerato un possibile metodo applicabile anche in altri casi.
Sanneke Stigter iniziò il percorso conservativo condividendo con Jan Dibbets l’allestimento al Museo Kröller-Müller. Protagonisti dell’azione: Dibbets, lo spazio, la luce nel tempo e il dialogo che Sanneke ha usato sotto forma di intervista basandosi sulle documentazioni e sulle ricerche fatte sulla storia dell’opera, sulle variazioni tecniche ed espressive.
Sanneke, infatti, oltre ad affiancare Dibbets nell’esecuzione, spinge l’artista all’analisi delle azioni e delle scelte intraprese negli anni, quando a cambiare era una didascalia, il titolo, un oggetto presente nell’ambiente.
Lo scopo, in questa che lei identifica come co-produzione dell’opera, è stato quello di sviluppare un confine possibile dove l’opera sarebbe stata nella sua replicabilità, nel suo per sempre, aderente al concetto, all’idea dell’autore senza tradirne la poesia di partenza.
Una negoziazione utile al conservatore, ma anche all’artista, per fare luce su alcuni aspetti a volte meno indagati dell’iter di produzione artistica.
Forse l’unica possibile via, quella della condivisione, dell’approccio dialogico, della documentazione, della negoziazione, in grado di far vivere e conservare l’opera d’arte. Per chi desidera approfondire, l’interessante ricerca si trova pubblicata nei suoi dettagli nel testo Tra memoria e oblio di Paolo Martore, Castelvecchi, 2014.