Lastre di vetro, piani di ardesia, binari in marmo, magneti, esili fogli di carta da cui pendono pesanti macchine da scrivere, complesse strutture in equilibrio precario e forze contrapposte che si annullano sono gli elementi con cui Emmanuele De Ruvo (n. 1983) dà vita ad una vera e propria estetica del bilanciamento perfetto, intesa come metafora della vita, sia di quella organica che di quella psicologica. Tutta la vita, d’altronde, come spiega lo stesso artista in questa intervista, «è sempre una delicata questione d’equilibrio». Ecco, allora, che le spinte, le pressioni, le trazioni e le contrapposizioni di pesi sono, nell’opera di De Ruvo, un mezzo di indagine tanto delle forze che si “scontrano” nel singolo individuo quando di quelle che “controllano” la nostra società.
Nicola Maggi: “Tutto ciò che accade è necessario, ma ancor più necessario è descrivere le condizioni dell’accadere”. Questa frase, tratta da uno dei tuoi ultimi lavori, è quasi uno statement che riassume l’essenza della tua ricerca artistica…
Emmanuele De Ruvo: «Oltre che in uno dei miei ultimi lavori, questa frase compare anche nel video M=0,0000000001 ten days, un lavoro del 2010 in cui una struttura di sedie, in particolare una curva di flessione, è progettata per cedere sotto il proprio peso in dieci giorni. E’ una frase alla quale tengo particolarmente, perché racchiude in sé oltre al senso stesso dell’equilibrio, la sua soluzione, ovvero l’unico metodo utile per far sì che le cose vadano e rimangano come tu le hai predisposte. Meglio ancora, per chi mastica l’argomento, “descritte”. Questa frase, peraltro, era preceduta da un’introduzione: “Bisogna acquisire la perpendicolare e il rapporto fra i segmenti che la compongono, fra il cammino e l’elevazione spirituale e fondersi nell’esistenza e nel fulcro, accettando empiricamente che la struttura è solo il sistema attraverso il quale si giunge o si cerca di giungere all’equilibrio”».
N.M.: In tutti i tuoi lavori è centrale quello che in Dinamica viene definito “Stato di Quiete”. Un rimando alla fisica, ma anche al mondo dei sentimenti e delle forze della vita…
E.D.R.: «La domanda introduce perfettamente il discorso, poiché la ricerca e il raggiungimento dell’equilibrio, voluto, mantenuto o scardinato, in qualsiasi contesto o con qualsiasi tipo di forze e strutture con cui mi trovo a confrontarmi è la base onnipresente del valore metaforico che do alle sfaccettature della vita, con le sue emozioni e sensazioni. Tutta la vita è sempre una delicata questione d’equilibrio. Dall’equilibrio che rende il nostro corpo una macchina perfetta (seppur deteriorabile) nei piccoli gesti, così come nei grandi conflitti interiori, psicologici e dell’anima o interpersonali e, di conseguenza, sociali. Il mio lavoro è fatto di fisica, in tutti i sensi, e il modo di concepire e di costruire l’oggetto d’arte che ne equivale, mi interessa sia per la capacità di controllo che una determinata forza ha su una struttura, sia per la facoltà che una certa forza ha di eludere le condizioni di equilibrio ordinario di un determinato oggetto. Il tutto è sempre finalizzato a smascherare, denunciare o, quantomeno, ad indicare un condizionamento a livello di massa; quella capacità di controllo che si realizza nel convincimento del bisogno, basato sullo sfruttamento delle emozioni e delle caratteristiche insite nell’uomo, come l’odio, l’invidia, l’avidità, l’insicurezza e, soprattutto, l’ignoranza».
N.M.: Un “controllo” che rende spesso precario questo equilibrio…
E.D.R.: «Nella società esistono forze enormi e devastanti, che ne influenzano pesantemente la struttura, tenendo le redini di un tacito equilibrio precario che ha funzione nel momento, quando equivale a zero, e stabilisce il limite fra l’individuo e la società. Il bilico, sul quale le sorti dell’uomo camminano, è il certificato mnemonico delle fragilità umane, tanto è vero che l’uomo dotato di ragione e di potere decisionale descrive oggi le condizioni di una precarietà globale devastante, determinata da due componenti fondamentali: da un lato, i danni materiali che tutto ciò comporta alla terra, in quanto tale e in quanto casa dell’uomo; dall’altro, l’uomo stesso, il quale trova immancabilmente, sul piatto opposto della bilancia, il suo simile, costringendo l’ago, in modo e moto elasticamente perfetto, ad un eterno equilibrio tra bene e male. E’ nella riflessione su questa condizione che trova asilo la mia ricerca, orientata a sviscerarne il caso e la casualità, la causa ed il suo immancabile effetto. Una ricerca che si riserva, pertanto, di essere contraddittoria e libera a prescindere, nella stabilità e nell’oltrepassare il baricentro, sviluppandosi in tutte le sue forme e con ogni mezzo estetico, artistico, tecnico e tecnologico. La soglia del limite entro il quale incombe il momento, è l’annullamento delle forze, l’unico “dare e avere” di egual misura, il solo attimo in cui l’uomo non si carica più del suo pesante egoistico orgoglio e del suo rispettivo contrappeso».
N.M.: Nella tua ricerca, peraltro, l’uomo sembra avere un doppio ruolo. Da un lato è colui che scruta, che indaga i meccanismi della “materia”, dall’altro è oggetto di analisi, nella tua attenzione per le dinamiche socio-antropologiche che determinano il suo cammino…
E.D.R.: «La mia ricerca artistica, sul versante tecnico fisico e fisiologico, è basata sulla materia e la percezione di essa, nelle sue peculiarità visive, tattili, fisiche e sensoriali. Il risvolto concettuale è diversamente indirizzato ad indagare smascherare e a denunciare, i “sistemi di controllo” della società contemporanea e la sua conseguente creazione e imposizione del limite. Limite che l’essere umano raggiunge ogni qual volta una forza gli viene opposta, in ogni campo e di qualsiasi tipo. Su questo percorso fatto di forze in contrapposizione capaci di portare l’oggetto unitario, o costruzione che sia, in uno stato di stasi e di equilibrio. La precarietà è data dalla possibilità che una forza esterna al circuito chiuso dell’equilibrio abbia la capacità di rompere il suddetto stato dell’oggetto (essere umano) o degli elementi (struttura sociale) in questione. Con questo canone comunicativo, che riguarda la messa in opera di leggi fisiche, oltre che estetico-visive, la mia produzione si propone di portare agli occhi del fruitore una serie di opere nelle quali si dà esempio delle leggi e delle forze fisiche che ci circondano e ci sovrastano, ricordandoci di essere uomini. Il tutto con un valore metaforico che si oppone alle leggi che ci vengono imposte dai sistemi di controllo della civiltà in continuo divenire. A partire da quelli politico ed economico, due sistemi, due forze, che in stretta concomitanza decidono le sorti antropologiche della società, con l’inevitabile risultato della sottrazione della “libertà individuale”».
N.M.: Questo tuo interesse per la fisica peraltro ha origini lontane…
E.D.R.: «Il mio lavoro e la mia ricerca dal punto di vista fisico è il risultato del bagaglio culturale lasciatomi da mio padre, che era ispettore di trazione in ferrovia e che mi ha trasmesso una grande passione per il vivere la vita attraverso i principi della fisica. Mia madre invece era una pittrice, quindi dal punto di vista genetico, prima con gli studi tecnici in tecnologia delle costruzioni e, successivamente, frequentando l’accademia di belle arti, mi ritrovo ad essere e vivere la mia ricerca, anche perché l’Arte non è qualcosa che ci piace fare, l’arte è una necessità interiore alla quale con rispetto si obbedisce per non impazzire».
N.M.: I tuoi inizi ti vedono alle prese con il disegno e la pittura, a cui ti avvicini attraverso il mondo del writing e della street art. Cosa rimane, nel tuo approccio all’arte, di queste prime esperienze?
E.D.R.: «Sì, gli inizi sono un qualcosa che ricordo con grande piacere. Quel mondo era incantato, senza invidie e pregiudizi. Di quel primo periodo mi è rimasto senza dubbio l’essere pittore, la forma mentis del pittore, lo sono tutt’oggi. Anche se scolpisco lo faccio da pittore, anche un’installazione la faccio da pittore. Del writing e della street art mi è rimasta una cosa fondamentale ancora oggi: capire quando un pezzo funziona, quando è concluso, quando è un sacrilegio finirlo; e lo stile che avevo, perfino l’accostamento dei colori. Oggi la mia tavolozza sono i materiali, ma li tratto e li scelgo al fine di un medesimo risultato: raggiungere il mio stile nel tratto così come nel definire i particolari e le dimensioni di un qualsiasi elemento, in ferro o in marmo; arrivando ad avere una mia riconoscibilità anche in cose estremamente diverse fra di loro».
N.M.: Tra i tuoi tanti progetti ne esiste uno che non sei ancora riuscito a realizzare?
E.D.R.: «Ce ne sono un numero tendente all’infinito di progetti che non sono riuscito a realizzare, ma mi dico semplicemente che saranno i prossimi, anche se so che, nell’immediato, mento a me stesso. E questo per due motivi fondamentali: il primo di natura economica, perché tanti progetti che non ho ancora realizzato prevedono un budget di produzione che purtroppo di rado posso permettermi, ma in questo caso parlo di lavori davvero complessi e importanti poiché, oltre alla produzione, necessitano di un periodo di studio e ricerca che fa levitare i costi ben oltre la mera realizzazione. L’altro motivo è la loro natura estrema nei confronti del mercato. Con mio enorme dispiacere c’è sempre meno coraggio nel collezionismo, soprattutto italiano, nessuno più, o quasi, è disposto a viversi l’opera, a prendersene cura, a diventarne parte integrante, dialogare con essa e farla vivere. Vogliono in troppi, per non dire quasi tutti, appendersi il quadretto alla parete nell’attesa di vedere quanto varrà fra un anno. Che tristezza».
N.M.: A cosa stai lavorando in questo momento?
E.D.R.: «In questo momento sono impegnato tra vari progetti e lavori: a maggio ci sarà la messa in opera della scultura pubblica del Premio Umberto Mastroianni a Galliate e, contemporaneamente sto producendo le opere per le varie fiere che faremo con la mia galleria, la Montoro12 Contemporary Art di Roma, oltre a dei lavori per alcuni collezionisti. Infine sto sviluppando un progetto scultoreo in marmo per un premio a cui intendo partecipare, oltre a lavorare un po’ su me stesso…»
[infobox maintitle=”PER I COLLEZIONISTI” subtitle=”Emmanuele De Ruvo è rappresentato dalla galleria Montoro12 Contemporary Art di Roma che nel 2015 gli ha dedicato la personale Degrees of Freedom. Le sue opere hanno prezzi che vanno da 1.800 a 7.000 € per i lavori da muro e da 5.000 a 12.000 € per le sculture. Dopo essersi diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, De Ruvo ha esposto in personali presso la White Box Gallery di New York e la Milk&Lead di Londra. Nel 2014 De Ruvo ha vinto il Premio Arte Nel Giardino Di Irene Brim e l’8° Premio Gruppo Euromobil Under 30 mentre nel 2012 si è aggiudicato il Premio Internazionale di Scultura Umberto Mastroianni Regione Piemonte e nel 2010 il Premio Italian Figurativ Art di Stoccolma ” bg=”gray” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]